di Nica FIORI
A matter of trust, ovvero “una questione di fiducia”.
Potrebbe essere questo il messaggio di speranza che lo scultore Matteo Pugliese trasmette nella mostra “Nelle tue mani. Gesto, arte, materia”, che si tiene a Roma dal 29 marzo al 6 luglio 2025 a Palazzo Merulana. Ci troviamo in un museo che è un bell’esempio di rigenerazione urbana e sociale, grazie alla trasformazione di un edificio degradato del primo Novecento (già sede dell’Ufficio di Igiene) in un luogo espositivo e di promozione culturale, voluto da Elena e Claudio Cerasi per ospitare la loro collezione d’arte, e che prende il nome dalla via del rione Esquilino che unisce le due basiliche giubilari di Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano, meta di innumerevoli pellegrini in questo che è il Giubileo della Speranza, come ha ricordato Paola Centanni, direttrice di Palazzo Merulana.

Devo ammettere che a prima vista il gigantesco uomo nudo in alluminio, col corpo inclinato all’indietro e a braccia aperte, mi ha fatto pensare a una figura che atterra dolcemente dall’alto su un qualcosa di non visibile, ma, leggendo la didascalia della scultura A Matter of Trust, ho capito che l’artista ha voluto rievocare un gioco della sua infanzia, quando “ci si lasciava cadere all’indietro, confidando sull’amico che ti avrebbe sorretto”.

L’opera, esposta nella sala principale del museo che accoglie capolavori del Novecento della Fondazione Cerasi, dialoga in particolare con L’uomo che dirige le stelle di Jan Fabre, trasmettendo l’impressione che due enormi uomini si fronteggino, dorato quello di Fabre e l’altro in parte argentato, integrandosi armonicamente nello spazio.
La potenza visionaria delle sculture di Matteo Pugliese, la sua capacità d’incarnare nella Materia l’aspirazione dell’essere umano verso una dimensione superiore, sublimandola in Arte attraverso il Gesto, sono il tratto distintivo di questa esposizione, curata da Carmen Sabbatini e realizzata in collaborazione con CoopCulture: una mostra ricca di più di cinquanta opere, realizzate in diversi materiali (terracotta, marmo, bronzo, resina, legno e altri) con una libertà creativa che è tipica dei grandi artisti.

Sono opere che hanno fatto il giro del mondo e che in alcuni casi sono esposte per la prima volta in Italia, come nel caso della grande installazione che dà il titolo alla mostra, Nelle tue mani, ispirata al Cenacolo di Leonardo da Vinci, custodito a Santa Maria delle Grazie a Milano. Ricordiamo che è proprio a Milano che Pugliese nasce nel 1969, anche se poi trascorre l’adolescenza in Sardegna ed è sempre nel capoluogo lombardo che, dopo la laurea in lettere moderne (con una tesi in critica d’arte) e la sua pratica della scultura da autodidatta, organizza la sua prima esposizione nel 2001, cui seguiranno una trentina di mostre personali in importanti città europee, americane e asiatiche.
Come scrive Cristina Acidini, quello di Pugliese è un omaggio a Leonardo
“da parte di un artista che grazie ai suoi studi di storia dell’arte detiene e padroneggia gli strumenti dell’approccio critico, oltre che dell’accostamento creativo: un omaggio, dunque, che al di fuori d’ogni contingente dimensione celebrativa diviene esegesi del capolavoro e arricchimento della percezione d’esso, conducendo il nostro sguardo in profondità là dove forse ci saremmo, una volta di più, soffermati in superficie”.
In effetti l’artista si concentra in quest’opera sui dettagli delle mani dei protagonisti, nel momento in cui Cristo svela che sta per essere tradito da uno degli apostoli; emergono mani e polsi che esprimono con la gestualità ciò che provano i personaggi dell’Ultima cena, evocati solo con un contorno delineato sulla parete.

