di Elvira D’AMICO
Nel cuore del quartiere popolare dell’Albergheria a Palermo sorge uno scrigno prezioso di opere d’arte, tra i più misteriosi della città, per molto tempo sconosciuto ai più e solo da poco restaurato e riaperto al pubblico : l’Oratorio delle Dame al Giardinello (fig.1).
Deve il suo nome a un leggiadro giardino su cui affacciava il porticato interno dell’edificio, ma la sua particolarità è data dalla natura della congregazione che vi risiedette e lo governò ab antiquo. “Congregazione delle signore Dame, sottotitolo del Giardinello – E’ questa una congregazione secreta di Dame, e vi hanno il loro Oratorio sotto il titolo dell’Aspettazione del parto della Vergine Maria. La sua fondazione è dal 1595 …
Dal numero delle congregate se ne elegge dalle stesse ogni anno una per far da Governatrice della Congregazione, ed altre per i diversi ufficii stabiliti al buon regolamente della detta pia unione” (Palermo, 1816/1858).
Dunque una congregazione ‘segreta’ di ‘nobili’ dame, le cui Governatrici furono scelte nei secoli tra le migliori dame dell’aristocrazia palermitana e forse a ciò si deve il gusto d‘eccezione che si palesa nella scelta delle pitture, degli arredi e delle suppellettili che ornano la cappella, lo stesso profuso nei magnifici palazzi di provenienza delle aristocratiche ‘dame’. Le congregate si proponevano lo scopo primario di dare aiuto ed assistenza alle partorienti del quartiere dell’Albergheria, alle quali nelle principali festività donavano il corredino per il nascituro lavorato con le loro stesse mani. Tracce di questa attività che continua a tutt’oggi, si ritrovano nei bambinelli di cera ancora collocati all’interno dell’edificio, vestiti con abitini ricamati e avvolti in lenzuolini di merletto, molto simili probabilmente a quelli che esse realizzavano per le giovani indigenti dell’Albergheria (fig.2).
La cappella delle nobili dame ebbe una nuova vita agli inizi del ‘700 quando venne ristrutturata e rivestita di una nuova splendida veste. Tutta la magnifica decorazione d’interni commissionata dalle Governatrici ai migliori artisti del capoluogo siciliano è improntata al tema dell’imminenza del parto della Vergine e della nascita di Gesù. La tenerezza del tema è filtrata dall’immaginifico e coinvolgente tardo barocco isolano, ove le architetture illusorie accolgono e incorniciano i fatti della vita della Vergine e del Cristo Bambino (fig.3).
Esso culmina nella pala dell’altar maggiore raffigurante la Madonna del parto entro una ricca cornice intagliata e dorata (fig.4), cui una sottostate ‘selva’ di ‘frasche’ d’argento conferisce una sua ‘devota’ preziosità (fig.5).
Uno studio relativamete recente (Riva Sanseverino-Zalapì, 2007) ha proposto una rilettura delle opere dell’oratorio palermitano alla luce dei pagamenti effettuati dalle Superiore ai numerosi artisti ed artigiani che ne abbelliscono gli interni. In particolare all’ architetto-decoratore Antonino Grano si devono gli affreschi a tromp l’oleil della volta e del presbiterio, nonchè il disegno dei pregiati sedili ornati da testine femminili in legno scolpito e dorato (fig.6) (Di Natale, 2007),
tratte dal repertorio decorativo del pittore che le adopera pure nel settore dei paramenti sacri (fig.7).
Altri pagamenti sono relativi ai manufatti in tessuto commissionati ad artigiani esterni che non hanno però ancora trovato riscontro con quelli presenti nella cappella. Al 1721 si retribuisce infatti il “mastro raccamatore” per il ricamo del paliotto d’altare, identificabile col suggestivo ‘avanti altare’ in seta avorio (fig.8) ricamato a pittoresco in seta e oro filato, in cui sono riportati i medesimi motivi decorativi a volute spezzate delle architetture dipinte del presbiterio ma anche i vasi di fiori riprodotti negli intarsi lignei dei sedili. L’ipotesi di un coinvolgimento del Grano nel disegno del manufatto non è peregrina, anche alla luce della sua attività nel settore dei ricami liturgici di recente riscoperta (D’Amico, 2021); anche se egli muore nel 1718 potrebbe aver lasciato il disegno del paliotto tra gli altri eseguiti per la cappella in un periodo precedente all’espletamento effettivo dell’opera, ultimata tre anni dopo.
