di Mario LIPARI e Gaetano BONGIOVANNI
Mario Lipari, (Catania, 1997), è uno studioso e divulgatore d’arte; laureato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in Archeologia e Storia dell’Arte con curriculum storico-artistico, è stato allievo dei professori Alessandro Rovetta e Paolo Biscottini. Ha avuto esperienze lavorative di ambito museale presso varie realtà, tra cui la Casa Museo Bagatti Valsecchi e la società Save Italian Beauty. Promuove l’arte tramite contenuti multimediali e articoli, facendo anche ricerche di approfondimento su tematiche storico-artistiche. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art.
Il “piacere degli occhi” è ragione fondamentale di ogni viaggio in cui l’appagamento puramente estetico del “vedere” diventa base dell’osservare.
M.Ciancio Sanfilippo
All’interno dello scrigno marmoreo policromo, nascosto nell’urbe catanese, conosciuto come la Chiesa di San Francesco Borgia il pubblico ha l’opportunità di ammirare la mostra temporanea “La Sicilia dei Cartografi” (fig.1 ).
78 incisioni, tra cui 35 di carattere cartografico, 26 a tema paesaggistico e 17 figurative con una particolare attenzione a soggetti religiosi.

Essa è costituita dalla nutrita collezione di incisioni antiche, dal XVI al XIX secolo, di proprietà della famiglia Tosoni e avviata per volere di Remigio Tosoni, marchigiano nato nel 1944 a Sant’Elpidio a Mare e poi “trapiantato” in Sicilia nel catanese. I curatori della mostra sono gli architetti Giuseppa Pulvirenti e Vitaliano Tosoni, madre e figlio che in questo scenario antiquario di elevato interesse sono riusciti a portare pezzi pregiati, sia per l’occhio che per l’effettivo valore materiale e storico.
Ma non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo della mostra, perché la Collezione R. Tosoni, su questo palcoscenico ecclesiastico, espone non solo mappe storiche, ma anche documenti d’epoca e rare incisioni che deliziano per la loro bellezza vedutistica e sacra (fig.2).

Opere che, in quanto pregevoli testimonianze visive, permettono inoltre di far riscoprire al visitatore il volto della Sicilia nel corso dei secoli, svelando non solo il suo territorio, ma anche la sua storia e la sua cultura (fig. 3).

