All’Opera di Roma successo per “L’Italiana in Algeri” di Rossini nello splendido allestimento di Luzzati e Scaparro

di Claudio LISTANTI

Il Teatro dell’Opera di Roma ha recentemente proposto una ‘storica’ edizione de L’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini proveniente dal Teatro Massimo di Palermo, basata su una celebrata regia di Maurizio Scaparro oggi riprodotta da Orlando Forioso con le scene di Emanuele Luzzati e i costui di Santuzza Calì. La parte musicale è stata affidata a Sesto Quatrini e ad una soddisfacente compagnia di canto.

L’Italiana in Algeri, indiscusso capolavoro della fantasia musicale comica di Rossini, è giunto nella stagione del Teatro dell’Opera dopo 22 anni. La sua ultima apparizione risale infatti al 2003 mentre, nel secondo dopoguerra e prima del 2003, l’opera conquistò le scene del massimo teatro lirico romano ‘solamente’ nel 1948 e nel 1987. Uno scarso numero di rappresentazioni se si considera il valore e la statura musicale di questa straordinario lavoro che anche oggi ha dimostrato una non comune capacità di attrazione nel pubblico che è accorso numeroso a godere delle prelibatezze musicali e sceniche di questo capolavoro.

Fig. 1 Un dipinto del 1815 raffigurante il giovane Gioachino Rossini.

Prima di ogni altro discorso è giusto sottolineare il ruolo che riveste questa partitura nell’ambito della produzione operistica rossiniana e, di conseguenza, della Storia della Musica e dell’Opera Lirica.

L’Italiana in Algeri fu messa in scena per la prima volta il 22 maggio 1813 al San Benedetto di Venezia, città molto importante per il giovane Rossini, per la quale produsse le famose cinque farse per il Teatro San Moisè (La cambiale di matriomonio, L’inganno felice, La scala di seta, L’occasione fa il ladro, Il signor Bruschino) che possono considerarsi i prodromi dell’opera buffa e coprirono un periodo che va dal 1810 ai primi del 1813, epoca molto importante per lo sviluppo della poetica musicale rossiniana con particolare riguardo al repertorio buffo/comico.

Rossini era giovanissimo in quel 1813 (21 anni) ma già custodiva in sé quel desiderio e quella propensione al nuovo e all’innovazione che sempre lo hanno contraddistinto e che lo rendono così importante nell’ambito della Storia della Musica. Se prendiamo in considerazione la prima metà del 1813 Rossini fu protagonista di due fatti nuovi.  Sempre a Venezia, al Teatro la Fenice, il 6 febbraio, andò in scena Tancredi. Dopo pochi giorni, il 22 marzo il Teatro di Ferrara presentò una nuova versione di Tancredi per la quale approntò un finale tragico che sovvertiva, in un cetro senso, gli stilemi dell’opera a sfondo tragico solitamente conclusa dal lieto fine. Questa fu una intuizione di particolare spessore che pose solide basi per la costruzione dei grandi drammi in musica che caratterizzeranno il teatro lirico nei successivi anni dell’800 fino all’ affacciarsi del XX secolo.

Fig. 2 Il contralto Marietta Marcolina prima Isabella della storia in una immagine di Giovanni Antonio Sasso.

Anche per l’altro ramo dell’opera, quello buffo-comico, Rossini sentiva la necessità di un’innovazione. L’opera buffa in Italia era giunta, praticamente, ad uno stallo; di derivazione ‘napoletana’ in quanto a rappresentazioni di passioni e ambienti, ormai aveva raggiunto lo zenit nel 1792 con Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa. Derivazione di questo stile erano le farse sopra citate, sicuramente semplificate rispetto al modello ma strutturate in un atto con pochi personaggi e per lo più senza coro. L’occasione di una innovazione giunse a Rossini proprio in questo ‘basilare’ 1813. Il Teatro San Benedetto di Venezia si era strutturato per raggiungere un livello più alto, ponendone le basi con la scrittura di cantanti di primo piano tra i quali il contralto Marietta Marcolini e il basso Filippo Galli. Ipotesi iniziale era quella di riproporre a Venezia il successo della rossiniana La pietra del paragone andata in scena l’anno precedente a Milano.

Fig. 3 Il basso Filippo Galli primo Mustafà della storia in una immagine di Giovanni Antonio Sasso.

