di Nica FIORI
Un immenso fiorire di leggende si accompagna ovunque al nome di Alessandro Magno (Pella, 356 a.C. – Babilonia, 323 a.C.). Questo condottiero, superando le barriere culturali che contrapponevano i Greci ai Barbari, aveva dato origine a un immenso impero cosmopolita, nel quale erano annullate le distinzioni di razza e religione, avvicinando così i popoli e fondendoli nel comune denominatore di una civiltà superiore. Almeno venti contemporanei scrissero libri su di lui, anche se nessuno ci è pervenuto e li conosciamo solo dalle citazioni di autori più recenti. La sua immagine nel passato è stata mitizzata e riprodotta su amuleti e pietre gnostiche per il suo presunto potere taumaturgico. I poeti persiani ne hanno fatto un incantatore delle Mille e una notte; altri gli hanno dato una connotazione cristiana, altri ancora un carattere islamico, tanto che tuttora nelle montagne afgane ci sono condottieri che affermano di essere suoi discendenti. La sua figura è talmente immortale che, durante le notti tempestose nell’Egeo, i pescatori dell’isola di Lesbo per calmare il mare gli rivolgono la domanda “Dov’è Alessandro il Grande?”, cui segue la risposta: “Alessandro il Grande vive e regna”.

Ancora più vivo è il suo mito ad Alessandria d’Egitto, la prima delle diciotto città con questo nome. Quando, nel gennaio del 331 a.C., il sovrano macedone scelse questo luogo sul Mediterraneo per fondare la sua nuova capitale, la sua impresa apparve una sfida alla geografia e al buon senso. Il luogo sembrava scelto male: non aveva particolari attrattive né abbondanti risorse di acqua, ma aveva il vantaggio di distare dal delta del Nilo e di non essere pertanto soggetto alle sue piene, e soprattutto di avere davanti a sé un’isola, quella di Faro, che dava ai Greci una sensazione di sicurezza, visto che si trovavano ai margini di un continente ancora ignoto e forse ostile. Un’isola che era stata descritta per la prima volta da Omero nel IV libro dell’Odissea, quando Menelao narra a Telemaco di essere stato trascinato dal vento su Pharos di ritorno da Troia e di come riuscì ad allontanarsene dopo aver intrappolato Proteo, la divinità marina che aveva il potere di cambiare aspetto e di predire il futuro.
Alessandro, una volta dato l’ordine di edificare la città, non assistette alla costruzione di un solo edificio, ma si recò nell’oasi di Siwa, in pieno deserto, dove un sacerdote di Ammone lo accolse nel tempio come “figlio del dio”; da allora in poi si sentì in tutto un sovrano orientale, continuando le sue conquiste con uno spirito nuovo. Otto anni più tardi, dopo aver conquistato la Persia, morì a soli 33 anni (forse avvelenato o più probabilmente per la malaria) e la sua salma imbalsamata, dopo varie vicissitudini, fu portata a Menfi e in seguito ad Alessandria, dove venne ricoperta d’oro e racchiusa in una bara di vetro nel centro della città, in modo da divenirne il nume tutelare. Del sito esatto della tomba, conosciuta anche con il nome greco Soma (“corpo”), si è perso il ricordo.