Una mostra che ha visto la luce anche grazie alla promozione del Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, intenzionato a valorizzare il patrimonio culturale e cartografico della regione nella prospettiva di accendere l’interesse del pubblico verso un’arte spesso non considerata al pari delle opere pittoriche e scultoree, ma che merita riscatto.
È giusto premettere, per amor della massima chiarezza, che i pezzi qui esposti sono esemplari di serie in cui si annoverano, spesso, numerose copie. Questo perché caratteristica fondamentale dell’incisione è l’alta riproducibilità concessa dal supporto che permette, così, anche la quasi inesauribile reiterazione del modello interessato nel tempo.
Inoltre, questa mostra presenta solo una selezione della raccolta di Remigio Tosoni; infatti, delle circa mille incisioni l’esposizione in San Francesco Borgia ne conta 78. Nel seguente articolo si considereranno solo alcuni dei pezzi in mostra e con fotografie amatoriali di pessima fattura, che non rendono giustizia al fascino della collezione Tosoni, in modo da accendere la curiosità del lettore e invogliarlo a visitarla personalmente.
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Cartografia
La cartografia è la scienza impegnata costantemente, sin dall’antichità, nella rappresentazione della superficie terrestre, spesso su supporti piani come le carte geografiche. Si parla di una disciplina che utilizza conoscenze scientifiche, tecniche e artistiche con lo scopo di raffigurare simbolicamente, ma nella volontà di riportare il vero, le informazioni geografiche (ma anche demografiche, culturali, statistiche, economiche, politiche, e altro sempre relativo allo spazio geografico).
Nel contemporaneo, avendo ormai le immagini satellitari e i servizi di geolocalizzazione come Google Maps, si ha la possibilità di fruire di immagini incredibilmente dettagliate della superficie terrestre. Un benessere che ci fa quasi dimenticare che per la maggior parte della storia dell’umanità il mondo è stato un mistero su cui cartografi, scienziati, uomini di fede e sovrani hanno impresso i propri sogni e disegnato le proprie idee, mostrando anche un cambiamento, attraverso i secoli, della percezione e raffigurazione dell’orbe terracqueo. La verità è che, se si dovesse concentrare il seguente articolo sulla storia della cartografia, non basterebbe l’intero storico dell’editoriale, perché si tratta di un passaggio visionario dell’uomo che, spesso, trascendeva la realtà per addentrarsi nella fantasia rifocillata dall’arcano e dalla spiritualità.
Ma “limitando” la nostra visione alla cartografia più “scientifica”, disegnare le mappe fa parte dell’esperienza umana esigente nel colmare la propria ignoranza; quest’ultima andava colmata con punti di riferimento che potessero essere alla “facile” portata delle proprie mani. Si adoperano, così, matematici, astronomi, cartografi e artisti spinti dalla curiosità di rendere visibile, con uno sguardo dall’alto, il mondo.
Fu grazie anche all’invenzione della prospettiva e della stampa che si incrementò l’interesse per la rappresentazione cartografica di terre vicine e lontane, come anche per la descrizione figurata degli agglomerati urbani. Si configurano così gli Atlanti e per la loro realizzazione si intensificano i viaggi geografici e cartografici.
Tra le terre del pianeta, l’isola Trinacria ha costantemente suscitato curiosità e attenzione. Ampiamente visitata sin dall’antichità e densa di riferimenti mitici, l’isola maggiore del Mar Mediterraneo ha destato un tale fascino nel viaggiatore, sia per la sua centralità che per la sua bellezza, da essere il luogo in cui hanno prevalso viaggi di carattere commerciale, militare, politico-diplomatico, religioso e culturale. Una tale ricchezza mescolata al desiderio dell’uomo non poteva che sviluppare l’esigenza della rappresentazione cartografica della Sicilia.
La prima carta cartografica che merita i riflettori del presente articolo è sicuramente la “Sicilia Regnum” (fig.4), dell’incisore svizzero Matthäus I Merian (Basilea 1593 – Bad Schwalbach 1650). Un’incisione su rame proveniente dall’opera Topographia Italiae e datata al 1645[1]. La carta acquarellata presenta, in alto e partendo da sinistra, gli stemmi della corona spagnola[2] e del Regno di Sicilia[3] e, fra questi, due velieri in battaglia. In basso, il titolo della mappa in latino è inserito in un bel cartiglio incorniciato da una ghirlanda di elementi vegetali tenuti da nastri e, in cima, da una maschera grottesca.

La carta, nella sua impostazione topografica, fa riferimento alla mappa del matematico padovano Giovanni Antonio Magini edita nel 1620; facente parte di una vasta opera costituita da 61 tavole, lo scopo del Magini era rappresentare l’intera mappa dell’Italia, illustrandone stati, regni e regioni. Procedendo da nord a sud, la Sicilia fu l’ultimo territorio ad essere rappresentato dal Magini, acquisendo una grande fortuna[4].
Anche la “Sicilia” dall’Atlas Noveau [5], 1686, di Hubert Jallot[6] (Avignon-lès-Saint-Claude 1632 -Parigi 1712) illustra nel dettaglio la divisione territoriale dell’isola all’epoca, portando a una netta divisione delle tre principali aree territoriali: Val Demone, Val di Mazara e Val di Noto (fig.5).

