Naturalia e Mirabilia. Scienza e Storia Naturale in una moderna Wunderkammer a Bagheria

di Lisa SCIORTINO

Verrebbe da definirla “Casa delle meraviglie” quella che esiste a Bagheria e che per la prima volta apre le porte al pubblico, curioso di conoscere ciò che l’anonimo collezionista ha riunito nel tempo, mosso da scelte determinate principalmente dalle sensazioni e dalle emozioni che i numerosi oggetti raccolti gli hanno trasmesso di volta in volta, eterogenei per selezione di manufatti e contenuti.

Fig. 1 “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Avido di sapere e con una formazione classica, storica e antropo-archeologica, egli ha voluto creare uno spazio proprio, dedicato alle sue passioni, ispirandosi alle case museo dei collezionisti europei nel XIX secolo, spesso concepite non solo come residenze e luoghi di esposizione, ma anche come accademie private, biblioteche, occasione di dialogo e conoscenza (Fig. 1).

La collezione, colma di naturalia e mirabilia, è ricca di bizzarrie ed è scrigno prezioso per varietà di oggetti, taluni assai rari, affatto facili da rintracciare e ancor meno da osservare. Un mondo tutto da scoprire, dove non si vuole rintracciare l’opera d’arte ma raccontare il magico mondo del collezionismo privato che è fatto di realtà diverse e insolite, di oggetti strani, stravaganti e singolari, di utensili caduti in disuso, di filosofia e medicina, di tassidermia e scienza, di esoterismo e magia, di vanitas e memento mori, di fossili e minerali, di antropologia e folklore, di usi di popoli antichi, lontani nel tempo e nello spazio, e a volte sconosciuti. Tutto questo conferisce il carattere di musealità alla collezione, facendole guadagnare a buon diritto l’attributo di “Camera delle Meraviglie” (Fig. 2).

Fig. 2 “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Il collezionismo di meraviglie è una pratica molto rivalutata nel XXI secolo ma ha origini assai remote, a partire dalle protocollezioni di epoca greco-romana fino alle celeberrime Wunderkammern rinascimentali. Vanno considerate anche le derivazioni del ‘meraviglioso’, a cominciare dal significato che il termine assunse in epoca medievale quando iniziò ad essere associato al bizzarro, al curioso, e perfino al mostruoso. Grazie all’atto del collezionare, gli oggetti più singolari e insoliti divennero nel tempo semiofori, ossia significanti di per sé e privi di valore commerciale e d’uso. Occorre non tralasciare la funzione meditativa e conservativa degli studioli cinquecenteschi che anticipò la nascita dei primi Gabinetti di curiosità, prototipi del Museo moderno in cui venivano ospitati esemplari di naturalia, artificialia, scientifica, exotica e mirabilia.

Parecchi sono i collezionisti contemporanei che hanno recuperato e ricontestualizzato i concetti di meraviglia e di Wunderkammern[1].

Fig. 3 Maschere tribali, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Entrando nella casa bagherese, la sensazione è quella di addentrarsi nella “tana del Bianconiglio” prima di ritrovarsi nel “Paese delle Meraviglie” vero e proprio, in cui il confine tra incanto e realtà si fa labile e natura, culto, ritualità, medicina si fondono in un unico, grande colpo d’occhio. Un piccolo scrigno di storia, botanica, zoologia e antropologia incastonato in una capsula spazio-temporale che molto ricorda la Londra vittoriana o la Parigi bohémien.

Gli oggetti sono stati acquistati e recuperati lentamente, nel corso degli anni, scelti e selezionati con cura. Alle pareti sono una serie di maschere tribali di varia provenienza e utilizzate durante i rituali, legate a magia, credenze e superstizioni di diversi popoli (Fig. 3).

Tra zanne, corna, denti, mascelle e ossa di molteplici specie animali, la collezione conta un lungo rostro di Pristis pectinata, l’estensione ossea del cranio dotata di 20-37 denti per lato disposti in modo simmetrico che rende il pesce sega immediatamente riconoscibile. È possibile ammirare anche un teschio di Alcelaphus buselaphus, l’antilope africana di prateria, quello di una capra girgentana, caratterizzata da una peculiare forma delle corna attorcigliate e a spirale, dell’Orix (Fig. 4), ancora un’antilope dotata di corna imponenti e di cui si dirà a breve, dell’Ovis aries, che rievoca tele di guttusiana memoria[2], e un’interessante serie di fossili di elephas mnaidriensis[3] (Fig. 5), specie estinta della famiglia Elephantidae, vissuta a Malta e in Sicilia nel Pleistocene (circa 150.000 – 100.000 anni fa), come l’ippopotamo.

