“… vieni ai tuoi Frigi con fausto piede, o divina”. Magna Mater: tra Roma e Zama. La mostra nel Parco archeologico del Colosseo

di Nica FIORI

Alma Madre Idea degli dei, che il Dindimo hai caro / e le città turrite e al giogo gemelli i leoni, / ora tu a guerra mi guidi, e dunque tu compi / l’augurio, e vieni ai tuoi Frigi con fausto piede, o divina”.

In questa poetica preghiera, che Enea avrebbe pronunciato, secondo Virgilio, prima di affrontare l’esercito del suo rivale Turno (Eneide, X, vv. 252-255), vengono evidenziate alcune caratteristiche della Madre degli dei, detta Idea dal monte Ida (presso Troia), che viene generalmente raffigurata seduta sul trono con una corona turrita in testa, in quanto protettrice delle città, o su un carro trainato da due leoni aggiogati.

1 Cibele, bronzo II sec. d.C., dall’Esquilino, Metropolitan Museum of art, New York
2 Tempio della Magna Mater sul Palatino
Quanto al Dindimo, si tratta di una montagna della Frigia, nei pressi di Pessinunte,  dove la dea era adorata sotto forma di un simulacro di pietra nera (probabilmente un meteorite ritenuto sacro in quanto caduto dal cielo) di forma ovoidale appuntita ed è proprio da questa città che la pietra aniconica (senza effige) della dea venne trasferita nel 204 a.C. a Roma, dove venne chiamata Magna Mater (Grande Madre) e accolta sul Palatino, divenendo l’unica divinità straniera venerata all’interno del pomerio, perché originaria della terra di Enea, il cui mito è all’origine della fondazione dell’Urbe.

A questa antichissima e misteriosa divinità è dedicata la mostra “Magna Mater: tra Roma e Zama”, ospitata dal 6 giugno al 5 novembre 2025 nel Parco archeologico del Colosseo, nell’ambito di un progetto espositivo internazionale che intreccia archeologia, mito e cooperazione culturale tra Italia e Tunisia.

Promossa dal Parco in collaborazione con l’Institut National du Patrimoine Tunisien, è curata da Alfonsina Russo, Tarek Baccouche, Roberta Alteri, Alessio De Cristofaro e Sondès Douggui-Roux con Patrizio Pensabene, Aura Picchione e Angelica Pujia. Bisogna letteralmente attraversare il Foro romano e il Palatino, perché la mostra è dislocata in sei sedi (con un’app che aiuta a orientarsi), con altrettante interessanti sezioni che ripercorrono le origini e le trasformazioni di una divinità dalle molteplici identità (Kubaba per gli Ittiti, Kybele per i Frigi, Meter Theon per i Greci), venerata per oltre un millennio nella penisola anatolica, in Grecia e nel mondo romano.

3 Presentazione della mostra

L’introduzione del suo culto a Roma è legata alla grande crisi religiosa determinata dai disastri militari subiti da Roma nel corso della II guerra punica. Gli dei ufficiali non erano più sentiti all’epoca come protettori e i loro riti erano sostituiti da forme di superstizione. Secondo quanto racconta Livio (Storia di Roma, libro XXIX, 10), nel 205 a.C., a seguito di frequenti piogge di pietre avvenute quell’anno, si diede credito a una profezia dei Libri Sibillini (i sacri testi oracolari custoditi nel tempio di Giove Capitolino e consultati in caso di avvenimenti eccezionali), che diceva:

“Quando un nemico straniero avesse portato la guerra nella terra italica, sarebbe stato possibile respingerlo e batterlo se si fosse trasferita la Madre Idea da Pessinunte a Roma”.

Il re Attalo I di Pergamo, da poco alleato dei Romani contro Cartagine, accondiscese al trasferimento del simulacro della Grande Madre solo dopo un messaggio perentorio della dea, che gli avrebbe manifestato con un terremoto il suo desiderio di partire per Roma. Il suo arrivo nel porto fluviale di Ostia è pure avvolto da un’aura mitica, perché la nave che trasportava la dea si sarebbe arenata alla foce del Tevere, e soltanto Claudia Quinta, una matrona romana o secondo alcuni una vestale, sarebbe riuscita a disincagliarla, trainandola con la sua cintura. Essendo stata accusata di cattivi costumi, la donna dimostrò con questa prova la sua castità, dopo aver pregato la dea di intervenire in suo favore.

