Un Leone d’America: “…la somma bellezza è il sommo Bene”; Agostino, “De vera Religione”.

di Vitaliano TIBERIA

Presidente Emerito Pontificia Insigne Accademia Di Belle Arti e Lettere Dei Virtuosi al Pantheon

L’8 maggio 2025, festa della Madonna Regina del Santo Rosario di Pompei, alle ore 18,07, la fumata bianca intensa e prolungata che si è levata dal comignolo montato sulla Cappella Sistina, ha comunicato a centocinquantamila fedeli di ogni parte del mondo in festa nella sottostante piazza e in via della Conciliazione l’avvenuta elezione del duecentosessantasettesimo papa. Si tratta del cardinale Francis Robert Prevost, Prefetto della Congregazione dei Vescovi, che ha scelto di chiamarsi Leone XIV: primo statunitense e primo agostiniano ad esser papa.

A differenza dei suoi tre ultimi predecessori, papa Leone, non ha fatto un discorso informale a braccio, ma ha esordito con un’omelia scritta, secondo la tradizione dell’ufficialità, temperata da una voce rassicurante in un volto velato di emozione e intensamente comunicativo.

La sua prima frase pienamente pastorale è stata rivolta agli uomini di tutta la terra:

«La pace sia con tutti voi fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio».

 E’ seguita una breve omelia senza riferimenti alla propria provenienza, secondo la riservatezza propria del carisma della Regola di S. Agostino; un’omelia nella quale ha ricordato che

«la nuova Chiesa cattolica vuole essere una Chiesa sinodale, che cammina, che cerca sempre la pace, cerca sempre la carità, cerca sempre di essere vicina a coloro che soffrono».

In questo senso particolarmente suggestiva è stata la citazione di un passo agostiniano: Episcopus pro vobis, Christianus vobiscum; un motto di straordinaria intensità ecclesiale, che è stato ripreso anche da uno dei Prìncipi della Chiesa cattolica più significativi del Novecento nel campo della cultura e del dialogo con i non credenti: il cardinale Paul Poupard.

Papa Prevost ha quindi continuato nel ricordo del predecessore Francesco:

«Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede»;

e qui non sfugge la rievocazione di S. Giovanni Paolo II con la sua indimenticabile esortazione «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo» pronunziata nei momenti drammatici del lento tramonto del comunismo sovietico.

Il culmine dell’emozione è stato toccato in chiusura della breve omelia di papa Prevost, allorché egli ha concesso, oltre alla consueta benedizione pontificia urbi et orbi, anche l’indulgenza plenaria a tutti coloro che lo hanno ascoltato in presenza e da lontano con qualsiasi mezzo comunicativo; un atto di intenso valore ecumenicamente pastorale, perché l’indulgenza, anche se non sostituisce il sacramento della Confessione e la volontà morale di fare il bene, rafforza il significato carismatico della grazia divina che la Chiesa di Cristo offre agli uomini di buona volontà. Una fede nell’unità e nella pace attraverso la figura del Cristo, che papa Leone XIV ha già manifestato nel suo stemma cardinalizio, laddove il motto dichiara in lapidaria sintesi un pensiero di S. Agostino sul Salmo 127: IN ILLO UNO UNUM. Uno stemma che ribadisce la fiducia nel Cristo e nella Vergine Maria; diviso in due quarti, questo stemma reca in alto il giglio della purezza e dell’innocenza di Maria, mentre in basso appare il sacro cuore del Cristo trafitto da una freccia poggiante sul libro chiuso.

Il giorno successivo alla sua elezione, nell’omelia della messa pro ecclesia, Leone XIV ha ricordato l’attuale potere dilagante della ricchezza che oscura la retta coscienza; un potere che travolge e fa ritenere i fedeli a Cristo degli inferiori, dei poco intelligenti, delle creature deboli destinate a soccombere.

Tutto questo avviene in luoghi in cui si consumano gravi drammi esistenziali

«quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco. Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto».

L’omelia si conclude nel ricordo della Lettera ai Romani di S. Ignazio d’Antiochia, in cui il santo richiamava in senso più generale

«un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa».

Il programma di papa Prevost sembra dunque tracciato, ma è lecito credere che anche un elemento non puramente formale come la scelta del nome pontificio, Leone XIV, sia indicativo dei suoi pensieri. Nomen omen !

Per capire meglio mi sembra opportuno considerare, sia pure sinteticamente, la figura del suo predecessore onomastico, Leone XIII (Carpineto Romano 20/2/1878 – Roma 20/7/1903). Uno dei fondamenti dell’azione di quel papa, al secolo Giuseppe Giovacchino Pecci, fu il tentativo di riconciliare, dopo i vari Risorgimenti europei, la Chiesa con il mondo moderno spesso caratterizzato da pregiudizi, se non da aperta ostilità verso la dottrina cattolica, che Leone difese nella sua interezza. I tempi erano obiettivamente difficili per la Chiesa di Roma, avversata dalla diffusione sia del Socialismo che del Nihilismo, contro i quali papa Pecci emanò la Lettera enciclica Quod apostolici muneris, del 28 dicembre 1878, mentre contro la Massoneria scrisse, il 20 aprile 1884, la Humanum genus. L’anno successivo, l’1 novembre, scrisse la Lettera Immortale Dei, in cui ammetteva l’armonia fra i poteri civile ed ecclesiastico nella ricerca del bene comune senza costrizioni.