Come avviene spesso in Italia, motivi campanilistici impedirono l’iniziativa per cui i responsabili del teatro si orientarono verso una nuova produzione. Siamo nel maggio del 1813 e tempo necessario per la stesura di un nuovo libretto sul quale costruire la novità non era possibile. Si prese in considerazione un libretto che Angelo Anelli scrisse per il Teatro alla Scala, L’Italiana in Algeri, ivi rappresentata il 16 agosto del 1808. Lo scarso tempo a diposizione, inoltre, costrinse Rossini ad una rapida composizione della parte musicali cha alcune fonti dicono essere stata di 20 giorni mentre altre addirittura di 18.

L’impianto di base dell’opera fu conservato ma Rossini operò un ridimensionamento dei numeri chiusi anche se particolarmente ampliati al loro interno. Sono ridotti i numeri musicali destinati ai comprimari orientando l’opera verso una struttura diversa nella quale i punti di forza sono Introduzione, Finale Primo e Grande Concertato all’interno del secondo atto. I caratteri dei personaggi rimangono praticamente gli stessi del ‘700 ma con una visione generale più ampia e di grande respiro. Tutto ciò si svilupperà in maniera costante con le successive opere buffe, Il turco in Italia (1814), Il barbiere di Siviglia (1816) e La Cenerentola (1817). Questa fu l’ossatura sulla quale è stata costruita l’opera buffa-comica dell’800 che ispirerà i capolavori di Donizetti come Elisir e Don Pasquale per giungere fino a Verdi che concluse il secolo con le deliziose evoluzioni di Falstaff.

L’Italiana in Algeri ha iniziato il suo trionfale cammino il 22 maggio del 1813 riscuotendo un deciso successo, ottenuto anche grazie alla pregevole compagnia di canto utilizzata, esito che consentì all’opera di rinnovare il successo presso altre piazze italiane fino ad arrivare ai nostri giorni nei quali l’opera viene riproposta con continuità ottenendo sempre il gradimento del pubblico.

Fig. 4 L’Italiana in Algeri. Laura Verrecchia (Isabella), Adolfo Corrado (Mustafà) © Fabrizio Sansoni. Opera di Roma 2025.

Inoltre Rossini riserva all’Italiana, come alle altre opere buffe, una elegante e brillante orchestrazione che segue tutti i momenti topici della trama, dalle scene d’insieme a quelli lirici e passionali delle arie per produrre grandi affreschi musicali e teatrali inossidabili rispetto all’usura del tempo, proprio come ha dimostrato questa recita di Italiana in Algeri che ha incantato indiscutibilmente il pubblico dopo ben 212 anni mostrando sempre freschezza di inventiva e coinvolgimento emotivo dello spettatore.

Il libretto approntato da Angelo Anelli era ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto una vicenda di cui fu protagonista la signora milanese Antonietta Frapolli, che si narra rapita dai corsari nel 1805 per essere condotta nell’harem del bey di Algeri Mustafà-ibn-Ibrahim ma che poi riuscì a tornare in Italia.

Su questo spunto Anelli costruisce una trama del tutto divertente con la protagonista Isabella che si reca ad Algeri per ritrovare il suo amato Lindoro. Qui diviene oggetto delle mire di Mustafà stanco del suo tran tran coniugale con Elvira e di quanto offre il suo harem, per essere colpito dal desiderio di avere un’amante italiana perché attratto dalla loro passionalità e dalla loro femminilità. Al suo seguito Isabella ha Taddeo, anch’egli spasimante della donna. Tar varie e divertenti situazioni Isabella impone il suo stile di donna decisa e anche innamorata per giungere così al finale che, dopo vari stratagemmi, porta Mustafà ad accontentarsi dell’amore e delle attenzioni della moglie mentre Isabella trionferà tornando in Italia con il suo amato Lindoro.

Fig. 5 L’Italiana in Algeri. Scena di insieme del secondo atto. © Fabrizio Sansoni. Opera di Roma 2025.

Lo spettacolo è risultato del tutto godibile nell’insieme grazie all’elegante scenografia immaginata da Emanuele Luzzati arricchita dai deliziosi costumi di Santuzza Calì che sono lo sfondo ideale della regia ‘storica’ di Maurizio Scaparro riprodotta per l’occasione da Orlando Forioso. Uno spettacolo brioso ed elegante che ripropone, rinnovandola, la freschezza narrativa che lo ha contraddistinto nel suo lungo cammino iniziato al Teatro Massimo di Palermo nel 2000. Uno spettacolo che a 25 anni dalla nascita non ci sembra mostri rughe o elementi datati se non il chiaro contrasto con i pretenziosi allestimenti che oggi affliggono i teatri di tutto il mondo con messe in scena per lo più incomprensibili e anacronistiche. Qui il pubblico si chiaramente divertito ad assistere alle evoluzioni della trama dimostrando interesse e partecipazione per quanto avveniva sulla scena. Che sia, questa rappresentazione, l’alba di un nuovo modo di intendere l’opera lirica per ricondurla a binari più confacenti al suo significato e al suo spirito? Auguriamoci di si.

