di M. Lucrezia VICINI
AUTORE: FLAMINIO ALLEGRINI Attr. (Cantiano/Gubbio 1587-1666)

Il dipinto andrebbe individuato in quello che nell’inventario dei beni mobili del cardinale Bernardino Spada (1594-1661) del 1661, è descritto tra le opere della Galleria Grande, attuale terza sala del museo come: Una madonna, Christo, e due figurine (1).
L’elenco inventariale dei beni mobili della famiglia Spada del 1759 lo registra sempre in terza sala, nella quale rimarrà fino al 1951, quando Federico Zeri, in occasione del riassetto del Museo per la sua riapertura al pubblico lo trasferì nella prima dove ancora è visibile.
E’ riportato con l’attribuzione al Vasari, col titolo:
un quadro di palmi 4 in piedi, cornicie liscia con un ordine di intaglio dorato rappresenta la Sagra Famiglia di Giorgio Vasari, 100 (2).
Con lo stesso riferimento è così ricordato nel Fidecommesso del 1823 come: Una Sacra famiglia di Giorgio Vasari (3).
Nell’appendice al fidecommesso del 1862 è invece elencato con l’attribuzione al Salviati, come: Sacra Famiglia, Salviati scudi 80 (4). Nella ricognizione inventariale del 1925 di Pietro Poncini e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 2.000, la Sacra Famiglia viene assegnata ad un manierista toscano del ‘500 (5).
Il nome del Salviati era stato avanzato anche dal Barbier De Montault (6) smentito però dal Voss (7) che restituiva con certezza il dipinto a Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Dopo che il citato Hermanin (8) si era soffermato più genericamente in ambito manieristico toscano del ‘500, Porcella (9) tornava dubitativamente a fare il nome del Salviati per via delle somiglianze che intravedeva con la Carità della National Gallery di Londra, opera secondo lui contrassegnata, come la presente, da caratteri bronziniani. Longhi (10), per il carattere della composizione risaliva ad un esempio di Perin del Vaga o del Salviati, tuttavia giudicava il dipinto eseguito da un pittore romano della fine del secolo XVI, già toccato dai modi del Cavalier d’Arpino (1568-1640). Anche Zeri (11) poneva l’opera in rapporto con un dipinto romano o fiorentino del 1540-1560 e citava tra i probabili riferimenti Perin del Vaga, il Salviati e il Vasari, ma la fattura lo spingeva a considerare un pittore dell’ultimo quarto del cinquecento. Lo studioso, pur facendo rimanere aperta la questione attributiva, riteneva che il Roncalli proposto dal Voss potesse offrire qualche verosimiglianza.

In effetti l’opera è copia dei primi del seicento di un dipinto di dimensioni più ridotte di Perin del Vaga (olio su tavola, cm. 48 x 34), già comparso sul mercato antiquario (The Burlington Magazine, dic. 1965, tav. XV) e ora nel Victoria Museum di Melbourne.
Il dipinto, di cui si conoscono due disegni preparatori agli Uffizi ed un altro al Museo di Budapest (12), è stato variamente datato tra il 1534 e il 1538 13), fino a quando Jaffè (14), come considera Elena Parma Armani(15), non propone una convincente data più tarda, intorno al 1545/46 riferita alla fine del secondo periodo romano dell’attività perinesca. In questa fase sebbene il pittore riprendesse un tema iconografico ampiamente trattato durante il soggiorno genovese, dilata le figure nello spazio con un panneggio molto ricco che contrasta con la testa che tende a rimpicciolirsi. Caratteristiche che, sempre secondo Parma Armani, si riscontrano nelle ultime opere di Perino (1501-1547), come negli affreschi della Sala Paolina di Castel Sant’Angelo e precisamente nelle figure femminili sopra le porte, affini stilisticamente alla Madonna del dipinto. Oltre alla copia Spada, ne esiste un’altra comparsa alla vendita Sotheby’s (Firenze) del 14/11/1978, lotto 660 (Old Masters Sale).
Nella copia Spada l’artista opera due varianti consistenti nella introduzione della testa di Sant’Anna dietro la Vergine e nella diversa fisionomia del Bambino, che appare meno aggressivo, soluzioni che, come asserisce pure Cannatà (16), tradiscono apertamente l’accostamento allo stile del Cavalier d’Arpino, e fanno ipotizzare una esecuzione compiuta direttamente nella sua bottega, o da parte di un artista a lui molto vicino. Per Cannatà, buone sono le probabilità che l’autore possa essere identificato con Flaminio Allegrini (Cantiano/Gubbio, 1587-1663), artista recentemente comparso su About Art in un notevole studio di Luca Calenne e Manuela Nocella (Cfr https://www.aboutartonline.com/per-un-profilo-di-francesco-allegrini-opere-inedite-e-riemerse-di-un-allievo-del-cavalier-darpino-un-comprimario-da-rivalutare/ ) che venne suggerito a lui oralmente da Herwarth Rottgen (17) e riproposto con dubbio per iscritto dal medesimo autore (18).
Sulla figura e l’opera di Flaminio Allegrini, nato nel 1587, confuso spesso con il figlio Francesco, nato solo nel 1624, vanno senza dubbio considerati gli utlimi agigornamenti apportati dagli studi di Manuela Nocella che si era già espressa sul dipinto sub judice (19) e aveva chiarito che la morte risaliva al 1666 ( 20); occorre aggiungere che fu uno degli allievi e seguaci più stretti di Giuseppe Cesari, entrato a far parte della sua bottega a circa quattordici anni. Decorò la terza cappella a destra in SS. Cosma e Damiano, oltre alle lunette del chiostro e anche gli affreschi nel Palazzo Chigi con le scene del Vecchio Testamento e figure allegoriche. Un’opera di Flaminio, ritenuta eseguita quasi sicuramente ancora nella bottega del Cesari, è un quadretto con Cristo Crocifisso con Maria, Giovanni e la Maddalena nella chiesa Madre di San Simeone ad Alvito.
L’attribuzione del dipinto Spada al pittore può essere considerata valida alla luce proprio dei confronti stilistici con le opere autografe del pittore. Basti considerare il dipinto con lo Sposalizio mistico di S. Caterina alla presenza di S. Tommaso d’Aquino (olio su rame, cm. 55 x 41) del 1610 circa, della Galleria il Sagittario di Bologna. Vi si riscontra la somiglianze dei volti, la stessa morbidezza delle stoffe e degli incarnati e l’intima partecipazione degli astanti, in silenzioso colloquio tra loro.
M. Lucrezia VICINI Roma 16 Marzo 1025
NOTE