Episodio questo che troviamo raffigurato in un dipinto cinquecentesco di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, prestato dalla Galleria Nazionale d’Arte antica di Palazzo Barberini ed esposto ora nella sezione della mostra dedicata alla fortuna della dea in età rinascimentale e barocca, presso il Museo del Foro Romano.

4 Benvenuto Tisi il Garofalo, Claudia Quinta traina la nave di Cibele, 1535 ca. Galleria Nazionale Palazzo Barberini

Alla Magna Mater era strettamente associato il dio Attis, un dio frigio della vegetazione, i cui strani culti misterici avevano luogo nel periodo dell’equinozio di primavera e culminavano con la rievocazione della sua morte e della successiva resurrezione il 25 marzo. Come si vede dai reperti in mostra, Attis veniva rappresentato come un giovane e bellissimo pastore con in testa il tipico copricapo frigio. I poeti e i mitologi variano moltissimo nel raccontare gli amori di Cibele e Attis. Secondo una versione del mito, Attis fanciullo era stato esposto sulle rive del fiume Sangario, dove fu scoperto da Cibele, che si innamorò perdutamente di lui. Quando in seguito egli, divenuto giovinetto, stava per sposarsi e abbandonare la dea, lei, colta da terribile gelosia, lo fece impazzire spingendolo a evirarsi il giorno stesso delle nozze. Attis morì dissanguato, ma la dea pentita ottenne da Zeus la sua resurrezione.

Attis, secondo una credenza, si era trasformato in un pino sempreverde, l’albero sotto il quale era morto. Ecco perché a Roma i dendrophori (portatori dell’albero), associati in un collegio, trasportavano in processione solenne sul Palatino, nel tempio di Cibele, un pino avvolto in bende come un cadavere. Dopo due giorni di digiuno e lamenti funebri, i sacerdoti di Attis, detti archigalli o Galli dal nome del fiume frigio Gallos, si flagellavano e quelli che aspiravano a diventare sacerdoti si eviravano con una pietra tagliente, per garantire così la loro perpetua castità. Le celebrazioni si concludevano con banchetti e mascherate a carattere orgiastico, celebranti il dio risorto, ovvero il suo ritorno alla Grande Madre subito dopo l’equinozio, e quindi, in termini solari, il passaggio del sole dallo zodiaco meridionale a quello settentrionale.

5-Rilievo votivo con Cibele e Attis. Venezia Museo archeologico

Il simulacro di Cibele veniva poi portato sulle rive del fiume Almone e immerso nelle sue acque, dove si celebrava il 27 marzo la Lavatio Matris Deum. Ovidio, quando parla del culto della dea nei Fasti, ci fa sapere che

Vi è un luogo dove il veloce Almone sfocia nel Tevere / e perde il nome, esso minore, fluendo in un fiume maggiore. / Là un flamine canuto in vesti purpuree / lava la Signora e le sacre cose con acqua dell’Almone. / I ministri del culto urlano, il flauto suona all’impazzata, / e mani effeminate percuotono la pelle taurina dei tamburi” (IV, 337-342).

Dopo i riti di marzo, ad aprile era prevista la festa dei Megalesia, della durata di sei giorni, che iniziava il 4 aprile, in ricordo del giorno in cui la Grande Madre arrivò a Roma. Durante questo periodo si svolgevano dei ludi scaenici, sotto la sovrintendenza degli edili curuli, e si sa che quattro delle opere di Terenzio a noi note furono rappresentate in occasione di queste festività.