L’opera mostra, in alto a sinistra, un gradevole cartiglio con la rappresentazione mitologica delle due divinità marine, Scilla e Cariddi, che tengono in alto lo stesso, con uno stemma e altre figure allegoriche che sormontano l’immagine. Lo stemma rappresentato è di Francesco di Borbone, duca di Saint-Fargeau e principe Delfino d’Alvernia, che mostra sul blasone inquartati nel primo e quarto riquadro tre gigli e nel secondo e terzo un delfino. In basso a sinistra la scala delle miglia, contornata da Cerere e Vulcano, presenta sotto un primo tentativo di legenda con simboli relativi ai castelli, vescovati e abbazie (riscontrabili in pianta seppur aguzzando la vista).
Ma la Sicilia, come già detto, attraeva i viaggiatori anche per la sua storia antica. Nel primo ventennio del Seicento a percepire la potenzialità archeologica dell’isola fu Philipp Clüver (Danzica 1580 – Leida 1622). Dopo gli studi geografici, storici e d’antiquaria compiuti a Leida, l’umanista e geografo tedesco diede inizio ai suoi viaggi attraverso l’Europa e giungendo in Italia nel 1615. Italianizzato Cluverio, lo storico tenne un diario di viaggio italiano, una raccolta delle sue ricerche di geografia e topografia storica il cui culmine furono le pubblicazioni, in latino[7], nelle opere Italia antiqua e Sicilia antiqua. La Sicilia antiqua del Cluverio, pubblicata a Leida nel 1619, costituisce opera fondamentale per la conoscenza della topografia e della geografia antica dell’isola tra Cinquecento e Settecento. L’opera contiene anche la carta della Sicilia, con la descrizione della “Sicilia antiqua” la carta è ripresa dal punto di vista cartografico dalla mappa del Mercatore e riporta i toponimi delle antiche città, fiumi e monti, in latino. La carta del Cluverio, per le indicazioni fornite, fu molto ricercata dai viaggiatori interessati a conoscere i luoghi dell’arte greco-romana, tanto da essere riprodotta in più versioni.
In mostra se ne espone un’incisione acquarellata datata al 1697, “Siciliae Antiquae Descriptio” (fig.6). Oltre all’isola con nomenclatura latina, si nota l’immancabile cartiglio decorativo con titolo in alto a sinistra, raffigurante una teoria di putti alati e personaggi che creano uno spettacolo allegorico, il tutto protetto da due possenti navi ai lati della scena mitologica. Inoltre, l’Etna viene ritratta nel mezzo di un’eruzione vulcanica.

Guillaume Delisle (1675 – Parigi 1726), allievo del geografo Sanson, si distinse particolarmente nell’arte cartografia, al punto da essere meritevole del titolo di “primo geografo del re”, e fu fra i protagonisti del rinnovamento della cartografia per i metodi scientifici impressi alle sue carte. Tra queste realizzò una “Sicilia Antiqua” nel 1714 la cui configurazione perimetrale risultò molto vicina al reale. Essa presentava i soliti toponimi delle città antiche di Sicilia e il tracciato viario tratto dagli itinerari romani.
Una tale precisione perimetrale non poteva sfuggire all’occhio dei cartografi settecenteschi; Jean-Baptiste Bourguignon d’Anville (Parigi 1697 – Parigi 1782) non fu da meno. D’Anville fu considerato il maggiore geografo nella Francia dei Lumi, detto anche il “Tolomeo francese” e anche lui insignito del titolo di “geografo del re”[8]. Nell’acquaforte qui presentata, “Sicilia carte de l’Ancienne” (1725, fig.7), e presa dal Pour L’Istorie Romaine De M. Rollin’s, d’Anville, riprende lo stesso modello di Delisle, includendo anche, in basso a destra, la scala espressa nell’unità di misura greca e romana.

Un esempio perfetto di quanto possa essere duratura la fortuna di un modello viene dato da F. Goetze con la “Charte von Sicilien und Malta” (da Algemeiner Hand-Atlas der Ganzen Erde, fig.8). Una carta datata al 1804 in cui figurano, in basso a sinistra, le piante di Malta, Cumino e Gozo.

Questa incisione acquarellata della Sicilia è molto simile a quella di Robert Mylne [9], architetto e ingegnere scozzese famoso nella seconda metà del Settecento, creata nel 1757 che, a sua volta, è costruita sul modello di quella stampata da Samuel von Schmettau nel 1748[10]. Nella versione di Goetze ritroviamo la rappresentazione dell’Etna a forma di cono molto allargato. Anche qui la divisione delle Valli è particolarmente evidenziata (sottolineata dalla differente coloritura). Le isole Eolie sono ben disegnate e tra parentesi è indicato il loro nome in latino. I toponimi sono in italiano e alcuni, specie i siti archeologici, in tedesco.
E per concludere questa breve selezione di rappresentazioni della Trinacria, è giusto riportare l’incisione di Gilles-Robert de Vaugondy (Parigi 1688 – Parigi 1766), cartografo e geografo francese che ebbe la nomina di geografo ordinario del Re grazie alla sua vasta produzione di atlanti[11]. Tra questi, nel Partie meridionale du Royaume de Naples con la Calabre et la Sicilie, nella “Calabre et Sicillie” (fig.9), 1748, si rivede la Sicilia insieme alla Calabria, ovvero la parte meridionale del Regno di Napoli, nella loro divisione territoriale.

