L’Archivio segreto dei Barberini. Documenti e Studi inediti di Lorenza Mochi Onori. Prefazione, Introduzione e Inventario (in PDF).

Redazione

É con vero piacere che ci accingiamo a rendere noti una serie di eccezionali documenti frutto degli studi condotti da Lorenza Mochi Onori durante gli anni della sua attività di funzionario dei Beni Culturali nel nostro paese. Nel corso della sua prestigiosa carriera la prof.ssa Mochi Onori ha infatti ricoperto la carica di soprintendente per il patrimonio storico e artistico delle Marche, per poi passare e al Polo museale speciale di Napoli e infine ha concluso la sua attività di dirigente nel 2014 con il ruolo di direttore generale delle Marche. Delle numerose iniziative culturali, mostre, convegni, pubblicazioni non è possibile dar pienamente conto in questa sede, basterà far cenno ai volumi sulla Galleria di Palazzo Barberini che ha diretto per circa vent’anni o su Gentile da Fabriano, Raffaello, Federico Zuccari, Goya e altri ancora.
Durante la sua attività di dirigente – nonostante i gravosi impegni che queste cariche richiedevano e richiedono – non ha  mai trascurato gli studi nè ridimensionato la capacità di lavoro e l’attenzione alla ricerca, anzi, da valorosa storica dell’arte qual è, oltre alle iniziative cui abbiamo potuto appena far cenno, proprio ai Barberini, ai loro archivi, ad ogni loro documentazione inventariale, ha dedicato particolare cura, raggiungendo nel 2007 un primo importante approdo nel convegno di studi curato in collaborazione con due eminenti colleghi, quali Francesco Solinas e Sebastian Schutze, seguito poi da una ponderosa pubblicazione dal titolo Barberini e la Cultura europea del Seicento. (De Luca editori, 2007).
Le traversie personali – e non –  che impedirono al lavoro sugli inventari Barberini di vedere la luce in una pubblicazione ad hoc, ovvero come supporto ad un evento espositivo (poi effettivamente realizzatosi senza però che venisse preso in considerazione nè l’inedito materiale nè chi lo aveva repertoriato e catalogato), vengono con molta efficacia ed altrettanta accortezza (almeno a nostro avviso),  spiegate dall’autrice nella sua Introduzione, e lasciamo dunque al lettore la possibilità di farsi una propria idea. Per parte nostra non possiamo che felicitarsi con la prof.ssa Mochi Onori per quanto ha saputo trovare e analizzare, e rallegrarci per aver dato a noi la possibilità di rendere visibile e fruibile il frutto del suo ultra decennale lavoro da oggi a disposizione su About Art per una platea assai più numerosa di quanto possa essere quella raggiunta da qualsivoglia rivista culturale cartacea.
Nel saggio introduttivo viene alla luce tutta una vicenda famigliare per molti aspetti sconcertante fatta – dopo l’incrocio con gli Sciarra – di  controversie legali e di contrasti personali tra membri della stessa famiglia circa la proprietà e l’usufrutto delle mumerose opere d’arte e non solo,  le manovre per il fidecommesso, le liti su chi potesse nominare il maggiorasco, la sottrazione fraudolenta di opere e non ultimo gli onerosi debiti che si erano via via accumulati sull’intero patrimonio: uno spaccato davvero significativo e in qualche modo non inatteso della condizione non solo di una nobile famiglia ma, per estensione, di un’intera società, quella romana, ormai coi segni di un inarrestabile declino. 
Ma la vera sorpesa di questo nostro numero speciale è sicuramente l’inedito Inventario che venne redatto minuziosamente dopo la separazione dei Barberini dagli Sciarra. Si tratta di oltre trenta cartelle che contengono 429 voci di opere inventariate secondo una metodologia inappuntabile, a partire ovviamente dal numero progressivo, seguito dal soggetto dell’opera, dal nome degli autori dell’opera stessa quasi tutti individuati tranne pochissime eccezioni, dalle misure delle opere riportate in palmi romani, dal luogo in cui l’opera era posizionata in antico, dalla pertinenza, ed infine dalle Note all’inventario, cioè acquisti, pubblicazioni ecc.  Con il nostro collaboratore, Giampiero Badiali, sentita naturalmente l’autrice, abbiamo deciso di inserire le trenta cartelle in un PDF che – per precisa volontà della studiosa – potrà essere agevolmente aperto, letto, scaricato e stampato così che ogni studioso che lo desidera o chiunque interessato a scoprire aspetti, autori ed opere del tutto inediti del mondo del barocco, potrà contare su uno nuovo strumento scientificamente inappuntabile di studio e di ulteriore approfondimento.
Tra gli artisti che compaiono nell’inventario fanno sensazione anche se non sorprendono, considerando i gusti e le scelte culturali e collezionistiche, oltre che ovviamente le capacità economiche, dei committenti, i nomi di Gian Lorenzo Bernini, Simon Vouet, Andrea Sacchi, Giovanni Lanfranco, Giovan Francesco Romanelli (come Gio. Franco). Pomarancio, Maratta ed altri, nonchè tra tanti ‘classici’ anche richiami a Caravaggio, ma poi anche a Bassano, Pietro Testa, Mattia Preti, Domenichino, Guido Reni, senza contare le copie “da Pussino”, o da Guido Reni, o da Caravaggio o da altri ancora. Insomma tanta roba!
Gli studiosi avranno modo di aggiornare le loro ricerche confrontandosi con una panoramica veramente significativa di eccezionale rilievo filologico e scientifico. Non crediamo di esagerare se affermiamo che il lavoro di Lorenza Mochi Onori assume valenza di primaria rilevanza segnando altresì un punto fondamentale per il prosieguo degli studi  in un campo d’indagine già battuto ma, come si vede, ancora in buona misura da esplorare. Non possiamo però chiudere questa nostra nota se non dicessimo che lascia perplessi l’atteggiamento di chi, potendone valutare l’importanza, non abbia ritenuto a suo tempo di potersene valere, ma come si sa capita a molti a volte di non essere profeti in patria, per cui se oggi questo privilegio tocca ad About Art, l’intera comunità scientifica dovrà essere grata di poter prendere visione di questo contributo: essere grata a Lei non a noi.