Ma il capolavoro sul piano pastorale per la questione operaia Leone XIII lo realizzò il 15 maggio 1891, con l’emanazione dell’Enciclica Rerum Novarum, in cui era sostenuta la proprietà privata, ma anche l’equo salario; un’Enciclica in cui quel papa avvertiva i rischi nel trattare una questione difficile e pericolosa:

«Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell’uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile».

Papa Leone XIII sosteneva quindi i diritti dei lavoratori e la liceità delle associazioni sindacali, al punto che fu definito il Papa dei lavoratori.

Diversamente dall’inflessibilità del predecessore Pio IX, papa Pecci dimostrò talento politico- diplomatico, riuscendo ad ottenere la revisione delle leggi anticlericali tedesche nell’indirizzo del Kulturkampft, e ad istituire relazioni più distese con il Belgio e la Russia.

Particolarmente significativo per un confronto di prossimità pastorale fra Leone XIII e Leone XIV è l’argomento delle missioni, che sono il fondamento della fede cattolica. Papa Pecci infatti fece registrare una notevole espansione del cattolicesimo in ogni parte del mondo, concretizzatasi in duecentoquaratotto sedi, quarantotto vicariati, due patriarcati; costituì quindi gerarchie ecclesiastiche in Scozia (1878), nell’Africa settentrionale (1884), in India (1886), in Giappone (1891), creando ventotto nuove diocesi negli Stati Uniti e, nel 1892, il primo Delegato Apostolico.

Fu inflessibile nei confronti del Nuovo Mondo per l’ideologia dell’Americanismo per il suo individualismo in contraddizione con il principio cattolico della fratellanza fra gli uomini e per essere dunque una pericolosa deriva verso idee modernistiche.

Un’ideologia che sembra riprendere oggi vigore negli Stati Uniti anche in ambienti cattolici, contro la quale Leone XIV ha già espresso il suo pensiero nella surricordata omelia nella messa di oggi 9 maggio. Ma spetta ancora a papa Pecci il grande impegno avveniristico per la riunificazione delle Chiese cristiane, parlando di «fratelli separati» nelle sue lettere encicliche Praeclara, del 20 giugno 1894 e Satis cognitum, del 29 giugno 1896. Nella prima Leone XIII, rivolgendosi alle Chiese orientali, le esortava alla riconciliazione con il pontificato romano, che era stato ricoperto da diversi preti provenienti dall’Oriente: Anacleto, Evaristo, Aniceto, Eleuterio, Zosimo, Agatone; una riconciliazione che si sarebbe potuta realizzare nel «vincolo di concordia», da cui avrebbe tratto giovamento anche la pace sociale e la cultura che sarebbe stata illuminata dalle «lettere», oltre che

«dalle associazioni di agricoltori, di operai, di industriali per mezzo delle quali sia repressa l’usura vorace e si dilati il campo dei lavori utili».

Leone XIII concludeva la sua enciclica nel riconoscimento della positività del progresso, ma con il pensiero rivolto alla necessità dell’azione missionaria:

«Carri e navi varcano con incredibile rapidità immensi tratti di terre e di mari; ne derivano sicuramente notevoli vantaggi non solo per il commercio e per le ricerche degli scienziati, ma anche per la diffusione della parola di dio dall’alba al tramonto».

Nella Satis cognitum, che sarà ricordata a distanza di tanti anni da Pio XII nella Mystici corporis Christi del 29 giugno 1943 e da Paolo VI nella Ecclesiam suam del 6 agosto 1964, Leone XIII invoca in chiave paolina il vincolo della pace (Efesini 4, 3 ss). Ma la sua immensa pastorale dette frutti copiosi anche nella glorificazione della Madonna e del Rosario, alla quale dedicò diverse encicliche, mentre nel 1893 volle istituire la festa della Sacra Famiglia, consacrando, nel Giubileo del 1900, tutta l’umanità al Sacro Cuore di Gesù.

In conclusione, fatte le debite proporzioni riferite ad un arco temporale di più di un secolo, sembrano significative le coincidenze fra diversi aspetti del pensiero di papa Pecci e quello che immaginiamo potrà essere il magistero petrino di papa Prevost, eletto nel giorno della festa della Madonna del Rosario di Pompei Leone XIV, che ora è chiamato a svolgere la sua pastorale attesa dal popolo di Dio, tutto.

Vitaliano TIBERIA   Roma 9 maggio 2025.