Fig. 4 Orix, Casa delle meraviglie”, Bagheria
Fig. 5 Elephas mnaidriensis, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Nonostante fosse molto simile all’odierno pachiderma asiatico, questo animale era di dimensioni molto inferiori, considerato a lungo di forma insulare prima di essere riconosciuto come specie a sé stante. Il grande foro centrale presente sul cranio e corrispondente all’apertura nasale fu confuso dai greci per un unico occhio situato in mezzo alla fronte. Da qui nacque la leggenda dei Ciclopi[4].

La tassidermia[5] è la tecnica di preparazione e conservazione delle pelli degli animali per la realizzazione dei cosiddetti “trofei di caccia” o per l’esposizione nei musei di scienze naturali a scopi educativi. Nel XVIII secolo, la maggior parte delle grandi città aveva un’attività di conceria. Louis Dufresne, tassidermista del Muséum National d’Histoire Naturelle in Francia, pubblicò nell’articolo del Nouveau dictionnaire d’histoire naturelle (1803-1804) un processo di tassidermia utilizzando sapone all’arsenico. Questa tecnica ha consentito al museo di creare una grande collezione di uccelli tassidermici. I metodi di Dufresne si diffusero in Inghilterra all’inizio del XIX secolo dove alcuni naturalisti, tra cui Rowland Ward e Montague Brown, svilupparono metodi di conservazione moderne e non tossiche.

Fig. 6 Tassidermia di Ovis musimon, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

L’età d’oro della tassidermia, però, fu durante il periodo vittoriano quando gli animali montati divennero una parte popolare dell’arredamento d’interni e l’ornitologo inglese John Hancock è considerato il padre della tassidermia moderna.

La tassidermia di Ovis musimon (Fig. 6) è stato il primo trofeo acquistato dal collezionista bagherese, ma i diversi esemplari raccolti evidenziano una particolare passione per la materia. Il Tragelaphus scriptus, noto anche come bushbuck, è un’antilope di media taglia diffusa in Africa subsahariana mentre dall’orice, la citata antilope dalle grandi corna di cui in collezione si trova anche il teschio, deriva la raffigurazione del leggendario unicorno. È verosimile, infatti, che l’origine del mito dell’unicorno sia legato ad un’osservazione a distanza dell’animale tale da vedere le due corna, ravvicinate, come una sola. Nella raccolta, poi, diversi volatili, un Meles meles, ovvero una tassidermia di tasso, nonché un Dasypus novemcinctus (Fig. 7), un armadillo, il curioso mammifero diffuso in America centro-meridionale.

Fig. 7 Dasypus novemcinctus, “Casa delle meraviglie”, Bagheria
Fig. 8 Heteropteryx dilatata, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Il nome deriva dalla caratteristica corazza presente sul dorso dell’animale. In spagnolo, infatti, armadillo è un diminutivo che significa “munito di armatura e di piccole dimensioni”, termine che gli venne attribuito nel Seicento dai primi conquistadores.

La collezione conta una sezione di entomologia, ramo della zoologia dedicato allo studio degli esapodi, in cui emerge la rara Heteropteryx dilatata (Fig. 8), genere monotipico di insetto stecco di origine malese dalle importanti dimensioni, e anche alcune Attacus atlas (Fig. 9), la cosiddetta farfalla cobra, falena diffusa nelle foreste tropicali dell’Asia, che con i suoi 30 cm di apertura alare è una delle specie di insetto più grandi al mondo e deve il suo nome al particolare disegno delle ali che ricorda i colori dell’omonimo serpente.

 

Fig. 9 Attacus atlas, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Più comuni e tra i primi elementi della raccolta sono uno scorpione, artropode velenoso degli aracnidi, caratterizzato dal corpo allungato e dalla coda segmentata che termina con un pungiglione da cui viene iniettato il veleno, e una Theraphosidae, della famiglia dei ragni, comunemente chiamata tarantola.

Questo nome era usato nei dintorni di Taranto già dalla fine del Quattrocento riferendosi ad una precisa specie di ragno. La credenza voleva che il morso di questo aracnide provocasse una condizione patologica, detta tarantismo, caratterizzata da una situazione di malessere simile all’epilessia. Si riteneva fosse possibile neutralizzare gli effetti del veleno saltando e sudando copiosamente e da ciò nacque la tradizione popolare che la danza guarisse dalla malattia. Il termine taranta è infatti anche usato come sinonimo di “pizzica”, il ballo culturalmente connesso al tarantismo.