L’impero fu diviso tra i suoi generali, che governarono per un po’ in nome del fratellastro e del figlio, ma presto si proclamarono re indipendenti. L’Egitto toccò a un macedone di nome Tolomeo (367 ca. – 282 a.C.), che s’insediò nella città incompiuta di Alessandria e cominciò ad arricchirla di templi e palazzi e di sapere scientifico, ma proprio all’inizio del suo governo si scontrò con altri generali per il possesso della salma di Alessandro, che egli aveva fatto rapire sulla strada che portava all’oasi di Siwa. Con lui, che assunse il nome di Sotér (“Salvatore”), ha inizio la dinastia dei Tolomei che si estinse con Cleopatra VII nel 30 a.C. In Egitto essi si immedesimarono nella parte dei faraoni e costruirono solenni templi alle divinità egizie, integrando elementi ellenici a quelli locali e continuarono a usare il greco come lingua ufficiale. Solo Cleopatra parlava correntemente anche l’egiziano, insieme a molte altre lingue, e ciò contribuì certamente ad aumentare la sua fama di donna colta e seducente, insieme alle vicende personali, che l’hanno fatta sopravvivere nell’immaginario comune come la più famosa regina dell’antichità.
Il fascino che Alessandria ha esercitato sugli antichi è testimoniato da molti autori del passato, tra cui anche Cicerone, che, pur non essendoci mai stato, ne parlava talmente spesso da far pensare a una sorta di ossessione, a tal punto che se ne potrebbe scrivere la storia servendosi solo dei suoi scritti. Con i Tolomei, in effetti, divenne la metropoli più fastosa del Mediterraneo, la rivale più insigne di Roma, soprattutto dal punto di vista culturale. Pensiamo al Mouseion, una sorta di università nel cui interno si trovavano aule, laboratori, osservatori astronomici e la famosa Biblioteca, la cui perdita è stata forse la maggiore disgrazia per la conoscenza del mondo antico. Ricca di 700.000 rotoli di papiri, era stata ideata, all’epoca di Tolomeo I, da Demetrio Falereo, già consigliere di Alessandro Magno. Tra i nomi più celebri di direttori della biblioteca si ricordano Apollonio Rodio ed Eratostene di Cirene, mentre il poeta Callimaco diresse la schedatura dei volumi. La prima biblioteca venne chiamata “madre” per distinguerla da una raccolta successiva e più ampia detta “figlia”. Purtroppo prese fuoco una prima volta nel 48 a.C., durante la spedizione di Giulio Cesare in Egitto, e distrutta dopo il 391 d.C. a seguito dell’editto antipagano di Teodosio I, o forse nel 642 con l’invasione araba.

Il monumento più celebre della città era il Faro, che sorgeva nell’isola omonima (ora corrispondente al promontorio di Ras-el-Tin) e che rimase in funzione per oltre millesettecento anni, fino alla metà del XIV secolo d.C. quando l’ennesimo terremoto lo distrusse definitivamente.
Era stato fatto costruire, anch’esso, dal primo dei Tolomei agli inizi del III secolo a.C. e fu inaugurato dal successore Tolomeo II Filadelfo, intorno al 283 a.C.; constava di tre torri sovrapposte, la prima a sezione quadrangolare, la seconda ottagonale, la terza circolare (per un’altezza complessiva di 134 metri) ed era considerato la settima meraviglia del mondo antico. Probabilmente la sua luce era amplificata da uno specchio, oppure da una lente gigantesca, che ne consentiva la visibilità fino a 50 km di distanza. Non sappiamo cosa ci fosse al di sopra della lanterna: forse una statua di Zeus Sotér (oppure di Poseidone). Alcuni hanno ipotizzato che la lanterna fosse a cielo aperto e che la statua o le statue di quelle divinità si trovassero ai piedi del monumento. In una moneta alessandrina in bronzo del II secolo d.C. è raffigurata Iside Pharia, la dea protettrice dei naviganti, che tende una vela davanti al faro, e si distingue la rampa che conduce alla porta del piano quadrangolare.

Per molto tempo dopo la sua scomparsa, l’edificio rimase nella memoria degli autori arabi e occidentali e numerose incisioni lo rappresentano in maniera più o meno fantasiosa.

Ha destato grande interesse anni fa la notizia del ritrovamento sul fondale marino di numerosi pezzi antichi (blocchi architettonici, basamenti di statue, sfingi, capitelli, colonne papiriformi, frammenti di obelischi), nelle acque antistanti la fortezza araba di Qaitbey, dove probabilmente sorgeva il grandioso faro. Quei pezzi archeologici, in parte portati in superficie, sembrano confermare la monumentalità dell’antico porto sommerso, contribuendo a delineare l’immagine particolare e inimitabile di una città di impianto greco ma di aspetto egizio, con le sfingi lungo le strade e gli obelischi davanti ai templi o nelle piazze.

