“Achille Funi: ‘900 Classico e Rinascimentale. Dipinti, disegni e cartoni” (dal 4 al 28 aprile 2024 al nuovo Spazio Antico e Contemporaneo. Via Margutta, 81).

redazione (testo di Marco Fabio APOLLONI)

Laocoon Gallery & W. Apolloni

presentano

Achille Funi: ‘900 Classico e Rinascimentale. Dipinti, disegni e cartoni

 Achille Funi: ‘900 Classico e Rinascimentale” a Roma.

Questa mostra, già allestita a Milano e Bergamo, è un omaggio al grande artista ferrarese che fu maestro alla scuola di Brera, e affrescatore instancabile, non solo a Milano dove visse e operò, ma anche a Roma, nella sua Ferrara, antica città estense, a Padova e persino in Tripoli di Libia al seguito del conterraneo Italo Balbo.

La mostra è promossa dalla Laocoon Gallery di Londra, che accomuna il lavoro della Galleria del Laocoonte (Monica Cardarelli) sul Novecento figurativo italiano, con la tradizionale conoscenza antiquaria della galleria W. Apolloni (Marco Fabio Apolloni).

“Achille Funi: ‘900 Classico e Rinascimentale” comprende dipinti ad olio come la monumentale “Venere Latina”, già esposta alla Biennale di Venezia del 1930, cartoni per affreschi come quelli per la chiesa milanese di S. Giorgio a Palazzo del 1931, oppure quello per La battaglia di Legnano affrescata nel 1950 nella sala consiliare di Palazzo Frizzoni a Bergamo, disegni, e la smisurata tavola, raffigurante “Il Parnaso, che Achille Funi tenne nella stessa aula di Brera dove egli insegnò tecnica dell’affresco fino alla sua morte.

Questa mostra privata, e commerciale, al servizio del collezionismo pubblico e privato, si arricchisce ora a Roma dal ritorno di due opere prestate alla grande mostra istituzionale che Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, ha appena dedicato ad “Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito”, realizzata dalle curatrici dell’archivio Funi, Nicoletta Colombo e Serena Redaelli, e da Chiara Vorrasi. Questa grande antologica non è stata soltanto un doveroso omaggio della città natale all’artista che nel ‘900 ha così efficacemente contribuito a ravvivare con la sua arte il mito della sua originalissima anima rinascimentale, ma ha rappresentato il culmine di una Funi renaissance”, che da qualche anno a questa parte ha rinverdito la fama di Funi e il gusto per la sua arte neoclassica e neo-rinascimentale che ad occhi postmoderni riappare fresca e nuova come forse nemmeno i suoi contemporanei, confusi tra battaglie artistiche e crolli d’imperi di cartapesta, seppero vederla.

Tornano a casa dunque il grande cartone per l’effimera “Sala dell’Eneide” che fu affrescata – e poi distrutta – per la IV Triennale di Monza del 1930. Il gruppo di Didone insonne per amore con sua sorella Anna fu composto per la prima impresa in cui Funi scoprì in se stesso il grande frescante che doveva diventare. Pompeiano e fidiaco, il gruppo è reso moderno dallo spirito metafisico, dechirichiano, che inquietamente lo anima. Non a caso in esso si può vedere l’ispirazione per la terracotta monumentale, raffigurante la coppia femminile de “Le Stelle” di Arturo Martini, sorelle anch’esse, di due anni posteriore all’affresco di Funi.

L’altro prestito ora restituito e visibile a Roma è il cartone colorato per la “Vergine Annunciata”, affrescato per la Cattedrale di S. Francesco a Tripoli. La Madonna, che sul grande foglio preparatorio ha l’aspetto e la posa di un’elegante diva del cinema dei telefoni bianchi, è in realtà il ritratto della praghese Felicita Frai, che morirà a Milano centenaria nel 2010, amante e assistente di Funi dal tempo degli affreschi della Sala della Consulta del Municipio di Ferrara (1934-37), scaricata all’improvviso proprio dopo il loro lungo soggiorno in Libia.

Entrambe le opere potranno essere ora ammirate nella mostra  a Roma in via Margutta 81.

La bionda Felicita Frai ha prestato il suo volto anche al personaggio di Parisina, eroina tragica protagonista di una delle pareti affrescate della Sala della Consulta a Ferrara. Giovanissima sposa del marchese Ferrara Niccolò III d’Este, ebbe una relazione adulterina con il figlio di questi, Ugo, suo coetaneo. Scoperti, entrambi gli amanti vennero fatti decapitare su ordine del tradito marchese, nel 1425. Lei aveva 21 anni, vent’anni lui. Funi li ritrae teneramente abbracciati in un pastello preparatorio per l’affresco, Ugo appare come un giovane androgino dalla nera chioma scarmigliata. Anche Ugo è un ritratto, quello di Leonor Fini (Buenos Aires 1907 – Parigi 1996), la futura pittrice surrealista che fu anch’essa di Funi assistente e ninfa Egeria.

Oltre ai già nominati cartoni per la chiesa di San Giorgio a Palazzo, che raffigurano legionari romani che paiono discesi da un rilevo imperiale, si espone un disegno per la figura di S. Giorgio, nudo e legato, alla vigilia del suo martirio, delicatamente disegnato come in punta d’argento, sottilmente ombreggiato come un disegno tardo quattrocentesco.

La “Venere Latina”, titolata anche “Il nudo e le statue”, ritrae Venere rinata, resuscitata tra le rovine della distrutta classicità, frammenti di sculture e capitelli, così come la pittura raffigura la statua di Pigmalione che prende vita per miracolo divino: le gambe ancora di pallido marmo, il corpo già vivo e pulsante sotto il roseo incarnato. Esposto alla Biennale di Venezia nel 1930, è il manifesto del neoclassicismo funiano.

