Oltre la ‘Scuola Romana’. “Storie di pittura e amicizia. Celestino Ferraresi, Antonio Laglia, Gianluca Tedaldi”. La mostra nel Museo Venanzo Crocetti (fino al 16 ottobre 2025)

di Nica FIORI

Sono tante le ragioni che possono spingere un artista o un gruppo di artisti a fare una mostra. Si può allestire un’esposizione per la voglia di farsi conoscere, per la smania di avere successo, per misurarsi con il pubblico… Questa è una mostra nata per amicizia, per passione condivisa e per il piacere di ricordare le proprie radici, che affondano nella grande arte della Scuola Romana e, in particolare, intorno alla figura di Alberto Ziveri, maestro di vita, prima che di pennello”.

Con queste parole lo storico dell’arte Marco Bussagli introduce la mostra “Celestino Ferraresi, Antonio Laglia, Gianluca Tedaldi, Storie di pittura e di amicizia. Oltre la scuola romana”, che si tiene a Roma nel museo di arte contemporanea Venanzo Crocetti dal 3 al 16 ottobre 2025.

L’amicizia tra i tre pittori nasce, in effetti, a partire dal loro fortuito quanto fortunato incontro nelle aule dell’Accademia di Belle Arti di Roma, come allievi di Alberto Ziveri (1908-1990), uno degli esponenti di spicco della Scuola Romana. Come succede spesso ai compagni di studio, la loro frequentazione non si limita al fatto di assistere alle stesse lezioni, ma prosegue nel vicino bar, discutendo di tutto e di più, e in questo caso è ancora viva a distanza di anni (anche se Ferraresi è scomparso, ma solo fisicamente) perché basata sullo stesso amore per la pittura.

2 Veduta d’insieme
Da allievi, Celestino, Antonio e Gianluca sono loro stessi divenuti maestri, padroni di una tecnica invidiabile e di mondi poetici unici e irripetibili che sono contigui e distanti fra loro al medesimo tempo”,

afferma il curatore della mostra Bussagli, che nel catalogo delinea i loro percorsi artistici e racconta aneddoti di vita, senza trascurare, giustamente, il loro Maestro. Anzi, per comprendere a fondo il significato di questa collettiva, decide di partire proprio da un’opera di Ziveri, Giuditta e Oloferne, una grande tela dal forte impatto emotivo.

3 Alberto Ziveri, Giuditta e Oloferne, 1940, olio su tela

Esposta nella IV edizione della Quadriennale di Roma del 1943, dove ottenne il terzo premio per la pittura, questa Giuditta suscitò l’interesse del giovanissimo Renzo Vespignani in gita scolastica, che percepì la figura della donna, definita “sconcia” dal suo professore, come un’immagine particolarmente viva, con

odori e sudori familiari e desiderati, e peso nel ventre, e prepotenza e ritrosia plebee”.

Ora, a distanza di più di 80 anni, la tela è messa a confronto con due opere di Laglia e di Tedaldi che s’ispirano a quel capolavoro.

Gianluca Tedaldi la cita in modo nostalgico nella sua “Vanitas” del 2024. Come in un’apparizione, la si vede appesa alla parete di un ambiente che potrebbe essere lo studio del pittore. Davanti, seduta a rovescio su una sedia, sta una ragazza seminuda, che guarda verso la tela di Ziveri, la cui Giuditta sembra voltarsi come per cercare l’approvazione dell’osservatore, dopo aver compiuto il suo atto raccapricciante.