Tra i resti più notevoli ritrovati ci sono i frammenti di una statua colossale in granito rosa di Assuan di un sovrano tolemaico in veste di faraone (doveva misurare in origine con il basamento più di 12 metri, mentre ciò che rimane misura 7 metri), che è stata ricomposta e collocata all’ingresso della nuova Biblioteca.
Il museo greco-romano, dove è custodita una delle tre maggiori collezioni archeologiche dell’Egitto, dà al visitatore un’idea di quanto fosse ricca Alessandria al tempo di Cleopatra. Fu fondato nel 1892 dall’archeologo italiano Giuseppe Botti, che lo diresse fino alla sua morte (1903). È riservato principalmente all’arte alessandrina, ma non mancano anche monumenti faraonici e paleocristiani. Un altro museo con reperti archeologici è quello nazionale di Alessandria, ospitato in una palazzina degli anni ’20 del Novecento, già sede dell’Ambasciata USA.

Dell’antica metropoli sono rimasti pochi edifici: la necropoli d’Anfushi con sei ipogei d’epoca tolemaica, le catacombe, che testimoniano il difficile passaggio al cristianesimo, iniziato con san Marco, il complesso romano di Kom-el-Dikka (II-IV secolo d.C.) con le terme, il teatro e la Villa degli Uccelli, così chiamata per le raffigurazioni degli splendidi mosaici pavimentali, che raffigurano pappagalli, gallinelle d’acqua, pavoni, piccioni, oltre a motivi geometrici.


Nella shari (via) Champollion una griglia permette di osservare la cisterna En-Nabih, l’unica ancora visibile delle molte della città antica: si tratta di una curiosa costruzione sotterranea a tre piani, con coperture a volta rette da colonne.
Del Serapeum, il santuario in onore di Serapide, sopravvive la celebre “Colonna di Pompeo”, di granito rosso, alta 30 metri e con un diametro di 2,8 metri. L’attribuzione a Pompeo non ha fondamento storico: fu eretta infatti da Diocleziano nel 296. Il suo basamento è costituito da frammenti provenienti da monumenti più antichi. Nei geroglifici si leggono i nomi di Psammetico e di Seti I. Secondo una tradizione, faceva parte di un portico di 400 colonne appartenente alla celebre Biblioteca.