Alla maturazione del successo ha sicuramente contribuito la compagnia di canto che ha mostrato di essere valida sotto tutti i punti di vista.

Fig. 6 L’Italiana in Algeri. A. Mandrillo (Lindoro), L. Verrecchia (Isabella), A. Corrado (Mustafà). © Fabrizio Sansoni. Opera di Roma 2025.

Nella recita del 6 giugno, alla quale con piacere abbiamo assistito, era sul palcoscenico il cosiddetto ‘secondo cast’ comunque risultato pregevole e del tutto valido. Nella parte di Isabella c’era il contralto Laura Verrecchia in possesso di una voce molto robusta nei gravi con una certa propensione al registro acuto che frequenta con facilità anche se alle volte la voce tende a risultare un po’ stridula. Si capisce che la parte specifica del personaggio era destinata ad una cantante di spessore quale era Marietta Marcolini per la quale fu scritta, che però la Verrecchia ha affrontato con sicurezza per nulla in difficoltà con i virtuosismi che la caratterizzano. Per lei una prova convincente sotto tutti i punti di vista, un contralto vero come se ne ascoltano pochi oggi che ha ottenuto un successo personale di cospicue dimensioni.

L’altra parte fondamentale dell’opera, concepita per il grande basso Filippo Galli, Mustafà c’era Adolfo Corradi che possiede una voce potente e determinata, anch’essa portata alle sfumature ed ai preziosismi vocali che evidenzia la linea di canto. Prova convincente anche la sua confortata da un altro vistoso successo personale. Stesso discorso per il Taddeo di Vincenzo Taormina risultato simpatico e coinvolgente. Positiva anche la prova del tenore Antonio Mandrillo un Lindoro dalla vocalità di carattere ‘rossiniano’ che ha valorizzato una parte non facile da realizzare ma con la quale ha dimostrato di essere a suo agio e pronto per altre interpretazioni caratteristiche di questo genere di repertorio.

Fig. 7 L’Italiana in Algeri. Vincenzo Taormina (Taddeo) © Fabrizio Sansoni. Opera di Roma 2025.

Per questo gruppo di cantanti c’è da dire che il loro pregio è stato senza dubbio l’intensa recitazione, certamente merito dell’impostazione registica ma anche di indiscusse doti teatrali di ognuno che hanno giovato alla rappresentazione. A questo elemento va aggiunto anche l’ottima pronuncia italiana che consente loro di dare, per ogni parola o frase, il giusto significato che si evidenzia conoscendo a fondo il senso delle parole che nel teatro buffo rossiniano, come in questo caso, sono state scelte per il loro doppio senso che si evince, proprio, da come sono pronunciate.

Fig. 8 L’italiana in Algeri. M.E. Pepi (Zulma), J. Ricci (Elvira), A. Alvarez Castillo (Haly), A. Corrado (Mustafa). © Fabrizio Sansoni. Opera di Roma 2025.

Tale caratteristica è stata riscontrabile anche nelle altre parti come l’Haly di Alejo Alvarez Castillo, l’Elvira di Jessica Ricci (per lei importante successo personale) e la Zulma di Maria Elena Pepi. Caratteristica di questi tre cantanti è quella di essere provenienti dal progetto “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma e testimonianza della validità del progetto.

Di rilievo la prova del Coro del Teatro dell’Opera diretto da Ciro Visco, come sempre intensa e determinante per la riuscita delle recite del Teatro dell’Opera, salutata al termine da vere e proprie ovazioni.

Infine la direzione dell’Orchestra del Teatro dell’Opera affidata per l’occasione al romano Sesto Quatrini che per la prima volta è salito sul podio del teatro romano lasciando una buona impressione soprattutto per la sua direzione funzionale allo sviluppo dello spettacolo ed alla intrinseca teatralità che questa splendida partitura possiede.

Claudio LISTANTI  Roma 8 Giugno 2025