di Anna LO BIANCO
Caravaggio 2025: una mostra “moderna”.
Un progetto che sembra aprire a un modo nuovo di pensare una mostra. Prima di tutto il numero contenuto delle opere certamente non poche, nè troppo numerose, a confondere o a creare incertezze. Se consideriamo tuttavia che si tratta solo di opere di Caravaggio allora dobbiamo affermare che il numero è alto e raramente raggiunto in altri casi. Nessuno spazio al prima, ovvero ai precedenti, agli artisti operosi in quegli anni così prossimi, e non a seguaci, allievi, imitatori. Lo sguardo punta dritto al pittore.

Per ottenere questo però è necessario avere selezionato dipinti assolutamente determinanti nel percorso di Caravaggio, tali da riuscire a sostenere anche una esposizione a loro soli dedicata. Così è stato infatti per il Ritratto di Maffeo Barberini di collezione privata, esposto proprio qui nelle sale di Palazzo Barberini. Così è stato per l’Ecce Homo, in mostra a Madrid dopo la sua riscoperta e il riconoscimento dell’autografia condiviso dagli studiosi, corroborato dalla individuazione dei documenti messi in relazione alla committenza napoletana. Un’opera straordinaria, che realizza per l’unica volta un Cristo languido, spirituale, diverso dai precedenti perché non ricavato da un modello vivente.
Ancora, il Martirio di Sant’Orsola, cupissimo e spettrale che Mina Gregori individuò attribuendolo al pittore nel 1975 e che i documenti emersi successivamente confermarono. Un’opera che racchiude da sola tutto il dramma finale della vita di Caravaggio.

Ogni opera ha una storia chiara e insieme complessa, in grado di parlare a chi guarda. Parlare tra loro, ovvero con continui rimandi tra i dipinti esposti, e messaggi diretti allo spettatore. Chi conosce poco Caravaggio entra in sintonia con la sequenza chiara e lineare delle opere; chi lo conosce bene prova il piacere di ritrovare, in fila, molte certezze e può ripercorrere il suo bagaglio di studi.
Solo 24 opere dunque, tantissime però per essere solo del maestro. Tutte con provenienze note agli studi, caratterizzate da elementi storici, da committenze prestigiosissime, ad accompagnare la vita artistica di Caravaggio dagli inizi difficili e orientati ancora verso la pittura chiara lombarda e veneta, fino all’estremo dell’ultimo quadro, la spettrale Sant’Orsola. In pochissimi anni il pittore percorre velocemente la sua vicenda artistica e di vita che noi riusciamo a seguire passo passo nel percorso espositivo.

Un percorso cronologico, inevitabilmente, ma che accosta temi e personaggi come nel caso delle tre grandi tele in cui campeggia la stessa modella dai capelli ramati, forse proprio la famosa cortigiana Fillide Melandroni, con cui Caravaggio è in contatto e in contrasto stando ai documenti noti. Finalmente, dopo anni, la Giuditta e Oloferne della Galleria Barberini può tornare a confrontarsi con la grandiosa Santa Caterina del Museo Thyssen Bornemisza, venduta nel 1935 dalla famiglia Barberini. Confronto che nei miei anni al museo ho provato in tutti i modi a realizzare e che finalmente prende vita. Accanto a questi due quadri si aggiunge la Marta e Maddalena del Museo di Detroit, in un trittico che ci introduce alla maniera più drammatica di Caravaggio.
Non ci sono attribuzioni forzate, come spesso avviene e laddove l’opera mostri anche una sola incertezza questa viene indicata. E’ il caso del Ritratto di Maffeo Barberini della collezione Corsini, sul quale non tutti gli sudiosi concordano soprattutto per alcuni tratti più duri nella preziosa veste. Il confronto con la versione recentemente riproposta agli studi e esposta per la prima volta proprio a Palazzo Barberini già qualche mese fa, ugualmente in collezione privata, lascia emergere una qualità altissima. L’atmosfera è sospesa e la luce gioca un ruolo essenziale, mettendo in un certo senso in ombra l’altra versione.


Forse non avrei esposto come prima opera, quella che apre alla mostra, il Mondafrutto di Hampton Court Palace, non in ottimo stato di conservazione e per il quale in catalogo si scrive che “ si tratta dell’esemplare che potrebbe aspirare a essere riconosciuto come originale”. Anche perché il confronto con il Bacchino malato, vicino nell’allestimento, lo penalizza certamente


Altro elemento di grandissima novità è avere esposto il Narciso di Palazzo Barberini, escluso categoricamente dalle ultime mostre sull’artista.

Infatti dopo l’ attribuzione di Longhi a Caravaggio, l’opera è stata sottratta dal catalogo in maniera anche molto drastica, con l’approvazione del maggior numero di studiosi, che vi scorgevano un sentimento lirico lontano dai modi caravaggeschi, proponendo altri autori tra cui in primo luogo lo Spadarino. Si tratta in effetti di un quadro straordinario per l’invenzione e per la realizzazione, dai toni lunari che emergono dal fondo scuro.
Vorrei dire che mi è capitato di passare quasi quotidianamente per anni davanti al quadro, rapita dalla forza che sprigiona quella invenzione e ho sempre pensato che si trattasse di Caravaggio. Vedevo il disegno del broccato del corsetto, così vicino alla veste della Maddalena Penitente della Galleria Doria Pamphilij, lo stesso disegno e lo stesso colore, entrambi di gusto forse lombardo.
Guardando poi la bellissima testa di Narciso, inclinata a specchiarsi nell’acqua, vi scorgevo una forte somiglianza con la testa di Cristo che irrompe nella scena della Vocazione di Saulo della collezione Odescalchi, un modo di definire volto, capelli e altro. Capisco che siano solo dettagli descrittivi, ma hanno la forza di trascinare le sensazioni.


Una mostra quindi, questa curata da Thomas Clement Salomon, Francesca Cappelletti e Maria Cristina Terzaghi che offre tanti spunti nuovi di approfondimento, ma anche un viaggio unico nella bellezza e occasione irripetibile per ammirare dipinti che vengono da musei lontani alcuni qui per la prima volta.
Anna LO BIANCO Roma 30 Marzo 2025