di Cinzia VIRNO
La visita alla mostra di Nino Bertoletti
Dopo l’inaugurazione del 10 aprile sono tornata a rivedere con più calma e una maggiore attenzione la mostra di Nino Bertoletti (Umberto Natale Bertoletti, Roma 1889 – 1971), presente alla Galleria d’Arte Moderna di Roma fino al 14 settembre 2025.
La mostra mi aveva colpito per la qualità delle opere selezionate e per la ricostruzione puntuale della carriera dell’artista. Un percorso importante e fino ad oggi poco chiaro. Così ho sentito l’esigenza di tornare per soffermarmi e riflettere più a lungo sui singoli pezzi.
Curata da Pierpaolo Pancotto, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina in collaborazione con l’Archivio Nino e Pasquarosa Bertoletti comprende un’accurata scelta di dipinti e opere grafiche provenienti perlopiù dallo stesso archivio, dalle collezioni capitoline: Galleria d’Arte Moderna, Museo di Roma, Musei di Villa Torlonia, e da raccolte private.
Preceduta da due importanti ma ormai lontane personali: nel 1974 a cura dell’Ente premi Roma voluta dalla moglie Pasquarosa – accompagnata da un catalogo con premessa di Giovanni Sangiorgi, presentazione di Jacopo Recupero e scritti di Giorgio De Chirico, Libero De Libero, Renato Guttuso e Carlo Levi – e nel 1990 a Palazzo Rondanini alla Rotonda a cura di Valerio Rivosecchi, quest’esposizione riporta all’attenzione del pubblico uno dei protagonisti del Novecento. Un personaggio ancora poco noto ai più per la vastità difficilmente circoscrivibile dei suoi interessi, e l’indubbia difficoltà ad essere inquadrato e classificato.
Nonostante prendesse parte alle principali esposizioni del suo tempo, tra cui l’Esposizione internazionale del 1911, le Biennali di Venezia le Secessioni e le Quadriennali di Roma, le Mostre del sindacato di Belle Arti del Lazio, Bertoletti aveva una certa ritrosia nel mostrare le opere presenti nel suo studio. Preferiva lavorare in assoluta solitudine e far sì che il suo mestiere di pittore, almeno nell’iter produttivo, fosse un fatto assolutamente privato. Anche per questa riservatezza buona parte della sua produzione – dei cui passaggi di proprietà non ha lasciato indicazioni – risulta oggi dispersa e nota solo da foto d’archivio.
Persona di grande cultura, parlava diverse lingue e viaggiava continuamente in Europa anche per studiare la pittura dei maestri antichi e dell’Ottocento (tra i tanti Velazquez, Goya, Gericault, Courbet, Renoir, Cezanne, Degas). Oltre che pittore e illustratore era collezionista, mercante d’arte, giornalista, aveva ruoli istituzionali come organizzatore di manifestazioni e mostre. Si cimentava brillantemente anche in progetti urbanistico – architettonici come quello pensato per via della Conciliazione.

Determinante nel suo percorso umano e artistico il rapporto con la moglie e musa Pasquarosa Marcelli già modella di Anticoli Corrado poi anch’essa pittrice, alla quale, fra l’altro, insegnò a leggere e scrivere. I due, dal 1915 vissero per un breve periodo nella villa Strohl Fern divenendo insieme un importante punto di riferimento per quel cenacolo di artisti.
Allestita al terzo piano della Galleria nell’esposizione sono presenti oltre quaranta dipinti in buona parte inediti disposti in tre sale, e una ventina tra disegni, schizzi, studi, oltre a documenti e libri ospitati nella quarta sala della grafica. Le opere in mostra vanno dall’inizio del Novecento alla fine degli anni Sessanta e offrono una panoramica completa dell’attività del pittore.


