La “visitazione”, del Cavalier d’Arpino; un ‘tesoro’ poco noto della Galleria Spada.

di M. Lucrezia VICINI

Giuseppe CESARI, detto il Cavalier d’Arpino (Arpino, 1568-Roma, 1640)

 La Visitazione (olio su rame, cm.39,5×50,9)- Inv.n.33

Il dipinto è attribuito al Cavalier d’Arpino per la prima volta da Federico Hermanin nel 1925(1), dopo essere stato considerato una copia o facente parte della  scuola del pittore.

 L’attribuzione è confermata da Federico Zeri (2) che definisce un’opera di qualità, simile ad altre del Cesari, in special modo al tondo con Cristo e i due manigoldi (olio su tavola, diam.76) già nell’Abbazia di Montecassino e ora nel Museo Nazionale di Capodimonte. Opere che mette in relazione con gli affreschi capitolini del salone del Palazzo dei Conservatori, in particolare con la scena di Numa Pompilio e l’istituzione del culto di Vesta.

Numa Pompilio istituisce il culto delle Vestali

La datazione di Zeri intorno al 1615-20, viene spostata da Rottgen (3) ad un periodo più tardo, verso il 1635-1640, per la schematica stilizzazione delle forme che ricorda, secondo lo studioso, tipi iconografici come L’Ecce Homo della cerchia del Mantegna (Musée Jacquemart-André, Parigi).

Attualmente l’opera è esposta nel piano nobile di Palazzo Spada, nella cosiddetta “Stanza di Enea”, qui trasferita da Zeri dalla prima sala della Galleria, nel 1951, in occasione del riassetto del Museo per la sua riapertura al pubblico. Si tratta di un raro esempio in rame del pittore, nonchè di insolita iconografia. Non essendo visibile al pubblico dei visitatori, se ne vuole proporre la lettura in questa sede.

Era di proprietà del Cardinale Bernardino Spada ( 1594-1661) nel cui inventario dei beni ereditari del 1661 lo troviamo già presente all’interno della sua quadreria,  esattamente nella stanza contigua alla Galleria dov’è lo studiolo grande” attuale quarta sala del Museo, descritto senza riferimento attributivo,  come: un rame senza cornice con tre donne”(4).

Nel successivo  inventario dei beni mobili del 1759, risulta spostato  nella stanza contigua al ripiano della scala grande del terzo appartamento”, al terzo piano del Palazzo,  ricordato come copia del Cavalier d’Arpino:

quadro di mezza testa per traverso, cornicie liscia dorata, con piccoli intagli nel guscio, rappresenta la Visitazione di Santa Elisabetta in mezza figura copia del Cavalier d’Arpino scudi 1,50”(5).

Il Fidecommesso del 1823 lo segnala trasferito nuovamente nel Museo, descritto tra le opere della prima sala, come: “Visitazione di Santa Elisabetta di autore incerto” (6).  In questa stessa sala è segnalato nell’appendice al Fidecommesso del 1862,  come: Visitazione di Santa Elisabetta in rame di Scuola del Cavalier d’Arpino scudi 6”(7).  Tale riferimento viene accettato anche dal Barbier De Montault (8).

Con la corretta attribuzione al Cesari, ripresa poi da Zeri ( 9), il piccolo rame è citato nella ricognizione inventariale dell’amministratore degli Spada Pietro Poncini,  del 1925,  e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 500, nella seguente maniera “Visitazione di S. Elisabetta, Cavalier d’Arpino”(1).

Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, nacque ad Arpino nel 1568. Suo padre, Muzio Cesari era un pittore locale di immagini votive, un mestiere poco redditizio in un paese soggetto a trasformazioni politico-sociali. Arpino, già possedimento del feudo di Aquino, di proprietà degli Avalos, fu venduta nel 1583 da don Alfonso d’Avalos insieme ad altri territori ciociari, a Giacomo Boncompagni, figlio di papa Gregorio XIII. Il cambiamento non giovò all’economia dei luoghi interessati  riducendo in povertà gli abitanti. Anche la famiglia Cesari fu toccata dalla miseria e spinta a trasferirsi a Roma nella speranza di sostenersi con il contributo di Giuseppe il quale fin da bambino andava manifestando ineccepibili doti di artista che poteva mettere in pratica nella grande città. Propositi che si attuarono. Quasi subito, ed aveva appena quattordici anni, divenne garzone con il compito di macinare i colori, in un cantiere al terzo piano delle Logge del Palazzo Vaticano, di cui Niccolò Circignani sovrintendeva i lavori. In quella circostanza si distinse dipingendo in disparte in una volta della Loggia, una figurina dell’Abbondanza che suscitò l’ammirazione generale e che gli aprì le porte del successo. Seguirono subito dopo altri lavori all’interno del Vaticano, come nella Sala dei Palafrenieri e nella Sala Vecchia degli Svizzeri, dove dipinse la statuaria figura di Sansone in monocromato sotto gli influssi dello stesso Circignani, di Taddeo Zuccari, Bartolomeo Spranger e Raffaellino da Reggio. Nel 1583 faceva già parte dell’Accademia di San Luca, mentre nel 1586 fu accolto nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Protetto da papa Gregorio XIII, divenne un pittore ricercato anche con Sisto V e Clemente VIII, sia come decoratore che come pittore di cavalletto. Al 1596 risalgono le decorazioni di una Sala nel palazzo dei Conservatori in Campidoglio con il Ritrovamento della Lupa. Quasi contemporaneamente fu incaricato di eseguire pitture nella sacrestia della Certosa di San Martino a Napoli e di nuovo negli anni successivi nel Palazzo dei Conservatori il ciclo con la Battaglia tra Romani e Veienti e il Combattimento degli Orazi e Curiazi per concludere alla fine della sua attività, tra il 1635 e il 1640 con i temi del Ratto delle Sabine, l’Istituzione della Religione e la Fondazione di Roma. Nei primi anni del seicento poteva definirsi un pittore affermato e agiato, conteso da ordini religiosi e famiglie nobili romane, inoltre ricevette diverse cariche onorifiche Dal 1603 al 1612 diresse la decorazione a mosaico della cupola di San Pietro su suoi cartoni e dal 1610 al 1612 la decorazione pittorica della cappella Paolina in Santa Maria Maggiore eseguita dal Cigoli, Reni e Baglione. Ma molte furono in questi anni anche le opere di cavalletto e disegni eseguiti secondo uno stile malinconico e severo,  con richiami a Sebastiano del Piombo. Nel 1615 e nel 1629 fu di nuovo eletto principe dell’Accademia di San Luca. Morì il 3 luglio 1640 e fu sepolto in S. Maria in Aracoeli; in  un secondo tempo fu traslato nella sua tomba, nel corridoio del coro di San Giovanni in Laterano(11).

