“Chi non sa … a quali mostri l’Egitto vota i suoi culti insensati?” Il tempio di Kom Ombo in Egitto, dedicato al dio Coccodrillo

di Francesca LICORDARI

Il tempio di Kom Ombo in Egitto, dedicato al dio Coccodrillo

Ma il coccodrillo come fa?

Con questa frase di una celebre canzone dello Zecchino d’Oro vengono accolti i turisti italiani che si recano in Egitto, in particolare nella località di Kom Ombo vicino ad Assuan, sede di un tempio sacro al dio Coccodrillo Sobek. Alla divinità bisognava versare un tributo per poter attraversare indenni da una sponda all’altra le acque del Nilo infestate dai coccodrilli. In questo luogo i terribili rettili venivano addirittura allevati all’interno del nilometro – strumento circolare a forma di pozzo utilizzato per misurare il livello dell’acqua del fiume – e poi sacrificati e mummificati.

1 Il Nilometro a Kom-Ombo.

Nel museo del Coccodrillo, allestito nello stesso sito, è possibile vedere coccodrilli mummificati nelle loro bare di ceramica. Gli animali, essiccati con il natron, un raro minerale della famiglia dei carbonati e nitrati che si estraeva in Egitto nella depressione desertica del Wadi El-Natrun, venivano avvolti con bende di lino imbevute di resine e oli.

2 Offerta votiva di Nebnefer

Tutto il museo ospita reperti a tema e stele dedicate al dio Sobek, tra cui un’offerta votiva del sacerdote Nebnefer dell’epoca di Amenhotep III (1410-1372 a.C.), faraone del Nuovo Regno, sulla quale si trovano appoggiati due coccodrilli.

Di questi bestioni ormai non c’è più traccia lungo il tratto egiziano del Nilo, a seguito della costruzione negli anni ’60 della Grande Diga di Assuan, che ha modificato il regime delle acque del fiume, eliminando di fatto le inondazioni. Ma, nonostante ciò, i coccodrilli sono così indissolubilmente legati all’Egitto che anche il personale delle pulizie delle navi da crociera sul Nilo si diverte a realizzarli nelle cabine degli ospiti con asciugamani, creando allo stesso tempo stupore e divertimento.

3 Coccodrillo realizzato con asciugamani

Ma torniamo al tempio di Kom Ombo, che significa letteralmente “cima d’oro”, un grandioso complesso di età tolemaica che riprendeva l’architettura di epoca faraonica; iniziato con Tolomeo VI Filometore nel 181 a.C., ampliato con Tolomeo XII Aulete, rimase in uso fino all’imperatore Macrino (219 d.C.). In realtà doveva sorgere sui resti di un santuario molto più antico, tant’è che una porta della XVIII dinastia (1543-1292 a.C.) fu ancora vista in situ da Jean-François Champollion (il decifratore dei geroglifici) nel muro di recinzione e blocchi, sempre del Nuovo Regno, sono stati ritrovati qua e là nell’area archeologica.

4 Il tempio di kom Ombo visto dal fiume
5 L’autrice in visita a Kom Ombo
6 Particolare delle colonne del tempio

Il complesso presenta una facciata erosa dalle piene del fiume; com’è testimoniato dai segni a metà delle colonne, il livello dell’acqua poteva raggiungere i 5-6 metri di altezza. L’acqua aveva un effetto purificatore e allo stesso tempo rinforzava le strutture. Infatti tra una pietra e l’altra vi erano delle fenditure a forma di rondine riempite con il legno, che a contatto con l’acqua si gonfiava dando stabilità ai blocchi. In generale il tutto non è ben conservato, distrutto in gran parte dal Nilo, dai terremoti e dall’utilizzo come cava di materiali. Non ha giovato nemmeno la trasformazione in chiesa con la deturpazione di alcuni rilievi.

7 Scena di offerte da parte di Domiziano

La pianta del santuario è molto simile a quella degli altri complessi sacri egizi e in particolare a quella della vicina Edfu, con una facciata a piloni, un cortile, due sale ipostile, tre vestiboli e il sacrario.