Celebri, ma non più ad Alessandria, erano i due obelischi, detti “Aghi di Cleopatra”, che Augusto aveva fatto collocare davanti al Caesareum, il tempio per il culto imperiale, iniziato sotto Cleopatra in stile greco egittizzante. Trasformato in chiesa verso la fine del IV secolo, l’edificio venne distrutto da un incendio, quindi ricostruito e poi definitivamente distrutto nel 912. Viene ricordato come il luogo dove venne barbaramente uccisa dai cristiani la filosofa e matematica Ipazia nel 415.
I due obelischi, che in realtà non erano di Cleopatra ma di epoca faraonica (originariamente eretti da Tutmosi III nel tempio di Ra a Heliopolis), sono tra i monumenti più rappresentati nei disegni dei viaggiatori sette-ottocenteschi e si trovano attualmente uno a Londra e l’altro a New York.
Al tempo della campagna napoleonica contro i neo-mamelucchi, la gloriosa Alessandria era ridotta a un villaggio di pescatori perché, in seguito all’arrivo degli arabi in Egitto, la città era affondata a poco a poco nell’oblio e quasi soffocata dalle dune di sabbia. Si riprese poi con Mohammed Alì Pascià (1769-1848), il fondatore dell’Egitto moderno, e all’inizio del Novecento la città, grazie al suo importante porto, ha vissuto un eccezionale periodo di splendore, accogliendo arabi, ebrei, greci, levantini ed europei di ogni paese. Anche la colonia italiana era numerosa; qui sono nati Giuseppe Ungaretti e Filippo Tommaso Marinetti, vi hanno soggiornato a lungo Enrico Pea e Fausta Cialente e vi è morto in esilio Vittorio Emanuele III di Savoia. La città europeizzata e levantina, descritta da Lawrence Durrell e dal poeta greco Constantinos Kavafis, rivive nella Villa Fatma, sede del Museo dei Gioielli reali, nei palazzi di Montaza e Ras-el-Tin (dimora del re egiziano Faruk fino all’abdicazione del 1952), nella casa del magnate della finanza Oswald Finney, nei palazzoni delle banche e nella galleria Menasce nel quartiere Mansheya, realizzata su modello della galleria milanese Vittorio Emanuele II. L’architettura attuale è rappresentata dai grattacieli che si affacciano sulla Corniche, il lungomare di 32 km, e anche dalle varie industrie che sono un segno dei tempi. La parte più interna di Alessandria, densamente popolata e dalle costruzioni spesso fatiscenti, è ancora caratterizzata in alcuni quartieri dall’atmosfera tipica dei mercati orientali e da un traffico disordinato. Foto 12
Una città come questa, che dal periodo greco-egiziano è passata a quello romano, quindi a quello arabo e turco e infine a quello moderno, è molto interessante dal punto di vista religioso perché è da qui che il culto misterico della dea Iside e del suo sposo Serapide (che in età ellenistica soppiantò quello faraonico di Osiride) si è diffuso in tutto l’impero romano; la città ha visto poi l’affermarsi del primo cristianesimo, dello gnosticismo, dell’arianesimo, del monofisismo, del monotelismo, fino ad arrivare alla religione islamica.

Il romanziere Edward Morgan Forster, che vi soggiornò nel 1915 durante la I guerra mondiale scrisse:
“Non si può non amare Alessandria giacché è impossibile detestare il mare e le pietre, ma da quanto ho capito non c’è nient’altro: giusto una linda città cosmopolita presso uno specchio d’acqua azzurra”.
In seguito, nella prefazione al libro che dedicò alla città (Alessandria. Storia e guida, 1918), affermò:
“I monumenti di Alessandria non hanno un interesse intrinseco, ma incantano se ci accostiamo ad essi attraverso il passato”.
Ovviamente si riferiva al fatto che in questa città il più delle volte non sono rimasti i monumenti, ma solo la memoria (per es.: qui è stato sepolto Alessandro, qui Cleopatra si suicidò, qui c’era il Faro, qui c’era il Caesareum e così via).
Il nostro Ungaretti, da parte sua, scrisse:
“Alessandria è nel deserto, in un deserto dove la vita è forse intensissima dai tempi della sua fondazione, ma dove la vita non lascia alcun segno di permanenza nel tempo … Muta incessantemente. Il tempo la porta sempre via, in ogni tempo … È una città dove il sentimento del tempo, del tempo distruttore è presente nell’immaginazione prima di tutto e soprattutto”.