INVENTARIO BARBERINI

INTRODUZIONE

Il mio lavoro sugli inventari Barberini è durato molti anni.

Iniziato durante la mia ventennale direzione della Galleria Barberini, è culminato nel grande convegno del 2007 sui Barberini e la Cultura europea del Seicento, curato con Francesco Solinas e Sebastian Schutze.  In quel momento i miei impegni come Soprintendente delle Marche e contemporaneamente di Bologna, le grandi mostre su Gentile da Fabriano a Fabriano e sul giovane Raffaello a Urbino, le successive nomine a alla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale di Napoli e successivamente alla Direzione Regionale delle Marche, mi impedirono di pubblicare il lavoro. Nel 2016 un importante progetto scientifico di Francesco Solinas e mio per una grande mostra sulla Collezione Barberini (nel cui catalogo avrei pubblicato in appendice le mie ricerche sugli inventari) fu sottoposto al Ministro Franceschini, che lo approvò e appoggiò con entusiasmo, rifiutato però dalla allora Direttrice della Galleria Barberini, che affermava di non voler fare in alcun caso una mostra di quel tipo (salvo farla dopo pochi anni senza di noi).

Finalmente nel 2019 presi contatto con la Biblioteca Apostolica Vaticana e nel gennaio 2020 strinsi un accordo con il compianto Prof. Bonocore per la pubblicazione degli inventari commentati nella loro rivista periodica. A marzo scoppiò la pandemia e contemporaneamente scoprirono a mio marito una grave malattia; queste vicissitudini mi portarono per alcuni anni lontano da Roma. Ora riprendo il mio lavoro da dove lo avevo lasciato per sottoporlo agli studiosi delle vicende barberiniane, che fortunatamente in questi anni mi hanno sempre visto quale punto di riferimento per la cultura barberiniana e soprattutto per le informazioni sugli inventari Barberini dell’Ottocento e del Novecento, che tutti quelli che studiavano la materia sapevano che possedevo e avevo trascritto, avendone anche annunciato la pubblicazione negli atti del grande convegno sui Barberini del 2007, al quale parteciparono 90 studiosi dell’argomento.

