di Lisa SCIORTINO
Volti di pietra. L’arte di Antonino Spinoso
Antonino Spinoso[1] (Fig. 1 a-b) nacque a Bagheria nel 1920 da una famiglia di artigiani;


sin da giovanissimo mostrò l’inclinazione all’arte e al bello. Lavorò a Palermo come intagliatore di pelli e disegnatore di calzature (Fig. 2) e, dopo anni di servizio, divenne dipendente pubblico nella città natale.

A metà degli anni Sessanta riuscì finalmente a liberare la passione per il bassorilievo su ciottoli di fiume e mare. Si dedicò, almeno in una prima fase, anche alla piccola scultura a tutto tondo, tra testine, figurine e monili (Fig. 3 a-b-c), emulando soprattutto modelli fenici e punico-siculi.
Fig. 3 a-b-c Serie di testine, fine XX secolo, Bagheria, collezione privata
Nel 1978 partecipò alla II Mostra Internazionale di Numismatica della Trinakrie Caltanissetta. L’anno successivo venne ammesso all’Associazione Medaglisti d’Italia ed espose a Palazzo Barberini a Roma in occasione della III Mostra della Medaglia d’arte. Nel 1980 presentò a Cincinnati, negli USA, alcune fusioni in bronzo su originali ciottoli di fiume e ritirò il terzo premio mentre negli anni 1982-1983 si propose fuori concorso al “Limone d’oro”. Ricevette anche diversi riconoscimenti come il Premio speciale a Terni nel 1975, il Diploma di Merito nel 1976 e il Diploma d’onore nel 1977 a Bagheria, il Diploma e la medaglia d’argento a Casteldaccia nel 1977.
Il rilievo, scelto, studiato e impiegato da Spinoso, è una tecnica scultorea dove gli elementi incisi rimangono attaccati a un fondo solido. Ciò che si esegue effettivamente quando un rilievo è intagliato da una superficie piatta di pietra è essenzialmente un abbassamento del campo. La tecnica implica una lenta asportazione mediante cesellatura dello sfondo, non prevede di dover formare la parte posteriore di un soggetto che in tal modo è meno fragile e più saldamente fissato di una scultura a tutto tondo. Questa è l’arte di Antonino Spinoso, estranea ad intellettualismi ed espressa in decine di opere tutte custodite in collezioni private. È legata alla fatica fisica, all’uomo e alla sua esaltazione, con un eloquio ora realistico fenicio, ora arcaico, ora moderno e stilizzato, inesauribile nelle trovate più varie (Fig. 4).