Nella seconda metà del Cinquecento, con il moltiplicarsi dei viaggi, diventa preponderante l’esigenza di un’aggiornata cartografia che informi i viaggiatori non solo con le classiche piante dei territori, ma anche con vedute ed immagini “a volo d’uccello” sugli aspetti urbani ed architettonici delle città.
Un esempio famoso è l’elaborata immagine, a proiezione obliqua, della città di Catania, in cui la struttura urbana trova identità nel rapporto con lo spazio circostante e l’Etna in eruzione. Incisa originariamente a Roma, nel 1592, dal fiammingo Nicolas Aelst su incarico del nobile catanese Antonio Strizzia [12], la “Catania Urbs Siciliae Clarissima” costituì un modello per la rappresentazione della città etnea fortificata e fu riedita fin oltre il ‘700. L’abate e incisore francese Jean-Claude Richard de Saint-Non (Parigi 1727 – 1791) non si poté esimere dall’emulazione di questa veduta panoramica, già attirato sull’isola dalla foga del Grand Tour e rimanendone estasiato, come si nota nell’acquaforte della città del Vue generale de la ville et du porto de Catane sul le bord de le Mer, datato al 1785 circa, in cui si cristallizza la città a un tempo prima dell’eruzione del 1669 (fig.10).

Vengono segnalati siti d’interesse all’interno e nei dintorni della linea fortificata; inoltre, in primo piano, svettano chiaramente la cattedrale di Sant’Agata e il Castello Ursino.
Due stemmi araldici si stagliano ai lati del vulcano, a sinistra l’arme del Regno di Sicilia e a destra quello della città di Catania, con Sant’Agata armata retta da un piedistallo che poggia sulla schiena dell’elefante.
Di copie per questi modelli ne esistono così tante che non mancano i dubbi attributivi, come con questa “Veduta della città di Messina” (fig.11), un’acquaforte datata al 1750 circa che potrebbe essere stata creata dalla mano di Jacques Chéreau (Blois1688 – Parigi 1776) o di Pierre-Alexandre Aveline (Parigi 1702 – Parigi 1760), entrambi incisori francesi pienamente operativi nel XVIII secolo ed entrambi possibili padri dell’opera.

Una veduta che riecheggia le belle e preziose raffigurazioni della città su cui molti artisti si sono arrovellati, anche su altri supporti. Come l’olio su tela del pittore olandese Abraham Casembroot, una veduta di Messina creata nel XVII e citata nella passata mostra “Sicilië, pittura fiamminga”[13] che dimostra perfettamente quanto la Sicilia e le sue singole città abbiano stregato artisti e intellettuali d’oltralpe.
Di queste vedute non mancano carte puntuali nei dettagli e nei dati forniti, come con l’interessante incisione di “Palermo” (fig.12), 1704, di Pierre Mortier (Leida 1661 – Amsterdam 1711).

Una veduta topografica dall’alto della città che include un riquadro inferiore in cui si contano 162 richiami con didascalie che segnalano le più importanti strutture del tessuto urbano palermitano: i conventi, le chiese, le piazze, le strade, le porte della città, i bastioni, i giardini, i ponti e molto altro.
Mario LIPARI 18 Maggio 2025
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Paesaggio
Come preannunciato, le incisioni di questa pregiata collezione non si fermano alla cartografia e alla sua accurata raccolta di dati geografici, dato che gli artisti partivano all’avventura non solo accompagnando spedizioni scientifiche, ma viaggiavano anche nell’ambito della loro formazione artistica. E non si limitavano sempre a documentare fedelmente ciò che vedevano durante i loro viaggi con matite o pennelli. Molti panorami da loro prodotti sono stati ispirati anche dalla tradizione paesaggistica o dalla fantasia degli stessi artisti.
La Sicilia, da sempre, rapiva per i suoi scorci, i paesaggi, che regalava al pubblico fortunato nel respirare queste terre. I siti archeologici e una natura prorompente attiravano sull’isola viaggiatori provenienti da molte parti d’Europa che intendevano concludere qui il loro Grand Tour, alla ricerca del pittoresco e del sublime in città, rovine e, appunto, paesaggi; in un territorio mediterraneo considerato, da sempre, come mitico e selvaggio.
«Rovine. Fanno sognare e donano poesia a un paesaggio», una frase scritta, nel 1850, dallo scrittore francese Gustave Flaubert. Non esiste verità più assoluta. Gli edifici in rovina, come antichi monumenti diroccati e edifici in abbandono, dagli stipiti spezzati e invasi da una vegetazione selvaggia e parassita che penetra tra le spaccature delle pietre, esercitano su tutti noi un fascino ambiguo e dolente, comunicano un senso di precarietà ineluttabile, si rendono testimoni del tempo che passa e che tutto corrode. Angosciano, senza ombra di dubbio, ma attraggono, stimolando un sentimento che i romantici avrebbero definito “sublime”.
La vita possiede un’inestimabile pulizia morale: tutto finisce. Talvolta ha la generosità di concedere ancora qualcosa prima che tutto venga spazzato via: le rovine. Resti del passato che testimoniano il cammino della storia.
- Zecchi
E sono queste le sensazioni che generano molti paesaggi in mostra, come l’acquaforte (1835) del teatro di Taormina (da L’Italia, la Sicilia, le isole Eolie, l’isola d’Elba, la Sardegna, Malta, l’isola di Calipso …, fig.13) ad opera di Emile Rouargue (Parigi 1795 – Épône 1865) e sul disegno di Friedrich Salathé (Binningen 1793 – Parigi 1860), dove il monumento antico più importante della città viene ritratto includendo il meraviglioso panorama con la mole dell’Etna e il Mar Jonio.