La stessa illusione d’una mano maestra antica, su carta colorata scura, lumeggiata di bianco come una notturna apparizione argentata dalla luna, è il cartone di una musa, Talìa, la musa della Commedia. Discinta e scarmigliata come una Baccante, tiene in alto per i capelli una maschera comica così come la madre di Penteo, nella furia bacchica, tiene la testa del figlio spiccata dal busto nelle Baccanti di Euripide. Questa figura monumentale, alta più di due metri, è uno dei saggi più impressionanti di imitazione dell’antico prodotte da Funi, nel cartone più bella che nella sua realizzazione al Teatro Manzoni di Milano.

Le Muse sono anche le protagoniste, con Apollo, della grande tavola a tempera, con fondo a foglia d’oro, dipinta da Funi nell’immediato dopoguerra. Il Parnaso”è lungo quasi cinque metri e alto più di due. Sul fondo di una selvatica siepe d’alloro che pare strappata dalla parete di una villa pompeiana, si stagliano le nove sorelle, sovrastate dal dio della poesia e della musica, loro fratello. Tra esse vi è una statua marmorea di Venere e all’estrema destra un maturo pastore, certamente Giove che in questa forma si giacque con Mnemosine per nove notti consecutive, generando ogni volta una delle nove muse.

L’ambiziosa composizione di Funi, che si propone come epigono novecentesco del Parnaso di Raffaello in Vaticano, di quello di A. R. Mengs a Villa Albani, e del meno noto affresco d’uguale soggetto che Andrea Appiani dipinse a Villa Reale a Milano, testimonia del costante amore dell’artista per la pittura Roma antica, per la quale si fece più volte pellegrino d’arte al Museo Nazionale di Napoli e a Pompei, dove la famosa Villa dei Misteri, uno dei cicli più belli e integri dell’antichità, divenne accessibile al pubblico solo nel 1931.

Non sappiamo se il grande pannello del Parnaso di Funi sia stata una commissione non andata a buon fine. Di proprietà del pittore, fu custodita fino alla morte di lui nell’aula di Brera dove insegnava tecnica dell’affresco. Passata a Luigi Colombo, gallerista ed esecutore testamentario dell’artista, è passata nei primi anni ’90 in una collezione privata, da cui è emersa solo recentemente. Esposta alla mostra dedicata ad Ulisse a Forlì, torna ora a farsi ammirare nuovamente a Milano, dopo più di cinquant’anni.

Il cartone della Battaglia di Legnano, preparatorio per gli affreschi della sala conciliare del Municipio di Bergamo mostra il momento in cui a Federico Barbarossa fu ucciso nella mischia il cavallo, e l’imperatore rischiò di finire catturato. La mischia è brutale come brutali le fisionomie dei combattenti, al modo di un Paolo Uccello che abbia perso il suo carattere di favola. La guerra, quella vera, recente, spietatamente moderna del 1940-45 è da poco trascorsa, ed è chiaro che l’artista non possa veder niente di bello in una battaglia se non la sua fine.

L’ultimo cartone esposto, alto più di tre metri, raffigura Cristo crocifisso. Fu realizzato per una delle ultime opere di Funi, gli affreschi per l’abside della chiesa di S. Antonio da Padova dei Frati Minimi di S. Francesco da Paola, chiesa distrutta dalla guerra e completamente ricostruita. Gli affreschi furono in realtà realizzati nel 1962 da due allievi dell’ormai settantaduenne maestro, e nonostante la sua supervisione e i ritocchi a secco con cui pure egli lì completò, essi non raggiungono la forza e la potenza del cartone realizzato dal maestro, vero e proprio dipinto a tempera su carta, grande nella misura e nell’intensità drammatica con cui Funi riuscì ad immedesimarsi nella mente dei pittori del Trecento, facendo vorticare sullo stesso foglio dov’è appeso il monumentale cadavere di Cristo Crocifisso, i colori di un sole e di una luna che hanno lo smalto e la freschezza di un affresco cavalliniano.

È giusto che Funi possa rivedere le sue opere con i suoi occhi: vivi, espressivi e penetranti come se li è dipinti nell’autoritratto “estivo” del 1955, prestato dalla collezione romana Facce del Novecento. Il rosso di una fetta d’anguria, la maglietta a righe, il cappello di paglia, le iridi scure a pallottola, fanno pensare per un attimo a Picasso in Costa Azzurra, è invece Socrate Virgilio Funi, detto Achille, nel suo villino di Forte de Marmi.

A questo si aggiungono in questa finale edizione romana della mostra altri prestiti eccezionali: il ritratto di Achille Funi dipinto da Alberto Savinio nel 1931, e due disegni, di Anselmo Bucci e di Cipriano Efisio Oppo, che hanno immortalato Funi all’opera in un’arte diversa da quella della pittura, in cui egli è stato, a detta dei contemporanei eccezionale, quella di tirare la pasta all’uovo per realizzare ineguagliabili tagliatelle. Aveva appreso quest’arte dal padre, mastro pastaio, e dalla sua più grande madre, la Ferrara degli Este, dove furono inventate ispirandosi alle dorate chiome di Lucrezia Borgia quando giunse sposa del duca Alfonso nel 1502.

Marco Fabio APOLLONI  Roma 3 Aprile 2024

Email: monica.cardarelli@laocoontegalleria.it

Telefono +39 06 68308994 – 06 36002216

Catalogo della mostra a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli (Laocoonte edizioni)