La sua attività scultorea è interamente autodidatta: solco dopo solco, opera dopo opera, l’arte di Spinoso si affinò lentamente attraverso esperimenti, esercizi e indagini che lo portarono a lavorare meticolosamente e pazientemente la pietra rendendola lucida, lieve, eburnea, imprimendo immagini dal sapore antico, a volte storico e mitologico, sicuramente raffinate e delicate nella resa finale. L’elaborazione delle opere non annoia lo spettatore anzi lo coinvolge nell’entusiasmo creativo del maestro. La mano dell’artista plasma attraverso sottili curve, esili cavità e capillari piani su cui la luce riposa o si esalta e da lì vengono fuori mostri barbuti, delfini, serpenti, uccelli, felini, cani e cavalli, profili muliebri e virili, satiri, pontefici, nastri e volute, anfore e brocche, spade e pugnali, ricercando nella pietra – diversa di volta in volta – raffinati giochi cromatici che accompagnano l’esecuzione.
A volte l’artista appare dominato dalla materia e, nella lotta tra l’ispirazione e la pietra, egli non è vincitore ma vinto. Così compaiono figure deformi, teste dagli occhi sgusciati come nella ceramica cretese micenea, forme ruvide. Altre volte Spinoso guida la materia, la modella con forza e le comunica con impeto il palpito della vita che non si limita alla superficie ma scruta in profondità.
La lucentezza, i colori, le sfumature della pietra, le forme dei ciottoli suggeriscono i soggetti da realizzare e il maestro, ascoltando la materia, le ubbidisce e la asseconda. Le sue mani, capaci di incidere e modellare, hanno descritto eroi, divinità, sovrani, gente comune, esseri mitologici e animali su ofioliti, quarziti, calciti, ciottoli chiari, chiarissimi, oppure grigi, verdi, rossi. Nel Rinascimento, la combinazione di arte e natura aumentava la preziosità di un oggetto tanto da renderlo protagonista nelle Wunderkammern, tra placche e sculturine. L’uso di raffigurare teste di personaggi illustri scolpite di profilo su pietra lo si trova anche in epoche passate, un clichè che passerà indenne nei secoli.
Isolare un profilo nello spazio per crearvi intorno l’atmosfera di serena quiete, distribuire le lettere delle iscrizioni nel modo più vario e pittoresco ma, soprattutto, modellare con quella gentilezza di tocco per cui il ritratto, anche se veristicamente reso, assurge ad una poetica trasfigurazione classica, quel felice misuratore di analisi, di sintesi, quella eleganza fondamentale che sistema ogni forma nello spazio nel modo più ovvio e piacevole, tutto questo oggi si ammira nella scultura di Spinoso.
Precisione del rapporto tra piani e rilievi, modellato accorto e intelligente dei livelli degradanti, del tocco evocatore, scultura dettata dal sentimento e dalla commozione, sono le qualità che nobilitano l’arte e la materia.
Nelle opere di Spinoso è visibile tutta la diligenza dell’artista che in pochissimi centimetri ha stabilito rapporti di volumi e forme, con pazientissima mano e preciso occhio, con ardore contenuto e misurato, con lo sguardo intelligente che coglie il bello e tralascia il mediocre. Certamente il disegno preparatorio, di cui tanti se ne conservano nell’archivio Spinoso, precedeva la scelta del sasso idoneo per la realizzazione dell’opera.
I soggetti raffigurati sono prevalentemente i volti di profilo: di familiari, di amici e conoscenti, del mito, della storia, della fantasia. Certa fonte di ispirazione furono le monete antiche, altra passione dell’artista maturata anche grazie all’amicizia con l’archeologo Vincenzo Tusa.

Una moneta del regno tolemaico del III secolo a.C. è modello per Zeus Amon 244 a.C. realizzato nel 1999 (Fig. 5). Una delle principali divinità della Cirenaica, influenzata dal culto egizio e tra i primi ad essere raffigurata su monete, Zeus Ammon ebbe larga fortuna continuata nel tempo, testimoniata dai numerosi ritrovamenti monetali che raffigurano la testa del dio o la sua figura intera, stante o seduta, sola o accompagnata dall’ariete, animale sacro. Il volto è chiaramente ispirato a quello dello Zeus greco. Alle caratteristiche della divinità olimpia si somma quella di Ammon, riconoscibile dalle corna d’ariete sulle tempie, che però Spinoso trasforma in ciocche della riccia capigliatura.

Il profilo di Zeus Faleion (Fig. 6), realizzato nel 1984, è copia del tetradramma in uso in Antiochia durante il regno del sovrano dell’impero seleucide Antíoco IV Epifanio (175-164 a.C.). La moneta è segnata dal volto del padre degli dèi verosimilmente ispirato al viso della statua che lo raffigurava nella grandiosa scultura crisoelefantina realizzata dall’ateniese Fidia nel 432 a.C. e collocata nella navata centrale del tempio di Zeus ad Olimpia, andata perduta ma considerata nell’antichità una delle sette meraviglie del mondo antico.
Il sileno [2] è un personaggio mitico dall’aspetto ibrido di cui alcune fonti letterarie ed iconografiche hanno spesso incoraggiato la lettura di un ruolo di secondaria importanza: membro leader del corteggio dionisiaco, sarebbe stato subordinato a Dioniso. Il riscatto e la valorizzazione di questo personaggio quale soggetto autonomo passano, invece, dal documento monetale che sopperisce alle molte lacune delle fonti letterarie e fornisce numerosi dati conoscitivi. Presso alcune specifiche aree del Mediterraneo antico, rette da governi di tipo monarchico o tirannico, la monetazione testimonia un ruolo del sileno di assoluto prestigio, confrontabile con quello proprio della divinità. La sua figura, parziale o intera, appare spesso sul recto della moneta, su nominali dall’elevato potere d’acquisto. La testa, raffigurata anche frontalmente, è adorna come Dioniso della corona di edera ma è anche circondata dal diadema, simbolo per eccellenza del potere regale. Il sileno appare anche diversificato per età e, all’interno della medesima zecca, le sue sembianze mutano come se si trattasse di un personaggio reale rivestito di autorità e di prestigio. Protagonista del ratto ma anche del corteggiamento della Ninfa, egli mesce il vino oppure offre la coppa. Ciò dimostra che il personaggio è autonomo da Dioniso e con un ruolo ben diverso da quello subalterno e sregolato che Atene sembra avergli assegnato nell’iconografia vascolare.
È in quest’ottica che Spinoso lo sceglie quale soggetto per tre rilievi: il Sileno, in due elaborazioni del 1976 e del 1979, che è l’immagine realizzata sul tetradramma del 415 a.C., con il dio che beve vino da una coppa (Fig. 7), e Volto di Sileno con scarabeo (Fig. 8),