Anche la città di Catania regala spettacolari lacerti di un mondo antico ormai in rovina, è il caso delle “Rovine dell’anfiteatro” (“Voyage Pittoresque” de l’Abbé de Saint- Non, fig.14, 1829) in cui Claude-Louis Châtelet (Parigi 1753 – Parigi 1795) e Pierre-Gabriel Berthault (Saint-Maur-des-Fossés 1737 – Parigi 1831) ci portano all’interno dell’emozionante sito.

Mentre uno sguardo esterno sul “Colosseo nero” viene fornito dal già citato Saint-Non, in un’acquaforte del 1785, una ricostruzione ipotetica di come poteva apparire interamente l’anfiteatro (fig.15). Sulla destra si può notare la collina Montevergine con uno degli accessi in quota al monumento.

Richard de Saint-Non, nel suo viaggio attraverso la Sicilia, continuò con il suo ambizioso progetto di documentare graficamente tutti i principali monumenti e i paesaggi che arricchiscono l’isola. Nella “Veduta della Città di Catania dall’eruzione del 1669” (fig.16, 1785) mostra una Catania post colata, quest’ultima ancora visibile in primo piano con il Castello quasi nascosto dal tratto lavico.

La fascinazione del grande vulcano è tale che sono numerose le rappresentazioni che gli artisti dedicano a esso. Catania e tutti i centri nei dintorni sono raffigurati sempre con questa presenza dominante alle spalle, che incute timore ma infonde anche uno strano senso di protezione.
E Saint-Non lo notò, includendolo spesso. Come nella “Veduta generale della città e del porto di Catania” (fig.17, 1780), una panoramica veduta urbana del porto che comprende il Palazzo Biscari, il convento dei Benedettini, e l’imponente Duomo con sfondo, sempre, l’Etna fumante.


Dal “Voyage Pittoresque” de l’Abbé de Saint- Non Berthault ritorna con l’antico a Catania, testimoniando l’ingresso agli scavi effettuati nelle terme dell’antica città (fig.18, 1785) con una visuale che include frontalmente la chiesa di Sant’Agata al Carcere, con il suo inconfondibile portale di epoca normanna[14], e una parte dei giardini di Villa Cerami.
Un’incisione di Thomas Salmon (Meppershall 1679- Londra 1767), da Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo, riporta il Mongibello promuovendolo da sfondo a protagonista della raffigurazione, ma non in un contesto a lui contemporaneo.
Salmon sceglie così di rappresentare, nel 1756 circa, l’eruzione dell’Etna del 1669 (fig.19), considerata tra le più devastanti eruzioni del territorio[15].

Vengono incisi tutti i paesi etnei interessati dall’eruzione, insieme all’apertura di una nuova bocca da cui sputa una grossa lingua di fuoco[16], riportando gli avvenimenti catastrofici di quasi cento anni prima.
Sempre con uno sguardo al passato si ha l’incisione di Jean-Charles de Folard (Avignone 1669 – Avignone 1752), in cui mette in scena l’assedio di Siracusa (fig.20), 215-212 a.C. Un’occasione, secondo le fonti, per vedere la “mano di ferro” di Archimede [17] in azione, qui rappresentata mentre rovescia le navi nemiche. Il titolo francese “Corvo di Archimede” non si riferisce ad un oggetto specifico legato direttamente ad Archimede, ma piuttosto al corvo imperiale, spesso utilizzato per rappresentare la sua intelligenza.