Dopo aver abbandonato la città, all’età di 20 anni, la memoria rimase l’unico modo, per il poeta, per recuperare i colori, i suoni e gli odori delle passeggiate al vecchio porto o ai giardini di una città cosmopolita che il tempo si porta via. E dove il ricordo più vivo è forse quello di una tomba, l’introvabile tomba di Alessandro, a lungo cercata nell’oasi di Siwa, nel centro della città e nei resti del Faro. Negli ultimi due secoli numerosi ricercatori professionisti e dilettanti l’hanno inutilmente cercata, proponendo varie ipotesi, tra cui i sotterranei della moschea di Nabi Daniel. Assai poco credibile appare l’idea, proposta recentemente da Andrew Michael Chugg, che il suo corpo possa trovarsi a Venezia, in quanto trafugato nel Medioevo da mercanti veneziani, che lo avrebbero scambiato per quello di san Marco.
È certo che videro la tomba Augusto, Caligola e Caracalla, ma dopo se ne perse ogni traccia, fino a che la sua ricerca è diventata, come quella del santo Graal o del vello d’oro, un’esigenza spirituale, una conquista che solo un eletto può raggiungere.
Per quanto riguarda la celebre Biblioteca, invece, il governo egiziano, sostenuto dall’Unesco, si è talmente impegnato nel desiderio di farla rinascere da riuscire a realizzare un complesso grandioso che attira attualmente innumerevoli studiosi e visitatori. Progettata dallo studio norvegese di architettura Snøhetta nello stesso luogo di quella antica, la nuova Bibliotheca Alexandrina è stata inaugurata nel 2002. Consta in realtà di tre edifici, il primo dei quali (del 1991) è il Palazzo delle Conferenze, che appare come un mix tra architettura moderna ed egizia (si notano piramidi e colonne con fiori di loto che richiamano la tradizione antica) e comprende 12 sale in grado di ospitare 3600 persone.

Vi è un secondo edificio più piccolo, ovvero il Planetario, e l’edificio principale che ha la forma del disco solare, a rappresentare la luce della scienza. In realtà il disco non è completo, perché non si può possedere tutta la scienza del mondo. Il suo tetto è inclinato verso il mare così da convogliare i raggi solari verso le scrivanie dei lettori. Il muro esterno è formato da 6000 pezzi di granito grigio di Assuan con incisi 4200 simboli linguistici, derivati da 120 lingue, a ricordare come Alessandria d’Egitto sia stata per secoli un faro di conoscenza per tutti.



La sala di lettura (70.000 mq) è una delle più grandi del mondo; ci sono 2000 sedie, evidentemente per ospitare contemporaneamente altrettanti lettori. Attualmente i libri disponibili sono 2 milioni, ma potrebbe contenerne 5 milioni. C’è una luce particolare proveniente dal soffitto inclinato, che non disturba i lettori e non rovina i libri, perché è una luce naturale indiretta. Le finestre hanno la forma di occhi, mentre all’esterno hanno come delle ciglia per proteggerli. I colori dei vetri sono il verde che ricorda la natura e l’azzurro del mare, colori ritenuti tra i più rilassanti per la vista. Nei muri si notano delle fessure che richiamano gli antichi portarotoli e nello stesso tempo assorbono i rumori. Le colonne presenti hanno il fiore di loto come elemento decorativo e sono realizzate in granito.

Tra gli undici piani, il primo ospita più di 15.000 mappe di tutto il mondo, il II è dedicato ai libri rari e a collezioni speciali. Vi sono anche una biblioteca in braille ricca di 1700 opere, una biblioteca per persone con bisogni speciali, zone per i bambini. Ovviamente un piano, il X, è occupato dalla direzione e l’XI è quello dei macchinari, tra i quali la prima stampatrice utilizzata in Egitto. Fanno parte dell’edificio anche un laboratorio per il restauro dei manoscritti e uno per la loro digitalizzazione, un museo di antichità e gallerie d’arte. Un’esposizione permanente è quella dello scultore Ahmed Abd El Uahab, le cui opere s’ispirano all’arte dell’epoca del faraone “monoteista” Akhenaton. Un’altra esposizione è dedicata a Shadi Abdel Salam, regista del film La mummia (1969), ritenuto da una équipe di esperti tra i più importanti film egiziani.

La volontà di far rivivere l’immenso sapere della città dei Tolomei, almeno apparentemente, ha dato i suoi frutti e ci si augura che il governo possa ulteriormente impegnarsi per favorire anche tutti gli studiosi e gli archeologi che si danno da fare per esplorare il sottosuolo e il mare alla ricerca di quei frammenti di storia che aggiungono nuove conoscenze a una città in gran parte cancellata dal tempo, devastata dalla violenza umana e deturpata da costruttori senza scrupoli.
Nica FIORI Alessandria d’Egitto 18 Maggio 2025