Fig. 7 Sileno, 1976, Bagheria, collezione privata

Fig. 7 Sileno, 1976, Bagheria, collezione privata
circondato dall’iscrizione (Α)ΙΤΝΑ ΙΟΝ e raffigurato con il viso barbuto, corona di edera e orecchie appuntite e, sotto il collo, il coleottero, che riprende l’immagine del celebre tetradramma di AITNA, uno dei massimi capolavori dell’arte monetaria siciliana che si trova a Bruxelles nel medagliere della Bibliòtheque Royale del Belgio.

Ancora il mito ispira Spinoso per Aretusa (Fig. 9), realizzata nel 1977 e tratta da moneta siracusana del 405-400 a.C. Figlia di Nereo e Dorite, Aretusa fece perdere la testa ad Alfeo, figlio di Oceano ma fuggì dalle sue molestie rifugiandosi sull’isola di Ortigia, a Siracusa, chiedendo soccorso alla dea Artemide che la tramutò in una fonte. Zeus, commosso dal dolore di Alfeo, lo trasformò a sua volta in fiume consentendogli così, dalla Grecia, di percorrere il Mar Ionio per unirsi all’amata.
Persefone, detta ancheKore, è una figura della mitologia greca entrata in quella romana come Proserpina.

Essendo la sposa di Ade, era la dea minore degli Inferi e regina dell’oltretomba. Secondo il mito, nei sei mesi dell’anno che passava nel regno dei morti, corrispondenti ad autunno e inverno, Persefone governava nell’oltretomba; negli altri sei mesi tornava sulla Terra da sua madre Demetra, facendo rifiorire i campi al suo passaggio. Il profilo di Persefone, realizzato da Spinoso nel 1978, con la capigliatura raccolta e fermata da una corona di simboliche spighe e con collier di pendenti, è tratto da uno statere greco del IV secolo a.C. (Fig. 10).
Le linee che raffigurano l’Atena del 1991, con l’elmo corinzio, sono ispirate alla litra della Magna Grecia del IV secolo a.C. (Fig. 11).

Atena, dea guerriera protettrice della sapienza e delle arti, dalle capacità profetiche e mediche, fu una delle più venerate: consigliera degli eroi, istruttrice delle donne, custode dei giudici dei tribunali, ispiratrice degli artigiani. Ma quando era in collera poteva diventare spietata. La dea è raffigurata sempre vestita con peplo e spesso armata, attorniata dai simboli sacri: la civetta, l’elmo, la lancia, lo scudo.

Testa di Eracle ricoperta dalla pelle del leone di Nemea, datata 1977, è la riproduzione stilizzata del profilo del semidio tratto dal tetradramma di Kamarina del IV secolo a.C. (Fig. 12). La prima delle dodici fatiche di Ercole fu quella di uccidere, per ordine del re Euristeo, l’invulnerabile leone di Nemea, figlio di Tifone. Dopo una terribile lotta, l’eroe riuscì ad annientare la belva strangolandola. Utilizzando gli artigli del felino, Ercole riuscì a scuoiarlo adoperando da quel momento la pelle dell’animale come invincibile armatura.
La Gorgone realizzata nel 1988 (Fig. 13), emula una delle tante antefisse dal medesimo soggetto custodite nei musei d’Italia e non solo riconducibili al V-IV secolo a.C.