Ultima rappresentazione monumentale, che merita di essere il dolce finale di questo paragrafo sui paesaggi, è la suggestiva veduta sulla Cattedrale di Palermo (fig.21, 1836).

Il nobile tempio, dedicato alla Santa Vergine Maria Assunta in Cielo, viene visto diagonalmente, da fuori il sagrato, allo scopo di portare la vista dello spettatore verso la quasi interezza del magnifico corpo dell’edificio ecclesiastico, includendo anche l’ampio portale.
Mario LIPARI 18 Maggio 2025
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Santi
Tra le 78 incisioni esposte, 17 raffigurano iconografie legate al sacro e, soprattutto, immagini di santi come Sant’Agata, patrona di Catania, e altri personaggi come Sant’Anastasia, Santa Rosalia e il francescano spagnolo San Pietro d’Alcantara.
Per identica paternità vanno subito segnalate la Sant’Agata visitata in carcere da San Pietro (fig. 22) e la Santa Rosalia nella grotta (fig.23) dell’incisore di Norimberga, Michael Heinrich Rentz (1698 – 1758).

In quest’ultima la Santa eremita viene rappresentata appoggiata ad un tavolo intenta a scrivere; la grotta si apre su un paesaggio percorso da nuvole. Qui emerge un notevole impianto chiaroscurale che ritroviamo nella Sant’Agata, ma con un fare più drammatico dato da un ritmo vorticoso in cui San Pietro e l’angelo sono in netta contrapposizione alla Santa incatenata alla parete destra. Le due incisioni sono databili al primo quarto del Settecento.
Un’altra incisione presenta il tema di Sant’Agata e San Pietro, in un’acquaforte del 1843 di Giovanni Wenzel (Roma 1791 – 1880, fig.24) opera connotata da una politezza neoclassica, su disegno del marchigiano Filippo Bigioli (San Severino Marche 1798 – Roma 1878).


Mentre un fare prettamente agiografico ed elementare si evidenzia in una piccola incisione a colori databile fra gli ultimi dell’Ottocento e i primi anni del 1900 (fig.25).
Qui la Santa catanese appare distesa e in preghiera accanto all’apostolo Pietro stante. Ed è sempre Agata che svela il momento saliente del martirio nella bella incisione del 1797 del veneziano Gianantonio Zuliani (Venezia, 1760 – post 1831, fig.26), dove l’artista concentra tutto in due figure, la santa e il carnefice, con una città puntellata da mura e torri in secondo piano. La composizione riprende noti esempi della pittura del Seicento.


Adesso si passa alla non visibile ma significativa incisione di Nicola Billy [18], attivo nel Settecento come incisore di bulino e disegnatore e operante, soprattutto, tra Napoli e Roma. Il San Pietro d’Alcantara della collezione Tosoni (fig.27), mostra la correlazione vivissima fra gruppo sacro e paesaggio, sebbene il santo francescano incomba su tutto lo spazio della composizione: nella iscrizione in basso a sinistra viene tramandata una notizia sulla sua bottega, ovvero “d. Nicolo Billy vicino all’Orologgio della Chiesa nuova”.
In ultimo non possiamo ignorare la raffinata incisione di Sant’Anastasia, xilografia del 1725 di Antonio Friz (notizie 1715 – 1719, fig.28), autore fra l’altro di alcuni ritratti di San Filippo Neri e San Camillo de’ Lellis, sempre in incisione.


Questa incisione ha due importanti antecedenti: nella Santa Apollonia del fiammingo Johann Sadelern (Bruxelles 1550- Venezia 1600 ca.), poi trasformata in Sant’Anastasia nell’incisione di Anton Friz (Roma, Gabinetto disegni e stampe, fig.29), identica alla nostra Immagine; questa da porre in una linea di congiunzione tra maniera e barocco: basti notare il panneggio arzigogolato e la torsione anatomica.

Gaetano BONGIOVANNI Palermo 18 Maggio 2025
Bibliografia