Quando il culto di Cibele fu solennemente introdotto nell’Urbe, era già passato attraverso una lunga evoluzione, che aveva visto combinarsi credenze di origine diversa. Vi si trovavano usi primitivi della regione anatolica, come quello di adorare gli alberi e insieme le montagne, le rocce e le pietre cadute dal cielo. I Frigi accordavano anche i loro omaggi a certi animali, in particolare al leone, il più potente di tutti, che era sempre raffigurato come l’animale simbolico della dea. Quando la tempesta soffiava nelle foreste del monte Ida era Cibele che, trainata da leoni ruggenti, percorreva il paese lamentando la morte del suo amato Attis. Nella rievocazione del mito il corteggio dei suoi fedeli si precipitava dietro il suo carro emettendo dei lunghi gridi accompagnati dal suono di flauti, nacchere, cembali e tamburelli. Inebriati dal frastuono degli strumenti, esaltati dai loro slanci impetuosi, essi si abbandonavano ai trasporti dell’entusiasmo sacro.

6 Patera di Parabiago, piatto rituale in argento , Milano Museo archeologico

Catullo ci ha lasciato una descrizione drammatica di questa ossessione divina nel carme LXIII, terminante con queste parole:

O grande dea, o dea Cibele, signora del Dindimo, la tua tremenda furia stia lontana dalla mia casa, altri siano vittime dei tuoi deliri, altri morda la tua rabbia”.

Tutte le dimostrazioni di questo culto, per quanto esagerate o degradanti, erano ispirate da un potente sentimento religioso. Scrive a questo proposito Franz Cumont nel suo fondamentale saggio “Le religioni orientali nel paganesimo romano” (edito in Italia nel 1967):

In questa ossessione sacra, in queste mutilazioni volontarie, in queste sofferenze ricercate con trasporto, si manifesta un’aspirazione ardente a liberarsi dalla soggezione degli istinti carnali, a sciogliere l’anima dai legami della materia”.

Quando il Senato romano si rese conto della violenza e dell’eccitazione contagiosa di questi riti orientali, che tanto contrastavano con la gravità e la riservatezza della religione ufficiale, cercò di isolare il nuovo culto in modo da impedirne la diffusione. Fu proibito a tutti i cittadini romani di divenirne sacerdoti e di prendere parte alle orge sacre. I riti pertanto venivano compiuti da sacerdoti frigi, fino a che, con l’imperatore Claudio, il divieto cessò. In età imperiale si affermò, negli stessi anni in cui si andava diffondendo il mitraismo, il rito del taurobolium, ovvero una sorta di “battesimo” che prevedeva la rigenerazione degli iniziati con il sangue di un toro sacrificato (o anche di un ariete e in questo caso si chiamava criobolium). Rito attestato dalla presenza di numerose are tauroboliche nell’area del Vaticano, dove sorgeva il Phrygianum, un santuario di Cibele e Attis che doveva trovarsi in corrispondenza dell’attuale facciata della basilica di San Pietro.

L’interesse di Claudio verso questa religione può essere ricollegato al ricordo della sua antenata Claudia Quinta, che per prima aveva accolto la dea che doveva proteggere Roma. Anche altri imperatori furono devoti alla Magna Mater (soprattutto quelli della dinastia giulio-claudia e dell’antonina), ma è a Giuliano detto l’Apostata, l’ultimo imperatore pagano in epoca cristiana (ricordiamo che Giuliano era nipote di Costantino), che si deve l’Inno alla Madre degli dei, da lui definita

la sorgente degli dei intelligenti e demiurghi che governano le cose visibili, la genitrice e allo stesso tempo la sposa del grande Zeus, grande dea venuta all’esistenza subito dopo e insieme al grande demiurgo”.
7 Ara taurobolica, IV sec. d.C., dal Phrygianum, Musei Vaticani

Nella Curia Iulia è ospitata la sezione dedicata a Roma, Ostia e l’Impero. Scopriamo così che a Roma, oltre al tempio principale sul Palatino e al Phrygianum nel Vaticano, vi erano altri edifici di culto, in particolare nel Circo Massimo, dove Cibele aveva un tempio sui carceres ed era rappresentata sulla spina. Le fonti citano poi una Tholus Cybeles sulla via Sacra e la Basilica Hilariana sul Celio, sede del collegio dei dendrophori, nota anche da scavi archeologici.