Dioniso è dio della vegetazione, del vino e della liberazione dei sensi. Rappresentò l’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo.

Dio ibrido dalla multiforme natura, animalesca e divina, tragica e comica, Dioniso incarna, nel suo delirio mistico, la scintilla primordiale presente in ogni essere vivente che permane anche nell’uomo civilizzato come sua parte originaria e insopprimibile, e che può riemergere ed esplodere in maniera violenta se repressa e non elaborata correttamente. Testa di Dioniso (Fig. 14) del 1992, in cui il dio dell’estasi e dell’ebbrezza è raffigurato assieme a un animale, a un viso frontale e a un essere mitologico dal corpo di serpente e il volto umano, ricorda il profilo di Dioniso che regge un kantharos dipinto da Psiax intorno al 520 a.C. e custodito al British Museum di Londra ma anche il viso del dio del vino impresso sulla dracma della seconda emissione monetale di Naxos in Sicilia del 520-510 a.C.
Il mondo ecclesiastico ispira Spinoso per Papa Innocenzo XI, senza data, copia della medaglia firmata Hameranus F., membro della nota famiglia di orefici e medaglisti italiani di origine bavarese, in cui il pontefice è raffigurato con camauro, mozzetta e stola (Fig. 15), mentre Sant’Ignazio di Loyola (Fig. 16), del 1977, è copia del Ritratto di Sant’Ignazio di Loyola di Jacopino Del Conte, opera del 1556 custodita presso la chiesa del Gesù a Roma.


Alcune opere sono definite genericamente Fantasie (Fig. 17 a-b-c-d) e riprendono soggetti vari, tra oggetti, animali, volti di profilo e frontali.


Nello stesso sasso si osservano più figure, sul piano della superficie o sul margine, in una studiata divisione spaziale che stupisce.


L’esperta mano del maestro, che sa vibrare la profondità del rilievo, pone in risalto l’anatomia delle forme, le linee dei volti di cui non trascura l’espressività, il dettaglio, il naturalismo.
Numerosi sono i profili di donne, talora rigidi e severi, a volte più morbidi e aggraziati; candide figure muliebri agghindate e ingioiellate, dai folti riccioli o dai capelli raccolti in chignon. Alcuni volti sono piccoli, piccolissimi, ma sanno sorprendere per la puntuale descrizione (Fig. 18 a-b).
Fig. 18 a-b Profili muliebri, ultimo ventennio del XX secolo, Bagheria, collezione privata
Frequenti sono i riferimenti al mondo egizio con Sfinge realizzata nel 1988 (Fig. 19), la regina Cleopatra (Fig. 20) del 1996,


Piramidi e faraone del 1997 (Fig. 21),


Geroglifici (Fig. 22) e Faraone (Fig. 23), privi di data.



L’arte di Spinoso, scomparso nel 2003, è studio, esercizio, allenamento, ricerca, esperimento, conoscenza, per esprimere al meglio il suo estro più profondo. In collezione anche alcuni Incompiuti a documentare che il maestro lavorò all’amato rilievo fino alla fine (Fig. 24 a-b).
Rievocando le parole della studiosa Maria Accascina, per conoscere un artista non basta che questi sappia
“disegnare o colorare (…) o fare ritratto (…) ma occorre che (…) porti una nuova parola, il frutto di una nuova ricerca, di una nuova intuizione del mondo, occorre che avanzi sul cammino dell’arte e proceda sempre senza indugio, senza perplessità, e indaghi il reale e il mondo e l’eterna vicenda umana con fantasia commossa e vibrante e dica parole nuove ma in un linguaggio sempre chiaro e universale”[3].
Proprio come Antonino Spinoso.
di Lisa SCIORTINO Bagheria 18 Maggio 2025