Il Limulus polyphemus (Fig. 10), abitante dei fondali marini comunemente detto limulo, è un artropode chelicerato, unico rappresentante del genere Limulus. Nonostante il suo aspetto corazzato e la forma particolare del corpo, è più strettamente imparentato con ragni e scorpioni che con i granchi. L’esemplare della collezione, essiccato, è tenuto sottovetro.

Fig. 10 Limulus polyphemus, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Tra i numerosissimi volumi, dagli argomenti più vari, salta agli occhi il libro in tre tomi di Louis François Luc Lignac De l’homme et de la femme, considérés physiquement dans l’état du mariage. Nouvelle edition revue et augmentèe par l’Auteur. Avec nouvelles figures, il trattato di sessuologia del 1779 con legatura coeva in pelle e tavole anatomiche (Fig. 11 a-b).

Fig. 11 a-Louis François Luc Lignac, De l’homme et de la femme, 1779, “Casa delle meraviglie”, Bagheria
Fig. 11 b Louis François Luc Lignac, De l’homme et de la femme, 1779, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Tra gli scaffali anche il manuale di Samuel Auguste André David Tissot L’onanismo: ovvero Dissertazioni Sopra Le Malattie Cagionate Dalle Polluzioni Volontarie (Fig. 12), stampato a Venezia nel 1785, il libretto I Segreti della Magia Bianca ossia Spiegazione dei Giuochi di Mano Sorprendenti del Cav. Pinetti fatta M. Decremps, edito a Napoli nel 1852, volto a mettere a nudo i segreti tecnici delle arti dell’illusionismo ad opera del giurista e matematico francese Henri Decremps al fine di dissuadere i creduloni dal cadere in truffe di ciarlatani e presunti “maghi” smascherandone i trucchi più comuni, e ancora la prima edizione della riduzione per voce e pianoforte della Turandot di Giacomo Piccini del 1926 (Fig. 13).

Fig. 12 Samuel Auguste André David Tissot, L’onanismo, 1785, “Casa delle meraviglie”, Bagheria
Fig. 13 Giacomo Piccini, Turandot, 1926, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

In ambito di attrezzatura medica, la collezione conta uno scarificatore in ottone del XIX secolo (Fig. 14) utilizzato come strumento per il salasso. Le lame, rilasciate, effettuavano tagli sulla pelle per consentire il drenaggio del sangue. La profondità dei tagli era regolata tramite una vite zigrinata.

Un inquietante tonsillotomo a ghigliottina fa bella mostra di sé in teca (Fig. 15).

Fig. 14 Scarificatore, “Casa delle meraviglie”, Bagheria
Fig. 15 Tonsillotomo, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Lo strumento era adoperato per l’asportazione delle tonsille palatine nella tonsillectomia parziale. Questo strumento, non più in uso, divenne comune tra il 1870 e il 1915. Era costituito da una forchetta per fissare la tonsilla e da due anelli scorrevoli per sezionarla. Derivava da simili apparati, detti “kiotomi” o “uvolotomi”, utilizzati per sezionare l’ugola. Fu Philip Syng Physick che, nel 1826, perfezionò il kiotomo realizzato da Benjamin Bell nel 1789 per usarlo nelle tonsillotomie. Il tonsillotomo a ghigliottina di Physick era dotato di una lama scorrevole mossa da un anello terminale per il pollice e da due alette per il medio e per l’indice. Questo attrezzo venne ulteriormente migliorato intorno agli anni Sessanta del XIX secolo da Charrière e Collin, celebri costruttori di strumenti chirurgici, che sostituirono la lama scorrevole con il doppio anello e la forchetta appuntita, mossi dalla pressione del pollice sulla piccola lamina terminale.

Una scatolina di bachelite dal design Déco custodisce nove anelli, ideati da Julius Schmid, utilizzati nella prima metà del XX secolo quale dispositivo anticoncezionale (Fig. 16), mentre una raccolta di calcoli umani completa la sezione dedicata alla medicina.

Fig. 16 Julius Schmid, Dispositivo anticoncezionale, “Casa delle meraviglie”, Bagheria
Fig. 17 Coco de mer, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

La botanica è rappresentata dal coco de mer che è un seme di palma che cresce unicamente nell’arcipelago delle Seychelles, nell’Oceano Indiano, più precisamente nelle isole di Praslin e Curieuse (Fig. 17).

Questo seme è il più grande del regno vegetale e può pesare fino a 18 kg. In collezione anche un grosso frutto di Adansonia digitata, ovvero di baobab, tradizionalmente utilizzato in Africa per le proprietà terapeutiche attribuite all’alto contenuto in polifenoli.

Tra le bizzarrie della collezione è uno Snake Wine, il distillato a base di vino e serpente tipico del Vietnam e del sud-est asiatico, una sorta di grappa con rettile conservato al suo interno (Fig. 18).