Gli inventari seicentesche della famiglia sono stati oggetto del grande lavoro di ricerca e conseguente pubblicazione da parte di Marilyn Aromberg Lavin, cara amica, che ringrazio, e che è sempre stata al corrente del mio lavoro appoggiandolo con generosità.

Francesco Barberini juniore, Roma, 1662 – 1738

Dopo la magnificenza del loro secolo d’oro le complesse vicende ereditarie si intrecciarono con rovesci economici e vendite clandestine. Quando fu chiaro che l’unica erede della casata era la giovanissima Cornelia Costanza prese in mano il destino della casata il cardinale Francesco Juniore, la cura delle collezioni passò a lui e tutto il patrimonio Barberini fu amministrato dal cardinale fino alla sua morte, avvenuta nel 1738, dopo quella data l’amministrazione passò a Giulio Cesare Colonna di Sciarra, marito dell’ultima principessa[1].

Tre importanti inventari furono redatti subito dopo la morte del Cardinale Francesco Junior nel 1738: il primo relativo ai suoi beni, il secondo ai beni appartenuti allo zio cardinal Carlo, che andavano tenuti separati per testamento di quest’ultimo, infine, nel 1739, un terzo inventario comprendente i beni del maggiorasco, della secondogenitura e del Baliaggio (questi ultimi furono oggetto di liti che si trascineranno per due secoli).

In questo terzo inventario del 1739 è compreso

“tutto ciò che, particolarmente di mobili e cose preziose vi si era aggiunto per le successive disposizioni del Cardinale Francesco Seniore, di D.Maffeo e di Donna Olimpia Giustiniani”,

come è indicato nel testo a stampa del 1810 relativo alla causa per l’eredità di Cornelia Costanza (1810, B.A.V. RG DIR III 1350)[2].

Nelle numerose cause intentate dagli eredi, si sostiene che i tre inventari fatti fare da Cornelia Costanza Barberini dopo la morte dello zio non sarebbero stati completi

“ebbe in primo luogo la cautela di omettere giudiziosamente molti oggetti di grande valore, quadri insigni, statue e sculture più rare, perché voleva disfarsene, senza che apparissero essere appartenenti al jus succedendi[3].

Questi inventari comprendono non solo le opere d’arte ma tutti i beni del patrimonio, che era confluito per intero nelle mani del cardinale Francesco Juniore, tuttavia erano pesantemente gravati da debiti, e il tentativo che traspare dalla redazione degli inventari è quello di ridefinire la consistenza del maggiorasco[4].

Nel 1769 Cornelia Costanza tuttavia aveva chiesto al papa Clemente XIV Ganganelli la divisione dei suoi beni da quelli del marito, Giulio Cesare Colonna, che sappiamo aver spesso contratto debiti anche sul patrimonio della moglie. L’autonomia nell’amministrazione del suo patrimonio le fu concessa dal gennaio 1770. Successivamente dal 1777 Cornelia Costanza coinvolge nell’amministrazione il figlio secondogenito Carlo Maria, duca di Montelibretti, a cui poi intende lasciare il fidecommesso Barberini, Cornelia Costanza come titolare del fidecommesso aveva la possibilità di designare l’erede e la principessa, chiaramente parziale verso il secondogenito, assegnò a questi la primogenitura Barberini, molto più ricca di quella Colonna. Diversamente nei capitoli matrimoniali si indicava che doveva essere il primogenito della coppia, che ebbe dieci figli, ad assumere la primogenitura Barberini, e il nome di Urbano che gli era stato imposto lo confermava.

La causa fra i figli di Cornelia Costanza nasce dal fatto che Cornelia Costanza non avrebbe potuto designare l’erede del maggiorasco, in particolare il secondogenito anziché il primogenito, avrebbe infatti perduto questo privilegio contravvenendo alle disposizioni del fidecommesso stesso, avendo alienato opere che ne facevano parte, per questo motivo avrebbe anche perso il possesso stesso del maggiorasco.

Nella causa[5] sono ricordate queste alienazioni che sono all’origine del procedimento legale e che costituiscono di fatto la prima dispersione del patrimonio artistico dei Barberini.