Su un pilone l’imperatore Domiziano guida una processione e porta offerte al dio Sobek, tra cui il fiore di loto e un’anfora con l’essenza dello stesso fiore, emblema dell’amore e della serenità familiare, e una spiga di grano, simbolo di fertilità. Non dobbiamo meravigliarci più di tanto del fatto che gli imperatori romani, come già prima i Tolomei, avessero mantenuto le tradizioni locali e avessero aderito ai culti di queste divinità, che agli occhi di un autore satirico come Giovenale apparivano in realtà alquanto strane, come si evince da una sua satira (libro quinto, satira XV):

Chi non sa, o Volusio, a quali mostri l’Egitto vota i suoi culti insensati? Gli uni adorano il coccodrillo. Gli altri sono presi dal terrore davanti all’ibis rimpinzato di serpenti. Si vede brillare la testa del cinocefalo sacro”.

Nell’atrio ipostilo, composto da dieci colonne, le pareti sono decorate con bassorilievi celebrativi del faraone Tolomeo XII, in particolare mentre viene incoronato da due donne con le corone dell’Alto Egitto, riconoscibile per il fiore di loto, e del Basso Egitto, che ha come simbolo il papiro, il tutto alla presenza del dio Sobek e della sua compagna, che tengono in mano l’ankh, cioè la chiave della vita. Questo è uno dei simboli più frequenti dell’iconografia magico-religiosa egizia e lo portano sia gli dei che i faraoni. È costituito da due elementi distinti: i bracci di una croce e l’ansa che li sovrasta. L’ansa può essere interpretata come la volta celeste o anche l’eternità, il braccio orizzontale come l’orizzonte umano, terreno, quello verticale come il cammino dalla terra al cielo; il punto di incontro, infine, è l’energia che muove tutto l’insieme.

8 Incoronazione di Tolomeo XII
9 Il dio Sobek con la compagna.

Le divinità venerate nel santuario erano sei: la triade più antica costituita da Sobek (dio coccodrillo), Hathor (dea dell’amore e della bellezza) e Khonsu (dio della luna, del tempo, della guarigione e della giovinezza), e quella più tarda con Haroeris, detto anche Horus il Vecchio, manifestazione solare del dio falco, Tasenet-nofret, sorella di Horus, e Panebtani, il signore dei due paesi.

Sobek non era una divinità cosmica o metafisica, ma rientrava tra quelle naturali sotto la cui protezione erano gli aspetti della vita quotidiana. Era raffigurato sia integralmente come un coccodrillo sia come una figura umana con testa di coccodrillo.

Aggressivo e feroce, per via dell’animale che ne costituiva il simbolo, era ricordato con alcuni epiteti che ricordano la sua indole:

Colui che ama la rapina, Colui che mangia anche mentre si accoppia, Colui che ha i denti aguzzi”.

Di conseguenza anche il santuario aveva uno stretto legame con il mondo naturale e la vita quotidiana. Mostrava inoltre una vocazione salutare, in particolare grazie alla fama di guaritore acquisita dal dio Horus il Vecchio. Gli ammalati giungevano nel luogo e passavano tutta la notte nel corridoio esterno, in attesa di essere purificati dalle acque del fiume. I sacerdoti medici potevano curare e operare gli ammalati nella sala operatoria. Su una parete di età traianea sono raffigurati gli strumenti chirurgici adoperati, offerti al dio della medicina Esculapio, che nel frattempo aveva preso piede in Egitto. Tale immagine è preceduta da quella di due donne incinte sedute su una sedia gestatoria, nella stessa posizione della dea Iside, considerata la prima madre. Iside era infatti la dea della magia, della fertilità e della maternità, che forniva supporto e assistenza alle partorienti.

10 Traiano in ginocchio che offre gli strumenti chirurgici
11 Particolare degli strumenti chirurgici
12 Particolare di donna in posizione da partoriente

Sul lato opposto si trova una nicchia dove sono raffigurati due occhi e due orecchie, che alludono alla capacità di Horus il Vecchio di vedere gli ammalati e ascoltare le loro preghiere. Gli animali intorno sembrano avere confronti con i simboli dei quattro evangelisti, anticipando forse degli elementi che si ritrovano poi nel mondo cristiano.