Nelle prime due sale sono esposte quelle che vanno dagli anni Dieci agli anni Trenta del Novecento.
In particolare la prima sala contempla le opere degli esordi in ambito secessionista e fino al 1930 circa. Spiccano i numerosi ritratti della moglie Pasquarosa, con diversi atteggiamenti e ambientazioni tra cui quello a figura intera, del 1925, dove è seduta in un interno silenzioso e privo di oggetti. Il mezzobusto frontale con un abito di un rosso squillante del 1923. L’altro con lo sfondo di una marina e la donna pensierosa che guarda di lato, del 1929. E ancora quello dipinto intorno al 1930, con una posa più studiata, l’abito nero scollato, la figura inondata di luce su un fondo chiaro.

Nello stesso ambiente catturano l’attenzione il grande nudo sdraiato a grandezza naturale della Cleopatra, del 1913, di vaga ascendenza simbolista, un’interpretazione in chiave “Novecento” del mito di Apollo e Dafne del 1920 – emblematico di quella cultura classica di cui è appassionato e che continuamente studia – e Pierrot, realizzato nel 1929, ritratto in maschera del figlio Carlo Francesco, all’età di cinque anni seduto su una sedia, in cui risaltano il bianco luminoso del costume e delle scarpette e la resa dello sguardo vivace ed attento.


Nella seconda sala prevalgono le opere degli anni Trenta. Spicca il grande quadro La famiglia. Ancora Pasquarosa ma insieme ai due figli: il più piccolo è seduto sulle sue ginocchia mentre la donna legge un giornale. Il grande è in piedi, poggiato allo stipite della porta e suona la chitarra.
E’ un momento d’intimità domestica che trasmette una calma serenità. Sensazione favorita dai colori pastello e dalle luci delicatamente soffuse. L’intimismo in Bertoletti appare come una costante se pure con forme e soluzioni diverse.
Lo ritroviamo ad esempio nell’opera Il Sogno, altro grande nudo sdraiato dipinto nel 1936 e in Natura morta con cappello e binocolo dello stesso anno, opere queste che in forma diversa suggeriscono tangenze con un realismo magico al quale l’artista non mostra una palese adesione ma che pure di tanto in tanto sfiora il suo percorso.


Nella stessa sala due ritratti maschili, generalmente meno presenti nella produzione di Bertoletti, ci mostrano il pittore e amico Amerigo Bartoli Natinguerra, effigiato di profilo a mezzobusto nella seconda metà degli anni Venti, e Luigi Pirandello, seduto a figura intera, in una piccola tavola del 1932.
Nella saletta a destra, terzo ambiente dell’esposizione, prevalgono le opere realizzate dalla seconda metà degli anni Quaranta agli anni Sessanta.
Tra queste troviamo Interno, altra piccola tavola che mostra lo scorcio di una stanza senza figure realizzata nell’ultima fase di attività tra il 1955 e il 1960: un più tardo riferimento al realismo magico cui si è fatto cenno. Due vedute dell’esposizione dipinte intorno al 1948 con una Roma presa dall’alto in punti diversi dalla terrazza dello studio del pittore in via Quattro novembre.

Donne che si vestono, una tecnica mista su tela realizzata intorno al 1965 e l’Autoritratto del 1967, l’opera cronologicamente più avanzata dell’esposizione.
La mostra si chiude con il quarto ambiente, la sala della grafica della Galleria, dove sono esposti schizzi, studi, disegni, illustrazioni e opere su carta in genere dell’intera fase artistica del pittore, oltre a volumi e cataloghi d’epoca per meglio inquadrare il periodo in cui l’artista visse e operò.
In conclusione. Grazie a questa esposizione, all’impegno degli enti promotori e al capillare lavoro di ricerca del curatore Pancotto, dopo un lungo silenzio, viene restituito a Bertoletti il meritato spazio tra i protagonisti del Novecento aggiungendo pertanto un importante tassello alla storia culturale di quel periodo ancora molto da indagare.
Cinzia VIRNO Roma 18 Maggio 2025