E’ da ricordare che le alienazioni della principessa iniziano subito dopo il 1760 (la maggior parte intorno al 1767, due anni prima della richiesta di amministrare personalmente il patrimonio), sono quindi sicuramente legate ai debiti contratti dal marito e si tratta di alienazioni effettuate per volontà o con l’avvallo del principe suo consorte, a differenza di quanto sosterranno gli avvocati del ramo Sciarra nella causa per la divisione del fidecommisso.

Hera Barberini, Musei Vaticani

Nella causa la principessa è persino accusata di non aver inserito negli inventari opere fondamentali, e di averlo fatto per riservarsi la possibilità di venderle[6]. Cornelia Costanza è inoltre accusata di aver sottostimato le opere per poterle vendere, come una celebre statua di Venere stimata 300 scudi, venduta per 800 e rivenduta da Jenkins per 12000, o la statua colossale di Giunone stimata 260 e venduta per 2600[7]. Sicuramente Cornelia Costanza vendette numerosissimi dipinti, negli anni dal 1760 al 1770[8]. E’ citato nel processo anche un fatto inquietante: sarebbe stato incaricato il pittore Francesco Polino (testimone nel processo) di copiare di nascosto opere della galleria per sostituire gli originali e permetterne la vendita.

Le liti ereditarie dei figli che si dovettero dividere le primogeniture Colonna e Barberini, portarono ad una divisione delle collezioni fra i due rami della famiglia.

In una serie di sentenze rotali dal 1804 al 1810 e definitivamente in corte d’appello a Parigi nel 1811, viene sancita la divisione dei beni del maggiorasco, operazione resa possibile anche dall’abolizione dell’istituto del fidecommesso, operata dai Francesi, che governavano Roma, con una legge del 14 giugno 1809.

Gli accordi relativi alla divisione delle opere si protraggono per alcuni anni, dalle prime divisioni e stime del 1812 fino al 1818. Molto importanti i documenti inediti di queste divisioni[9], in cui le opere sono divise per classi di valore (indicate con le lettere A,B,C,D)  con la spartizione delle opere nelle due proprietà, interessanti per rilevare l’evoluzione della collezione e in particolare il gusto che determina la valutazione delle opere non fidecommissare; alcune opere vengono declassate e altre valutate eccessivamente (come accadde alla Beatrice Cenci, attribuita a Guido Reni, allora vista come icona romantica).

Le divisioni ci danno un panorama abbastanza preciso dell’assetto finale delle due collezioni, anche se è necessario tenere presenti i cambi sopravvenuti dopo la divisione (diversi scambi vennero effettuati immediatamente, come il dipinto del Camassei con la Caccia di Diana, passato dagli Sciarra ai Barberini, o il Pico trasformato in Picchio del Garofalo passato dai Barberini agli Sciarra) oltre alle copie eseguite per completare i pendants divisi.

Andrea Camassei, La caccia di Diana; Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Palazzo Barberini

Per la parte toccata ai Barberini è fondamentale questo inventario che ora si pubblica integralmente, con annotazioni sulla identificazione dei molti dipinti, della metà dell’Ottocento, l’“Inventario Generale di Quadri dell’Eccma Casa Barberini redatto per ordine di S.Eccza il Sig. Principe di Palestrina D. Francesco Barberini l’Anno 1844”,  redatto da Enrico Di Dominici,  che descrive minutamente la sistemazione delle opere nel palazzo dei Barberini dopo la divisione con gli Sciarra,  il numero dei dipinti menzionati è di 1406, curiosamente molto vicino all’attuale consistenza delle collezioni della Galleria Nazionale. E’ molto interessante in questo inventario la descrizione degli ambienti con la disposizione dei dipinti negli appartamenti che mostra il reale utilizzo del palazzo (gli ambienti al secondo piano erano affittati fin dal Settecento, in particolare ad inglesi, ad esempio in questo inventario l’ala sud del II piano è indicata come “l’appartamento della contessa di Coventry”)

La parte della collezione proveniente dal patrimonio Barberini passata al ramo Sciarra subisce una grave dispersione con lo scandalo dell’esportazione illegale nel 1891-1892 di 21 capolavori della collezione Sciarra, fra cui importanti opere in origine Barberini come i Bari di Caravaggio ora al Kimbell Art Museum di Forth Worth (Texas).

Caravaggio, I bari ,  Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas, U.S.A.