Fig. 18 Snake Wine, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

Esiste anche la versione con scorpione, geco e cavalluccio marino. La leggenda vuole che questa bevanda sia nata in Cina fra il 1040 e il 770 a.C., durante la dinastia Zhou. Impiegato anche nella medicina tradizionale cinese, si pensava che potesse servire a ristabilire il vigore di una persona, rinforzandone la salute. I serpenti maggiormente usati per preparare questa bevanda alcolica sono ovviamente quelli velenosi. L’idea di base è quella di far sciogliere lentamente l’essenza e il veleno di questi serpenti nel liquore. L’etanolo dovrebbe neutralizzare le proteine contenute nel veleno, quindi, nella maggior parte dei casi, si dovrebbe trattare di una bevanda sicura da bere. Ma non sempre. È, infatti, possibile un avvelenamento cronico e sistemico.

In collezione è anche una testina funeraria in terracotta opera del popolo Akan Kwahu del Ghana che mostra un volto a tutto tondo. Gli occhi a “chicco di caffè” sono socchiusi. Le sopracciglia, formate da un doppio arco, si incontrano nella parte superiore del ponte nasale mentre la bocca è semiaperta e richiama la forma degli occhi. Durante le cerimonie funebri, che potevano aver luogo fino a due anni dopo la morte del capo, una testa o una statua che rappresentava il defunto veniva scolpita e portata in giro per il villaggio. Era poi lasciata sulla tomba del defunto o posta su un altare dove riceveva libagioni. È un culto degli antenati.

In ultimo, fotografie post mortem [6] conferiscono una ulteriore nota gotica alla collezione. Questa è stata una delle pratiche più iconiche dell’epoca vittoriana, un’usanza che, al di là dell’aspetto che potrebbe sembrare di dubbio gusto, nasconde un mondo di sentimenti che suscita commozione. Queste immagini, infatti, offrirono la possibilità di immortalare il defunto attraverso pose ed artifici che lo facessero sembrare ancora vivo. In tal modo si aveva un vero e proprio ricordo da esporre. Una sorta di “mummificazione visuale” che, fissando il defunto in un’immagine, gli garantiva un’apparente conservazione preservandone, in questa condizione simile al sonno, l’integrità.

Fig. 19 Tassidermia di genetta, “Casa delle meraviglie”, Bagheria

È necessario capire la differenza tra macabro e funebre nell’accezione di luttuoso, perché è in questa differenza che si può contraddire uno dei più grandi pregiudizi in merito all’età vittoriana ritenuta incline al raccapricciante. Il macabro nasce dalla percezione della morte come di un evento straordinario che spezza la normalità della vita. Ma il rapporto che i vittoriani avevano con la morte era diverso da quello odierno: la morte non si allontanava dal quotidiano, faceva parte della vita. Morire faceva parte del vivere, per loro era semplicemente funebre.

Se la collezione di Bagheria non è (al momento) fruibile, questo studio ne dà un assaggio a chi volesse saperne di più nell’attesa che un giorno possa aprire le porte al pubblico e accogliere appassionati e curiosi pronti ad abbandonarsi ad un’esperienza coinvolgente e ad “entrare nella tana del Bianconiglio”. Questo per scongiurare le parole di Max Jakob Friedländer:

“È il destino della collezione privata che essa venga alla luce solo al momento della sua dispersione, che morendo essa celebri il suo creatore, e che di lei non rimanga nulla, se non un catalogo, accuratamente redatto, nel migliore dei casi”[7]

Lisa SCIORTINO  Bagheria, 16 Marzo 2025

NOTE

[1] Cfr. ad esempio E. Tanagli, Mirabilia. La Wunderkammer contemporanea di Giano del Bufalo, Firenze 2022.
[2] Cfr. R. Guttuso, Natura morta con lampada blu, 1942; R. Guttuso, Nuvola rossa, 1966; R. Guttuso, Bucranio, mandibola di pescecane e drappo nero, 1984.
[3] Studi su resti di crani di Elephas Mnaidriensis Adams del Pleistocene di Sicilia, Padova 1970.
[4] I. Vincentini, Atene. Tra i muscoli dei Ciclopi, Milano 2002; R. Graves, I Miti Greci, Milano 1955.
[5] S. Marchetti, L’arte della tassidermia, Firenze 1984.
[6] M. Orlando, Ripartire dagli addii: uno studio sulla fotografia post-mortem, Milano 2010; M. Orlando, Fotografia post mortem, Roma 2013.
[7] M.J. Friedländer, Prefazione a Sammlung Julius Model Berlin, Leipzg 1929.