“Oh scusa dormivi…”. Rappresentato al Teatro Tordinona “il male di vivere” di una coppia “alla disperata ricerca di un filo che li unisca”.

di Marco FIORAMANTI

Roma, Teatro Tordinona

OH! SCUSA DORMIVI…

(testo di Jane Birkin – trad. it. di Alessandra Aricò)

di/con Marco Solari e Alessandra Vanzi (in collaborazione con Gustavo Frigerio)

ANATOMIE D’UN COUPLE

Polsi legati / ai polsi del guerriero / che ti respira.

(hai-K.O.)

Parigi, primi anni Novanta. La Birkin mette in scena a teatro un suo testo intimo, autobiografico, nel quale dichiara la sua deriva

Oh Mi dispiace che stavi dormendo! Non riesco più a dormire, vedi. Il momento è perfetto per dirmi se mi amavi. Se mi amassi ancora…

tira fuori i suoi fantasmi, racconta le sue perdite, esterna i suoi dubbi esistenziali e sue disperazioni.

Quello che i due magistrali attori/registi ci propongono è una versione fedele del testo, ma la scelta dell’allestimento scenografico punta all’essenziale. Messa da parte l’originaria stanza da letto – e il letto stesso come fulcro dinamico dell’azione – lo spettatore, già a sipario aperto, si trova davanti un tappeto illuminato al centro della scena.

Il pigiama che Marco e Alessandra, avviati verso una senescenza rispettabile, indossano al loro ingresso dalla quinta di fondo ci fa subito capire che l’atmosfera è notturna, dall’incipit di lei si evince che lo ha svegliato di soprassalto e che lui, dai gesti scomposti, era ancora immerso nel mondo dei sogni.

Lentamente ha inizio un dialogo serrato che parte da lontano, e non possiamo non immedesimarci, a più riprese, nella vita reale dell’autrice anglo-francese quando era

“costretta a prendere dei sonniferi per evitare che facesse rumore col pianto, ma fin da piccola con grandi difficoltà a dormire la notte”.

Questa vita d’inferno viene espressa e raccontata in un atto unico, praticamente un pianosequenza (s)composto da diciassette quadri scenici scansionati da attimi di buio, quanto basta loro per dare seguito agli eventi e assumere, nei giochi di ruolo, una nuova posizione nello spazio scenico.

Il soggetto dell’intera pièce è, ca va sans dire, la malattia dell’amore, il vizio assurdo del possesso, le ceneri della passione e la condanna dell’abitudine. Un altalenarsi crescente di malinconie e slanci giocosi, di accuse, di rimbrotti, di vecchie ferite, di seduzioni, tra spiriti indubbiamente affini, ora lontani ora vicinissimi, dove ciascuno mostra a sua insaputa i propri lati oscuri.

Più aggressiva (suggerita dalla partitura scenica) è l’istrionica Vanzi, la quale può/deve permettersi maggiori slanci e provocazioni, rispetto al ruolo elegantemente espresso da una inerzia forzata di un Marco Solari, il quale subisce la mise-en-place dei dubbi e delle ansie di lei:

Se non mi ami più, non mi amo più neanche io!  oppure  Non sono d’accordo con questi terribili silenzi!.

Molti gli apparentamenti in questo dramma di “conversazione di coppia” dove emergono disperazione e solitudine. Sono i protagonisti più figli del Bergman di “Scene da un matrimonio”, dove la figura femminile sovrasta in nevrosi il partner? O più figli di un teatro beckettiano, Alessandra Vanzi non è forse una Winnie di Oh les beaus jours! versione antiborghese? Non sono forse analoghe le premesse dei due, intrappolati in invisibili cumuli di sabbia, alla disperata ricerca di un filo rosso che li unisca (e li salvi)? In entrambi i casi la lotta singola per la ricerca di un senso viene sintetizzata dalla Birkin nel disperato, kafkiano, irriducibile malessere della condizione umana: “né con te né senza di te”.

Marco FIORAMANTI  Roma  28 Aprile 2024