Questo edificio si distingue per la sua architettura e per la ricca decorazione musiva, che include motivi simbolici del culto. Le iscrizioni menzionano dedicanti di vario rango sociale, spesso liberti, che trovavano nella basilica uno spazio di legittimazione e visibilità.

Anche nel porto romano di Ostia è attestato il culto di Cibele e Attis nel cosiddetto Campo della Magna Mater, un’ampia area di forma triangolare (situata tra la cinta muraria tardo-repubblicana e il cardo maximus), che ci ha restituito un sacello di Attis con due telamoni mostruosi all’ingresso e interessanti sculture, rilievi e iscrizioni. Questo spazio, esteso per circa 4500 mq, fu bonificato in epoca augustea per renderlo idoneo alla costruzione di edifici sacri. L’area includeva, oltre al tempio di Magna Mater e all’Attideum, anche portici, cisterne e locali che fungevano da sedi per i collegi religiosi che organizzavano le processioni durante le festività.

Le iscrizioni testimoniano la natura pubblica del culto: sacerdoti, archigalli e persino il pontefice di Vulcano, una delle divinità più importanti del pantheon ostiense, vi svolgevano attività ufficiali. Il Campus restò in uso almeno fino al IV secolo. Dal Campo della Magna Mater proviene un rilievo con Attis morente e una statua in marmo di Cibele, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e prestata ora alla mostra.

8 Rilievo con Attis morente, marmo, II sec.d.C., Parco archeologico Ostia antica

La Magna Mater entrò nelle province occidentali dell’impero romano in modi e tempi diversi a seconda dei luoghi. Furono di solito le classi dirigenti delle città a promuovere il culto della dea, che era considerata la protettrice di Roma e dell’impero. Nelle province europee non sono numerosi i templi noti, ma molti altari iscritti ricordano i rituali in onore della dea e l’esistenza di associazioni che si occupavano del culto. Da Treviri (in Germania) proviene una statuetta bronzea che mostra il giovane Attis in abiti orientali, con il pantalone aperto a evidenziare il pube nel momento dell’evirazione.

9 Cibele in trono marmo da Ostia. MANN di Napoli
10-Statuetta bronzea di Attis II – III secolo d.C. Rheinisches Landesmuseum Treviri

Anche in Africa settentrionale (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia) il culto di Cibele ebbe molta fortuna, forse perché la dea aveva caratteristiche simili alla divinità locale Astarte. Il più antico tempio noto è a Leptis Magna (72-73 d.C.), ma nel II-III sec. d.C. la Magna Mater era venerata in tutto il territorio, sia nelle città sia in centri minori. È con la diffusione del Cristianesimo, molto ostile ai riti cruenti di Cibele, che il suo culto tramonterà definitivamente.

A breve distanza dalla Curia, particolarmente significativa appare la sezione allestita nel Tempio di Romolo, che presenta per la prima volta al pubblico le opere provenienti dagli scavi di Zama Regia, con straordinarie evidenze della presenza del culto della Magna Mater nel Nord Africa romano. I reperti scoperti risalgono a periodi diversi, prima e dopo Cristo, che testimoniano la ricchezza della vita religiosa, culturale e sociale nell’antica Zama (città oggi identificata con Henchir Jama in Tunisia), celebre soprattutto per essere stata il teatro, durante la seconda guerra punica del 202 a.C., della battaglia decisiva tra Scipione (poi detto Africano) e Annibale. Città numidica e residenza reale,

Zama fu uno dei centri più rilevanti del regno di Massinissa. Situata a circa 8 km da Siliana, capoluogo dell’omonimo governatorato, ha restituito importanti testimonianze archeologiche grazie agli scavi dell’Institut National du Patrimoine della Tunisia effettuati tra il 1996 e il 2015. Le ricerche hanno portato alla luce una villa romana, un ninfeo, due templi e una cittadella bizantina. Il primo tempio, numidico, risale al II sec. a.C. e mostra una stratificazione cultuale che va da divinità locali a Cibele. Il secondo è dedicato ad Attis. Entrambi, insieme al ninfeo, formano un complesso sacro su più livelli. La vita del sito giunge fino al XIV secolo, come testimoniano ceramiche islamiche e strutture di età medievale.