Bussagli fa notare che nella grande libreria dipinta sulla destra è collocato un cranio umano, simbolo di morte, ed è forse questa la ragione profonda del dipinto:

È allora qui che ci voleva portare Gianluca con il suo racconto per immagini: alla radice di quel buio che solo l’arte può esorcizzare”.
4 Gianluca Tedaldi, Vanitas, 2023, tempera grassa ed encausto su tela

Decisamente inquietante appare l’opera concepita da Antonio Laglia, dove non è raffigurata la decapitazione, ma il momento precedente. L’uso del bianco e nero utilizzato dall’artista fa pensare a un fotogramma di un film noir degli anni Cinquanta del secolo scorso, ma in questo caso i personaggi sono contemporanei. Un giovane Oloferne, in jeans e con una bottiglia vuota in mano, è riverso su una coperta come se si fosse addormentato ubriaco e offre il suo collo inconsapevolmente a una implacabile Giuditta, che brandisce un machete dalla lama lucente.

Giuditta qui è una ragazza tanto esile e aggraziata, quanto crudele, ma che pare appena tornata dal supermercato … È il contrasto fra la banalità quotidiana dei personaggi e la drammatica eccezionalità di un episodio che ha segnato la storia del mondo e della Salvezza che rendono quest’opera uno straordinario esercizio di pittura,

commenta Bussagli.

5 Antonio Laglia, Giuditta e Oloferne, 2024 carboncino e pastelli a olio su tela

Nella grande sala espositiva, le opere dei tre protagonisti permettono di farsi un’idea dei rispettivi percorsi creativi, pur essendo accostate in modo apparentemente casuale, proprio perché si tratta di una “condivisione” di vita e di arte, tanto che più volte si sono ritratti vicendevolmente e hanno raffigurato le stesse modelle.

Celestino Ferraresi (1949-2016), dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte e poi l’Accademia di Belle Arti di Roma, ha ricoperto nella stessa Accademia il ruolo di Professore di Decorazione, dal 2000 fino al 2014, ed è lì che Bussagli (Professore di Anatomia Artistica) ha avuto occasione di conoscerlo come collega, ma, per quanto riguardava il suo lavoro, Ferraresi era piuttosto schivo, pur avendo esposto nelle principali gallerie italiane e più volte in Cina nell’ambito degli scambi con l’Accademia di Belle Arti di Roma. L’intenso e solitario dialogo con la luce, le riflessioni sul fascino del silenzio e sulla impietosa labilità del tempo lo portano ad evocare nel suo lavoro spazi tra realtà e memoria nel tentativo di cogliere le ragioni e i sentimenti dell’esistenza umana. Significativo è il dipinto dai toni grigi (senza titolo e non datato, ma riconducibile agli anni Settanta), che potremmo intitolare Incontro o Abbraccio, dove due personaggi si avvicinano in una posa complice, davanti a un parcheggio con le auto. In un altro dipinto sembra di cogliere l’apprensione e l’amore per il figlio Tommaso, raffigurato in bilico su un cornicione. Sono presenti anche dei paesaggi, delle scene con modelle e un curioso quadro raffigurante un mappamondo sulla sedia, il cui titolo è Il mondo stanco, forse dovuto alla sensazione di stanchezza provata dall’artista, già un po’ avanti con gli anni. Come evidenzia il curatore, con la sua pittura Celestino Ferraresi “scandaglia la realtà circostante, andando a scovare la poesia dove nessuno penserebbe che si annidi”. Emerge così, da ogni sua opera, “la capacità di far intuire il mistero in tutto quello che ripropone”, fino agli autoritratti che testimoniano con ironia le varie stagioni della sua vita.

6 Celestino Ferraresi, Il mondo stanco, 2010 olio su tela
7 Celestino Ferraresi, Senza titolo (La bagnante), 1975, olio su tela

Antonio Laglia, nato ad Amatrice (Rieti), ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero, vincendo anche dei premi, ed è stato protagonista nel 2023 della mostra “Segni nel tempo” nello stesso museo Crocetti. Ha inoltre svolto un ruolo di curatore presso gli spazi espositivi delle biblioteche Elsa Morante e Sandro Onofri di Roma. Il suo stile è orientato verso un realismo figurativo sobrio, ma emotivamente intenso, grazie anche all’uso di una luce irruenta e teatrale.