La scelta di esporre le sculture di Pugliese a Palazzo Merulana nasce dal desiderio di approfondire la conoscenza di un artista che già aveva favorevolmente colpito Claudio Cerasi, come ha ricordato la figlia Alessandra, tanto da spingerlo ad acquistare l’opera Gravitas, una delle sculture più amate tra quelle della collezione permanente della Fondazione Cerasi, collocata nel cortile accanto alla caffetteria al pianterreno, e pertanto fotografata anche da chi non visita il museo (allestito nei piani superiori) e si limita a entrare nel Palazzo per un caffé. Accogliendo questa esposizione nel pieno del Giubileo, Palazzo Merulana ha voluto dare il suo contributo a una riflessione sulla sacralità dell’arte e dell’essere umano da parte di un artista come Matteo Pugliese, che mette al centro della sua ricerca il corpo umano con le sue storie di trasformazione e rinascita. Allo stesso tempo la mostra si presta a esplorazioni tattili, ovviamente con le dovute cautele, per poter percepire pienamente il linguaggio dell’artista, e a visite guidate che con modalità diverse possano favorire l’accessibilità culturale.
La mostra si articola in quattro sezioni distribuite su più piani, mettendo in evidenza una caratteristica della produzione dell’artista, il fatto cioè di non avere un’unica cifra stilistica: le sculture sono frutto di un’evoluzione e di una continua ricerca, nell’atto stesso della creazione dell’opera che prende forma istante per istante, senza basarsi su una fase preliminare di disegni preparatori.
La sezione intitolata Extra Moenia, alla quale appartiene anche la reinterpretazione scultorea del Cenacolo leonardesco, è quella di maggiore impatto emotivo, costituita com’è da figure umane incomplete che fuoriescono prepotentemente da una parete, contorcendosi nello sforzo corporeo: sembrano alludere a una lotta interiore, al desiderio di liberarsi dalle limitazioni del corpo e dalla realtà contingente.

Scrive a questo proposito Giorgio Albertini:
“Gli eroi spezzati di Pugliese, le figure incomplete o deturpate, come il caso di E.V.A., sono emblematiche di una condizione umana frammentaria, in bilico tra la prigionia della materia e il desiderio di ascensione. Pugliese, nell’anno giubilare, ci ricorda che il numinale abita nei dettagli della nostra esistenza quotidiana, nelle crepe della nostra realtà, e che il suo potere risiede proprio nel costante tentativo di dare forma all’informe, di liberare lo spirito dalla materia e di riavvicinarci a quel mistero primordiale che ci rende profondamente umani”.
E.V.A. (End Violence and Aggression), l’unica testa femminile presente in mostra, ricorda nel nome la prima donna e nei tratti del volto l’Afrodite classica, sfregiata da un colpo di piccone: è il modo dell’artista per porre l’attenzione sul drammatico fenomeno della violenza contro le donne. Forse non è casuale la collocazione a vista, sia pure a una certa distanza, di un’opera come Il segreto, che con il dito accostato alla bocca sembra alludere all’omertà, al silenzio, mentre sulla parete opposta un uomo si copre il volto con le mani, e un altro ancora spalanca la bocca in un urlo agghiacciante.


Sul pavimento sembra quasi galleggiare alla deriva una grande opera intitolata Zattera, un coacervo di teste, arti e altri frammenti corporei in terracotta, forse residui di altre sculture, ma assolutamente degni di essere salvati per la loro forte carica espressiva.

Dopo l’angoscia, il furore e il pathos trasmessi dalle potenti creazioni Extra Moenia, arriva finalmente l’equilibrio nelle figure dei Custodi, gli statici “Guardiani della Memoria” protagonisti della seconda sezione. Alti una trentina di centimetri e caratterizzati da un massiccio aspetto tondeggiante, raffigurano samurai e guerrieri delle più svariate culture, in grado di garantire con la loro presenza una tranquillità interiore ed esistenziale. Pugliese reinterpreta il concetto di “sacro” come una forza archetipica che risiede nel profondo dell’animo umano, nella tensione verso l’invisibile e l’assoluto.
Tra gli esotici guardiani di arcaica memoria suscita in particolare il mio interesse il Custode punico Bes (bronzo, 2019), che sembra richiamare quella strana divinità egizia e nordafricana dall’aspetto di nano con le gambe storte, con una pelle di leone sulle spalle e armato di spada e arco, che favoriva il giusto sonno dei dormienti, allontanando i demoni della notte. Mi piace ricordare che proprio a Roma due statue di Bes sono state collocate con funzione apotropaica ai lati della Porta Alchemica (nota anche come Porta Magica) nei giardini di Piazza Vittorio, non lontano da via Merulana.