Nel dipinto la visita di Maria Vergine alla cugina Elisabetta subito dopo l’Annunciazione è resa con toni dimessi e semplificati. L’incontro avvenuto in un clima di gioia e di esultanza, così come descritto dal solo Vangelo di Luca (1,36-56), si risolve in un silenzioso abbraccio tra le due donne presentate di profilo e a mezzafigura, assistito soltanto da una immagine ieratica nel fondo, allusiva forse a Maria di Cleofa o a Maria Salomé, come appaiono impropriamente in alcune iconografie rinascimentali di simile soggetto. Il fulcro centrale della rappresentazione resta Santa Elisabetta, dal volto invecchiato e contrito, speculare al volto della Sant’Anna presente sia nel dipinto con Madonna, Bambino S. Giuseppe e Sant’Anna (olio su tela, cm.95,9 x 73- New York. Sotheby’s, 1992) di ubicazione ignota, sia nel dipinto con la Natività della Vergine (olio su tela, cm.255 x 322) situato nella parete sinistra del coro della chiesa di  S. Maria di Loreto a Roma.

Posta pertanto in contrasto con la giovane Maria, la cui delicata fisionomia  richiama a sua volta le innumerevoli Madonne dipinte dall’artista  nel corso del tempo, in particolare l’Annunziata della Collezione Luigi Ciarloni di Pesaro (olio su tela, cm. 41,9×31,8), Elisabetta si china verso di lei, fissandola e stringendola fortemente a sé con la lunga mano definita “alla greco”, in uno stile di sapore quattrocentesco diventato consueto nella fase matura del Cesari (12). Dal fondo scuro risalta la calda cromia delle tonalità azzurre e ocra degli ampi panneggi, solcati da pieghe profonde e taglienti, rese con pennellate asciutte.

Al Cesari appartengono due altre Visitazioni esposte nella quarta cappella a destra del  Duomo di Reggio Emilia (olio su tela c. 248 x 155)  e presso l’altare maggiore della chiesa di S. Restituta di Narni (cm. 311 x 195). Ma si tratta di opere di taglio diverso dal dipinto Spada, realizzate nella fase giovanile, intorno al 1606,  con figure intere  inserite in un contesto architettonico, di carattere più realistico.

M. Lucrezia VICINI   Roma 19 Marzo 2023

NOTE

1) Hermanin, F., Stima delle opere d’arte e di antichità e dei mobili esistenti in Palazzo Spada in Roma, 1925, in Cannatà, R., Vicini M.L., La Galleria di Palazzo Spada. Genesi e storia di una Collezione, Roma 1992, p. 197
2) Zeri, F., La Galleria Spada in Roma, Roma 1954, pp. 59-60
3) Rottgen, H., Il Cavalier d’Arpino, Roma 1973,  p. 142; Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino, Roma, 2002, p.482
4) Cannatà, R., in Cannatà R., Vicini M.L., cit. pp. 29,52, nota n. 53
5) Zeri, F., cit. p.174, n. 880; Cannatà, R., Vicini, M.L., cit.p. 177, n. 880
6) Cannatà, R, Vicini M.L., cit. p. 187
7) Cannatà, R., Vicini M.L., cit. p. 189
8) Barbier De Montault, X., Les Musées et Galeries de Rome, Roma, 1870, p.441
9) Zeri, F., cit. pp. 59-60
10) Cannatà, R., Vicini, M.L., cit. pp. 193-196
11) Rottgen, H., sub voce, Dizionario Biografico degli Italiani, 1980, n. 24
12) Rottgen, H., cit. 2002, p. 486