Questa vendita è seguita, nel 1897 dalla cessione ai creditori dell’intera galleria; del 1898 è la vendita del palazzo Sciarra e di altre 133 opere d’arte. Si trattava in particolare dei dipinti, che furono venduti in asta giudiziaria presso la galleria Sangiorgi, che aveva sede a Palazzo Borghese; il nucleo principale di queste opere fu acquistato da Edoardo Almagià.

Invano i Barberini cercarono di recuperare la parte fidecommissaria dei beni della famiglia nel 1871, quando, dopo la presa di Roma lo Stato italiano abolì i fidecommessi, il ramo Barberini perse definitivamente la causa nel 1873.

Molti dipinti passati nella collezione Sciarra furono venduti senza clamore; alcune opere importantissime, come gli Uomini illustri dello studiolo del Duca Federico, asportati da Urbino dal cardinal Legato Antonio Barberini, non furono inseriti, vista la bassa valutazione, fra le opere per le quali Maffeo Colonna di Sciarra voleva erigere un fidecommesso nel 1835.

Parte dei dipinti Sciarra confluirono nel patrimonio dell’I.N.P.S., acquirente di Palazzo Sciarra al corso, sono attualmente conservati nel palazzo di questo ente all’EUR. Queste opere sono state in gran parte rintracciate negli inventari della famiglia.

Vi fu in seguito un’ulteriore divisione con la famiglia dei principi Corsini di Firenze. A seguito del matrimonio delle due figlie di Carlo Felice Barberini, Anna e Maria Luisa, con due esponenti di questa famiglia e della coincidente fine del ramo maschile in Maria Barberini Sacchetti, dopo il 1881 molte opere della collezione, esattamente i 3/8, passarono nella collezione fiorentina dei principi Corsini. Tuttavia l’immenso patrimonio artistico della famiglia romana era ancora tale da costituire uno splendido museo e solo nel 1934 si arrivò alla definitiva dispersione delle collezioni, con l’avvallo dello Stato.

L’ultimo importante inventario che desidero ricordare è quello redatto per la famiglia è la valutazione fatta di tutte le opere del palazzo ad opera di Ettore Sestieri nel 1932, molto interessante per lo studio che accompagna ogni opera[10]. Anche in questo inventario si rileva la destinazione degli ambienti prima dell’utilizzo da parte del Circolo Ufficiali, anche allora erano in gran parte affittati, in particolare gran parte del piano nobile era occupato dall’ambasciata di Spagna.

L’inventario sembra voler definire il patrimonio artistico della famiglia in vista della divisione della collezione o della successiva transazione con lo Stato italiano, ma non fu in questa sede che venne stabilita la lista delle opere da dare allo Stato in cambio della libertà di vendita della collezione, questa operazione fu eseguita da una commissione di storici dell’arte. E’ difficile dire se la scelta fu determinata solo dal gusto dell’epoca, se la transazione, così sfavorevole per lo Stato, che rinunciava ad opere di Caravaggio, Dürer, Poussin, non fu anche influenzata dagli appetiti che giravano intorno ad una collezione ricchissima e trascurata dai possessori, che era da tempo miniera per antiquari e collezionisti italiani e stranieri, come era avvenuto  ad esempio nel 1889,  in occasione dell’acquisto degli arazzi, conservati in pessimo stato nella sala della guardaroba, da parte di Charles Ffoulke che, come racconta egli stesso, se li fece consegnare dalla principessa Maria per poco prezzo. Arazzi provenienti dalla collezione Barberini sono ora conservati a St,John The Divine a New York, al County Museum di Los Angeles a Pasadena, nell’Isabella Sewart Gardner Museum a Boston, nel museo di Filadelfia, ecc.

L’ultima tappa di questa vicenda è il Regio Decreto legge del 26 aprile 1934, che come è noto, su richiesta dei principi Barberini e Corsini, i due rami fra i quali era stato spartito il fidecommisso Barberini dopo il 1881, permetteva di dividere le collezioni fidecommissarie in tre parti, delle quali la prima andava allo Stato, quale donazione e risarcimento per ogni tipo di tassa, anche di esportazione, relativa ad un secondo lotto di dipinti che, in base a questa donazione, sarebbe restato in piena disponibilità dei principi, con facoltà di esportare e vendere liberamente all’estero. Un terzo gruppo di quadri sarebbe rimasto in loro proprietà ma sottoposto al vincolo delle leggi vigenti sulle opere di interesse artistico e storico. Di quest’ultimo gruppo di opere 112 pezzi furono acquistati dallo Stato nel 1952.

