di Cinzia VIRNO
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota della dott.ssa Cinzia Virno che intende chiarire e chiudere una questione sorta intorno ad un dipinto di Antonio Mancini, esposto nel 1878 a Parigi, poi disperso che ora invece -secondo una recente pubblicazione del dott. Manuel Carrera-, sarebbe identificato in un quadro del Museo di San Martino a Napoli di cui “si ignoravano sin qui … il titolo originale e la storia”. L’analisi condotta dalla dott.ssa Virno starebbe a dimostrare che l’identificazione del Carrera non regge e l’opera dunque rimarrebbe allo stato attuale dispersa. A puro titolo di cronaca, sottoliniamo che la dott.ssa Cinzia Virno, oltre che valorosa collaboratrice di About Art, è responsabile dell’Archivio e del Catalogo ragionato di Antonio Mancini, curatrice di mostre e convegni in Musei e Gallerie e per la Galleria d’Arte Moderna di Roma per l’8 e ‘900, tralasciando le numerose pubblicazioni di cui non è possibile dar conto in questa sede. About Art come sempre è aperta al contributo di chi volesse ulteriormente intervenire
Come responsabile dell’Archivio e del Catalogo ragionato di Antonio Mancini, non posso esimermi dal correggere un errore che è stato recentemente diffuso sulla sua opera.
Non è l’unico, e qualora fosse necessario, saranno forniti chiarimenti negli aggiornamenti al catalogo in corso. Tuttavia questo, del tutto ingiustificato, risulta particolarmente grave perché chiama in gioco un’opera importante presente in un altrettanto importante museo italiano.
Va premesso innanzi tutto che uno dei compiti più difficili nella stesura del catalogo ragionato del pittore è stato il riconoscimento di alcune opere esposte in mostre senza foto, con titoli molto generici e nessun elemento descrittivo. Notevole confusione è stata poi generata – non volendo – già da Mancini stesso che non si occupava mai in prima persona delle vicende economiche ed espositive dei suoi quadri. Lasciando sempre fare agli altri, anche i titoli hanno sofferto di questa confusione. La stessa opera veniva chiamata da mercanti e curatori in modo diverso a volte contraddicendo quanto inizialmente indicato dallo stesso artista.
Un numero veramente ampio di questi pezzi particolarmente difficili è stato comunque faticosamente identificato da un incrocio di dati tra cataloghi di mostre, vendite, documenti presenti nell’archivio dell’artista, articoli reperibili nelle biblioteche e on line.
A proposito del problema dei titoli, c’è un’opera di Mancini presente all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 che risulta in catalogo come: “La figlia del marinaio”[1] nota – anche a me- come quella già in collezione Maglione Oneto[2] riprodotta con questo preciso titolo sul catalogo di vendita della stessa collezione nel 1922 ( Mancini vivente) [3] e rintracciata qualche anno fa in una collezione privata ( FIG. 1).

Conoscendo ormai bene la mentalità del pittore, già prima di affrontare le ricerche sul quadro, sapevo che nell’opera non ci sarebbero stati espliciti riferimenti “marini” come pesci o simili, ma semplicemente che a posare come modella era stata, appunto, la figlia di un marinaio. La suddetta opera rappresenta infatti una fanciulla in chiesa che prega. Chi studia, soprattutto l’arte tra Otto e Novecento, sa che ultimamente biblioteche, musei e archivi di tutto il mondo, stanno mettendo in rete scritti di varia natura, soprattutto articoli e importanti documenti d’archivio, prima introvabili. Dopo l’uscita del catalogo ragionato ( 2019), i riscontri fatti in tal senso, mi hanno fatto dubitare che l’opera esposta a Parigi nel 1878 fosse proprio quella. Si tratterebbe di due opere diverse con identico titolo. Un caso unico davvero che viene, appunto, chiarito negli aggiornamenti al catalogo di prossima pubblicazione.
Nel frattempo è stato diffusa una notizia errata.

Il giovane Manuel Carrera in un suo recente scritto, elaborando alcune usuali quanto fantasiose critiche al catalogo ragionato di Mancini, dichiara con forza di aver identificato la suddetta opera esposta a Parigi con “Ritorno da Piedigrotta” del Museo di San Martino a Napoli ( FIG. 2) di cui – a suo dire – “si ignoravano sin qui” ( ovvero sino a lui ) “ il titolo originale e la storia…..”[4].
L’identificazione, come vedremo non corretta, si basa su stralci di scritti dell’epoca, oggi reperibili nel web che lo stesso studioso non riporta in originale saltando peraltro a piè pari parti di assoluto rilievo ai fini della descrizione dell’opera.