11 Reperti da Zama nel Tempio di Romolo

Sebbene siano stati rinvenuti già da diversi anni, questi reperti vengono svelati al pubblico per la prima volta, dopo che recenti inventari e ricerche documentarie hanno permesso di identificarli e classificarli con precisione. Dopo il loro ritorno in Tunisia saranno esposti nel museo del Bardo a Tunisi.

12 Testa Magna Mater, tarda età ellenistica, Zama
13 Statua di Attis seduto, marmo bianco, Zama, II -III sec. d.C.

Tra queste opere inedite (una trentina) ci colpisce la testa di Magna Mater di età tardo-ellenistica, che presenta tracce di doratura e di nero negli occhi, e una statua in marmo bianco di Attis seduto con dedica al dio Attis Augusto da parte dei dendrofori Flavius Rogatianus e Flavius Romanus. Il suo volto è dorato e ovviamente ha in testa il copricapo frigio. Risale alla fine del II o al III secolo d.C.

14 Statuetta di archigallo, calcare bianco, III sec. d.C. Zama

Di Attis sono esposte diverse statuette (in una è disteso su una roccia) e vi è pure quella di un archigallo in calcare bianco del III secolo.

La mostra prosegue sul Palatino, nelle Uccelliere Farnesiane, dove i visitatori possono esplorare le radici orientali della dea e la loro trasmissione nel mondo greco ed ellenistico, con un focus particolare sul carattere misterico del culto. In una delle Uccelliere è ospitata la statua di Cibele proveniente dal Tempio del Palatino.

All’interno della statua, ora acefala, era probabilmente ospitata la pietra nera proveniente da Pessinunte.

15 Mostra Magna-Mater, Uccelliere Farnesiane

Il Tempio della Magna Mater, situato in una delle aree più significative del colle, rientra anch’esso nella mostra.

16 Statua di Cibele, calcare, VI sec. a C, Ankara Museo delle civiltà anatoliche
17 Magna Mater dal Palatino, marmo pentelico, fine II sec.

L’edificio sorgeva su un podio in tufo, cui si accedeva tramite una scalinata, ed era realizzato con colonne e capitelli in peperino rivestiti in stucco. Nel 111 a.C., dopo un rovinoso incendio, l’edificio fu ricostruito ad opera di un membro della famiglia dei Metelli, forse Q. Cecilio Metello Numidico.

Il Ninfeo della Pioggia ospita un’altra sezione della mostra, ovvero un’installazione emozionale che restituisce suoni, gesti e simboli della ritualità romana legata al culto della dea.

18 Mostra Magna Mater, Ninfeo della Pioggia

Infine, al Museo del Foro Romano, l’esposizione si chiude con una selezione di opere d’arte che illustrano la fortuna iconografica, letteraria e filosofica della Magna Mater, vista in età rinascimentale, e poi in età barocca, come figura allegorica per esprimere messaggi naturalistici, politici e morali. Ricordiamo, in particolare, Il Trionfo di Cibele del Pinturicchio (1509 ca., affresco, Metropolitan Museum of Art, New York) e altri manufatti, anche preziosi, dove Cibele compare spesso come personificazione della Terra, in un contesto allegorico di rinascita dell’età dell’oro, mentre Bartolomeo Ammannati nella statuetta bronzea dello studiolo alchemico di Francesco I a Palazzo Vecchio a Firenze la rappresenta come Opi (1571-72).

19 Paul Hübner, Tazza con Allegoria della Terra, Firenze Museo degli argenti

Purtroppo questo luogo non permette una visione ottimale delle opere pittoriche esposte, e questa pecca, insieme alla scarsa visibilità di molte didascalie, si somma alla fatica di dover seguire l’iter espositivo in così tanti luoghi, anche distanti tra loro, rischiando di perdere il filo del discorso; comunque la mostra presenta pezzi di grande interesse ed è imperdibile per gli appassionati di archeologia.

Nica FIORI  Roma 8 Giugno 2025

Info: www.colosseo.it@parcocolosseo