Il palazzo fu affittato al Circolo Ufficiali, come desiderava Mussolini, che lo fa arredare nuovamente con molti pezzi di provenienza Barberini, integrati da opere provenienti dal mercato antiquariale e in particolare dal distrutto palazzo Torlonia. Il salone Pietro da Cortona è trasformato nel “Salone dei condottieri”, in cui campeggiava il ritratto dello stesso Mussolini, che lo inaugura con una fastosa cerimonia nel 1935.

Lorenza MOCHI ONORI   Roma 10 Aprile 2024

NOTE

[1] Ritorno in questa introduzione su temi già da me trattati in Le vendite di Cornelia Costanza e le copie dei dipinti, in L.Mochi Onori, F.Solinas S.Schutze, a cura di, I Barberini e la cultura europea del Seicento, atti del convegno, Roma 2007 e in Le vicende dei dipinti dopo la devoluzione del Ducato alla Chiesa, in A.Marchi, a cura di, Lo studiolo del Duca. Il ritorno degli Uomini Illustri alla corte di Urbino, catalogo della mostra, 7 marzo-9 luglio 2015
[2] Anche questo testo sarà pubblicato prossimamente in questa stessa sede
[3] 1810, B.A.V. RG DIR III 1350
[4] Alcuni degli inventari del cardinale Francesco Junior sono pubblicati su internet dal Getty Provenance Index
[5] 1810, B.A.V. RG DIR III 1350
[6] gli atti citano “la statua di Mnemosine, la nave di Palestrina, il sarcofago di Agamennone, e quello di Protesilao, il basso rilievo del circo, l’obelisco; i Capofuochi dell’Algardi, un quadro di Claudio e uno di Domenichino” la statua di Venere fu venduta a Gavin Hamilton e Cornelia Costanza personalmente aveva venduto i modelli di creta dei due alari dell’Algardi)
[7] Cornelia Costanza avrebbe approfittato del fatto che negli inventari erano descritte quattro statue di Venere, tre di queste furono vendute, la più bella delle quali fu acquistata dallo scultore Pietro Pacilli che la vende a Jenkins, Sono citati oltre alla Venere, una statua di uno schiavo che morde un braccio umano, il busto di Alessandro il grande, (queste tre opere vendute a Jenkins fra il 1763 e il 1765), l’Amorino dormiente, il Narciso alla fonte, l’Adone, l’Atalanta, ecc. Ancora l’antiquario Jenkins acquista i candelabri prenestini, che rivende a Cavaceppi, da questi rivenduti al Vaticano, sempre Cavaceppi avrebbe acquistato nel 1765-66 una quantità enorme di frammenti scultorei conservati nel palazzo, passati attraverso Villa Albani (per le mani antiquarie del Cardinal Alessandro)
[8] nel 1760 la tela con l’Imbarco di S.Orsola di Claudio Lorenese a Gavin Hamilton (ora alla National Gallery di Londra) il S.Girolamo di Guido Reni, descritto tal Teti, i suonatori di Gherardo delle Notti, Il Labano (forse il dipinto con Labano cerca gli idoli  ora alla Bristol City Art Gallery) o più probabilmente il pendant, L’incontro di Giacobbe e Labano di Pietro da Cortona (ora al Louvre), un giovane nudo di Correggio (oltre a gioielli, argenti). Nel 1770 la principessa vende la copia della Trasfigurazione di Raffaello fatta da Carlo Napoletano, messa in vendita già dal 1766 per settemila zecchini, il dipinto con Giacobbe ed Esaù di Pietro da Cortona, la Vergine col Bambino del Parmigianino, quadro descritto dal Teti nel palazzo.
[9] anche questi documenti saranno pubblicati prossimamente in questa stessa sede
[10] Sono grata alla memoria del principe Augusto Barberini che me lo ha da tempo messo a disposizione, anche questo documento sarà pubblicato prossimamente in questa sede