Si tratta in particolare dei seguenti passaggi qui riportati fedelmente in cui, La figlia del marinaio in questione, viene citata in questi termini da Dubosc de Pesquidoux: “tutta la sua persona è triste come i suoi occhi”[5]; da Veron che ipotizza la morte del padre marinaio:
“La povera bambina ha appena perso il padre; Vedo due medaglie o amuleti appesi ad un velo funebre, e l’orfana è triste, abbandonata, dopo aver perso questo coraggioso e degno padre”[6].
E infine da Bergerat, il più determinante, di cui curiosamente Carrera riporta solo un breve tratto con parole sue indicando genericamente: “tra gli altri monili un tamburello ornato [7]”. Alcuni degli elementi riportati nei primi due scritti potrebbero anche adattarsi all’opera di San Martino, ma non si comprende perché siano state omesse dallo studioso parti fondamentali di quest’ultimo articolo che già da sole avrebbero assolutamente escluso l’identificazione di cui sopra. Il tratto di articolo citato in modo corretto di fatto dice:
“C’è ancora molto spreco di colore nel dipinto intitolato (solo Dio sa perché!) La figlia del marinaio. Questa figlia del marinaio, di cui è visibile solo la testa, osserva danzare davanti a lei collane, croci dorate e un tamburello decorato con conchiglie” [8]. (sottolineature dell’A.)
Dove sarebbero dunque questi elementi in Ritorno da Piedigrotta? Non ve n’è traccia. La figura è un ampio mezzobusto visibile fin oltre l’addome mentre in quella dell’esposizione si vede solo la testa. Inoltre questa non ha nulla davanti a sé, tantomeno sta vedendo una danza attraverso le sue collane, e il tamburello – elemento assai comune nelle opere di Mancini – non è ornato da conchiglie.
Va aggiunto, a questo punto, che a recensire la mostra non furono soltanto i critici francesi e quelli citati non sono gli unici e nemmeno i più importanti articoli recentemente “usciti” sul web riguardanti l’opera esposta a Parigi. Ce n’è un altro, in particolare, che evidentemente Carrera non ha visto. Succede. Si tratta di quello, molto accurato nelle descrizioni, all’interno del quale, lo spagnolo Picon, in visita all’esposizione del 1878, descrive nel dettaglio alcuni dei dipinti presenti e, per quanto riguarda le fattezze di quello in esame fornisce questi decisivi elementi:
“…..la figlia del marinaio; un tipo che personifica una razza fatta per vivere sotto un sole infuocato, una ragazza dal viso ovale, con grandi occhi neri e obliqui, il cui sguardo è una promessa di affetto e di gelosia, con labbra sottili, un colore brillante e ha denti bianchissimi; figlia di una costa accarezzata dallo stesso mare che bacia le nostre spiagge di Cadice e Malaga, una donna che, sotto la crosta ruvida di chi è abituato a guardare in faccia la tempesta e ad aspettare sulla riva, custodisce nel suo cuore tesori di amore e di tenerezza”[9].
Nel confronto i grandi occhi scuri e obliqui con fatica e immaginazione si potrebbero far passare per tali, ma la bocca, sicuramente non è sottile né di colore acceso e soprattutto non si può certo dire che la fanciulla del Ritorno da Piedigrotta che la stessa bocca tiene chiusa serrata, mostri al pubblico i suoi denti bianchissimi!
Questa precisa descrizione unita a quella di Bergerat è più che sufficiente per poter affermare che La figlia del marinaio o Figlia del pescatore esposta a Parigi nel 1878 è tutt’altra opera rispetto a quella del Museo di San Martino. E non c’è neppure la giustificazione di un titolo analogo.
Grazie agli elementi emersi dagli articoli coevi di recente diffusione è possibile oggi affermare con certezza che, La figlia del marinaio dell’esposizione francese è un’opera dispersa.
Abbiamo qualche dato certo per la sua identificazione che possiamo ricapitolare: della figura si vede soltanto la testa, ha un’espressione triste, si notano due medaglie oppure due amuleti appesi a un velo funebre. Davanti a sé, come in una danza la fanciulla osserva alcune croci dorate e un tamburello decorato da conchiglie. Della sua bocca con labbra sottili e di colore acceso – evidentemente un rosso molto marcato – sono visibili i denti bianchissimi.
Il ritrovamento di quest’opera avrebbe oggi più che mai una grande valenza, sia per il fatto in sé, data l’importanza dell’esposizione a cui prese parte, sia per quella che, dagli elementi certi, appare come una curiosa e complessa iconografia, peraltro tipica del Mancini del primo periodo.
Cinzia VIRNO Roma 6 Aprile 2025
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