Bisogna attendere quasi un secolo per ritrovare un’altra annotazione di pagamento – e tra le più sorprendenti- relativa ai manufatti tessili dell’Oratorio. Al 1805 infatti è datato un altro pagamento effettuato per il ricamo di un “un palio ed il portellino del tabernacolo”, che questa volta le dame affidano alle suore del collegio di Maria della Kalsa, che richiedono pure l’ausilio di un disegnatore.
Non sfuggirà l’importanza di tale commissione che indica il rinomato collegio palermitano della Kalsa al servizio di una committenza nobiliare di primo livello, preferito all’altro più vicino collegio di Maria all’Albergheria.
“Serve questo Collegio di Maria per la educazione delle ragazze del quartiere della Kalsa, e si conosce sotto titolo del Collegio di Maria alla Sapienza, o del P.d. Ignazio Capizzi, perché questo sacerdote gran servo di Dio ne fu quasi il fondatore, quantunque prima gli avesse dato principio il sacerdote Don Gaetano Lo Piccolo” (Palermo, 1816/58).
Esso fu annesso alla chiesa di S.Maria della Sapienza edificata “per l’uso delle conviventi in detto collegio”(Di Marzo Ferro, 1858), ancora esistente sebbene in stato di abbandono al pari dell’intero complesso al centro dell’antica piazza Magione (fig.9).
Lo storico contemporaneo dunque ci informa che in tale collegio si formavano le giovani del quartiere marinaro della Kalsa, figlie di umili pescatori, la cui fama di ottime ricamatrici, le migliori della città, pur’esse al servizio della nobiltà palermitana, non a caso continua sino ai giorni nostri.
L’istituto, definito nei documenti d’archivio anche “collegio di Maria alla Magione”, doveva rifornire altre importanti chiese del palermitano come l’Abbazia di San Martino delle Scale, ma difficile è a tutt’oggi l’identificazione di manufatti ancora esistenti usciti da tale struttura corrispondenti ai documenti d’archivio. Perciò particolare interesse assume la plausibile identificazione del “palio” pagato nel 1805 col raffinato arredo sacro, oggi sito nel refettorio, in seta cremisi con ricami nel tradizionale punto steso in oro filato e lamellare, in stile neoclassico-impero, che costituisce dunque l’unico manufatto finora noto – a quanto mi risulta – realizzato dalle suore ricamatrici della Kalsa (fig.10).
Suddiviso in tre riquadri campiti da girali e motivi a candelabra con ai lati due vasi stilizzati da cui fuoriescono girali e rami di minuscoli fiorellini scintillanti (fig.11),
presenta in centro il monogramma mariano contornato da un ramo di palma e uno d’ulivo e sormontato da corona (fig.12).
Dalraffronto coi manufatti degli altri collegi palermitani, eseguiti con uno stile più sobrio e calligrafico, si colgono le caratteristiche dello lo stile ‘colto’ e fantasioso delle collegine della Kalsa, improntato a una maggiore ricercatezza, grazie alla creazione di effetti luministici particolari, che simulano talora l’effetto di luccicanti pietre preziose.
Il documento del 1805 cita pure il ricamo del portellino di tabernacolo, identificabile col rivestimento interno dello sportello dell’unica custodia della cappella, ricamato interamente in oro col cuore fiammante di Gesù (fig.13).
Anche qui la profusione dell’oro e la perfezione dell’esecuzione connotano di nuovo lo stile delle suore collegine della Kalsa come particolarmente ricco e prezioso, rivelandoci anche che l’inusitato settore dell’abbellimento interno dei tabernacoli era riservato, per la sua delicatezza e ‘segretezza’, alle sole ‘moniali’ siciliane.
Elvira D’AMICO Palermo 26 Marzo 2023
BIBLIOGRAFIA