Nel corso della presentazione alla stampa queste figure sono state avvicinate a quelle dei numi tutelari dei Romani (i Lari del culto domestico) e, andando a ritroso nel tempo, alla prima scultura umana (ma con testa di leone) legata al sacro, rinvenuta in Germania nel 1939 e risalente ad almeno 35.000 anni fa. Dal punto di vista dei materiali usati le figure dei Custodi, caratterizzate talvolta da teste di ceramica su corpi di altri materiali, potrebbero ricordare gli acroliti greci e romani, usati soprattutto per le statue colossali di divinità, con testa, mani e piedi in pietra, marmo o avorio, e il resto del corpo, nascosto dal panneggio, in legno.
Gli Scarabei, protagonisti della terza sezione, sono anch’essi dei “custodi”, ma questa volta della gioia. Se per gli antichi Egizi questi coleotteri erano simbolo di trasformazione, rinascita e immortalità, e pertanto venivano scolpiti in materiali preziosi e deposti nelle tombe, per l’artista rievocano ricordi spensierati della sua giovinezza, quando sulle spiagge sarde si divertiva a colorare il carapace degli scarabei per poi lasciarli andare via, e tutti poi si chiedevano chi avesse trasformato il loro aspetto con colori così belli. Un francobollo, una liquirizia Golia, una pagina della Metamorfosi di Kafka, la sagoma di un soldatino e i petali di una ginestra (il leopardiano fiore che riesce a crescere sulla lava vulcanica) sono racchiusi come reliquie entro piccoli contenitori che quasi spariscono nello splendore dei colori smaglianti che caratterizzano i diversi scarabei, sculture che inizialmente ci ammaliano con la loro aria misteriosa, per scoprire poi l’accostamento ironico a gioiosi momenti del passato dell’artista.


Nell’ultima sezione, intitolata “Pachamama, la Grande Madre e la Sacralità del Femminile”, continua l’esplorazione dei miti arcaici, evocando l’archetipo della “Grande Madre” attraverso una scultura in legno di noce, raffigurante una donna dal seno turgido che sostiene con le mani un bucranio all’altezza del ventre.

Pachamama, che in lingua quechua significa “Madre Terra”, è un omaggio ai popoli indigeni delle Ande, per i quali essa è simbolo di fertilità, nutrimento e abbondanza.
Ancora oggi nel mese di agosto questa divinità viene ringraziata con un rito che consiste nell’offerta di alimenti vari cucinati per l’occasione, foglie di coca e perfino il sangue di un feto di lama, sparso sul terreno per favorire il raccolto.
La curatrice Carmen Sabbatini, che ha seguito nel corso di tanti anni la creazione di un’infinità di opere di Matteo Pugliese a partire da un semplice blocco di argilla, nel suo testo di presentazione afferma:
“Nelle opere in mostra, vissuto tangibile dell’operato dell’artista, si possono solo intuire i meccanismi che l’hanno portato a realizzarle. Fare lo scultore è un lavoro fisico che coinvolge in modo diretto il corpo, il cuore e la testa, oltre al confronto con 30.000 anni di storia della scultura dalla Venere di Willendorf fino ai nostri giorni. Quando Matteo modella l’argilla, quei condizionamenti teorici svaniscono, non esiste nient’altro davanti a lui che la sua scultura, il mondo va fuori fuoco, perde la nozione del tempo e dello spazio ed è così che accade la creazione della sua arte. Senza bozzetto, solo materia e il suo gesto”.
Nelle sue mani la materia è tutt’altro che inerte e l’artista riesce a trasmettere l’immortalità di un attimo di vita.
Nica FIORI Roma 30 Marzo 2025
“Nelle tue mani. Gesto, arte, materia”
29 marzo – 6 luglio 2025
La mostra è inclusa nel biglietto di ingresso di Palazzo Merulana (via Merulana 121, Roma), che comprende la visita alla Collezione Cerasi.
Orari: da mercoledì a venerdì ore 12-20; sabato e domenica 10-20 (ultimo ingresso alle 19) Info: www.palazzomerulana.it