Secondo Bussagli:

L’artista è attratto dal desiderio, che è anche una sfida, di riprodurre la sostanza delle cose come se fossero vere. Il che non vuol dire – si badi bene – abbracciare una pittura banalmente realista, ma valorizzare gli oggetti e collocarli in modo che ne venga esaltata la dimensione materica. Infatti, Laglia, prima di essere pittore, per le sue opere, finisce per essere un regista, uno scenografo che crea i propri teatri di posa per ritrarli e narrare le proprie storie che sono, spesso e volentieri, dei fermo-immagine dove i personaggi hanno lo stesso valore narrativo degli oggetti che popolano la scena”.

Tra i dipinti esposti sono raffigurate diverse donne, tra cui Barbara, del 2022, la cui posa pensosa con la mano sotto il mento richiama quella della musa Polimnia, la silenziosa protettrice del pensiero degli intellettuali, spesso insoddisfatti della vita che fanno. Incontriamo, tra le altre, Paola (olio su tela, 2012), raffigurata su un divano con le gambe in su, Natasha raffigurata davanti a uno specchio in un pastello a olio su tela del 2015, Gaia e Cleo del 2024, dove Cleo è un cane, presumibilmente femmina. Ed è sempre un cagnolino, di nome Lory, a essere raffigurato in un autoritratto dell’artista.

8 Antonio Laglia, Paola, 2012 olio su tela
9 Antonio Laglia, Io e Lory, 2007 pastelli a olio su tela

Gianluca Tedaldi, nato a Roma nel 1952, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma si è specializzato in Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università La Sapienza di Roma. A partire del 1981, ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero. È socio dell’Associazione Culturale Stamperia Ripa 69 di Roma con cui collabora attivamente dal 2018, inoltre collabora come storico dell’arte con l’Istituto di Italianistica dell’Università di Siegen, la città tedesca che ha dato i natali a Rubens.

La sua è una pittura raffinata che mescola insieme tecniche tradizionali ad iniziare da una base molto oleosa e diluita (un po’ alla maniera di Utrillo) cui si aggiungono vari intrecci di velature rifinite, poi, con l’encausto, perfezionato con ritocchi secchi ad acquerello.

afferma Bussagli, il quale nel catalogo intitola il testo dedicato a Tedaldi “Quando il colore si sfilaccia”, evidenziando una caratteristica pittorica delle sue pennellate, particolarmente evidente nella già citata Vanitas.

Le sue opere sono a volte costituite da più tele, come nel caso del dittico verticale L’orto di Renato (2020, acrilico e acquerello su tela), nella cui parte inferiore troviamo un omaggio alla pittura, sotto forma di un cavalletto con una tela incompiuta.

10 Gianluca Tedaldi, L’orto di Renato, 2020 acrilico e acquerello su tela
11 Gianluca Tedaldi, Valeria assopita, 2014 tempera grassa, olio, encausto, acquerello su tela

L’iniziativa di questa mostra è partita proprio da Tedaldi, che è un po’ il teorico del gruppo, ma va a Bussagli il merito di aver fatto un’ottima ricerca e di essere entrato empaticamente nella vita e nell’arte dei tre pittori, parlandoci anche dei loro atelier, documentati in mostra con una serie di fotografie.

A questo punto è d’obbligo gettare uno sguardo sullo studio del grande scultore Venanzo Crocetti (1913-2023), ricreato nella sala espositiva. E il genius loci del museo accoglie i visitatori con queste parole:

“mi piaceva stare in quell’ambiente dove, in ogni angolo, si generava vitalità figurata”.

Nica FIORI  Roma 7 Ottobre 2025

“Storie di pittura e di amicizia. Oltre la scuola romana. Celestino Ferraresi, Antonio Laglia, Gianluca Tedaldi”

Museo Venanzo Crocetti, via Cassia n.492 – Roma

Dal 3 al 16 ottobre 2025, orari di apertura: lunedì-venerdì 11-13 e 15-19; sabato 11-19