13 Nicchia per l’ascolto

Le offerte in generale sono il motivo ricorrente di tutta la decorazione. Infatti gli oggetti sono considerati come la parte finale di un ciclo vitale che si compie grazie alle divinità. Come queste ultime avevano trasformato l’oceano primordiale, dando origine al mondo e alla vita, così l’uomo modifica la materia grezza in prodotti finiti, che devono essere a loro volta restituiti come tributi agli dei, dai quali è iniziato il tutto.

Il luogo è fortemente connesso anche al ciclo delle stagioni e al trascorrere del tempo. A Kom Ombo si trova inciso il più antico calendario del mondo egizio risalente al 91 a.C.

14 Calendario

I sacerdoti erano attenti osservatori del cielo e delle costellazioni e la stella di riferimento era Sirio, che normalmente indica il nord, ma in questo caso era in collegamento con le piene del Nilo e segnava l’inizio dell’anno. La stagione delle piene non consentiva ai contadini di proseguire con il lavoro nei campi, ma tale periodo veniva sfruttato per dedicarsi ad altre attività, tra cui l’edificazione di grandi opere architettoniche per il faraone, sperando in questo modo di rendere benevolo il sovrano, assimilato a un dio, nei loro confronti, soprattutto in vista del viaggio nella vita eterna. Viene così smentita la diceria che fossero stati gli schiavi a costruire i grandiosi edifici egizi, tra cui le piramidi stesse.

L’anno era quindi diviso in tre stagioni, quella delle piene, quella della semina e quella del raccolto, della durata di circa quattro mesi, ciascuno di 30 giorni, per un totale di 360 giorni. Per arrivare all’anno completo venivano utilizzati 5 giorni aggiuntivi, chiamati in egizio “quelli che sono fuori dell’anno”. Cinque d’altronde è un numero fondamentale, perché allude alla nascita delle cinque principali divinità: Ra (dio del sole), Osiride (dio della morte e della fertilità), Iside (dea della magia e della maternità), Horus (dio del cielo e re degli dei) e Seth (dio del caos e delle forze distruttive).

Proprio quello di Osiride è uno dei miti più noti, considerato il dio della fertilità, dell’agricoltura e dell’oltretomba, rappresenta il ciclo della vita e della morte, con una resurrezione finale. La storia più conosciuta è narrata da Strabone, che racconta come il dio fosse stato ucciso dal malvagio fratello Seth e il cadavere fatto a pezzi e gettato nel Nilo. Iside, sposa e sorella di Osiride, riesce a recuperare tutte le parti del corpo del marito a eccezione di una, l’organo riproduttivo, che sarebbe stato ingoiato dall’ossirinco, o pesce siluro, considerato uno spazzino delle acque per la sua natura altamente carnivora. Da Osiride, riportato in vita dalla magia di Iside, sarebbe comunque nato il dio Horus.

15 Particolare con allusione al mito di Osiride

Una seconda versione del mito, riportata da Plutarco, vuole che il pene fosse stato recuperato ma non fosse più in grado di procreare e quindi venisse sostituito da uno artificiale. Proprio a ciò allude una delle immagini decorative nel tempio, con la raffigurazione di entrambi gli organi riproduttivi, quello naturale, riconoscibile per la presenza di sole cinque gocce di sperma, e quello nuovo funzionante con sette gocce.

Non mancano, infine, le scene di conquista militare, per dimostrare l’affermazione di potere da parte degli imperatori romani, ormai novelli faraoni. Grande risalto, quindi, viene dato alle teorie di prigionieri che, una volta sconfitti, vengono messi in mostra come bottino di guerra, e alla pratica di tagliare loro il braccio per renderli inoffensivi. Nei casi più estremi potevano venir dati in pasto ai leoni, com’è attestato da un rilievo dell’epoca di Caligola, imperatore scellerato e noto per la sua crudeltà.

16 Teoria di prigionieri senza un braccio

Francesca LICORDARI  Kom Ombo (Egitto) 18 Maggio 2025