redazione (con una nota di Francesco Petrucci)
Genesi e divenire del Barocco tra Roma e Napoli
Dipinti da Palazzo Chigi in Ariccia e dalla collezione Koelliker
a cura di
Francesco Petrucci e don Gianni Citro
con la collaborazione al Catalogo di
Sofia Laurenti e Margherita Fratarcangeli
Catalogo De Luca Editori d’Arte Roma, 2025
Pittura barocca da Roma a Napoli, e viceversa.
di Francesco Petrucci
Roma capitale dello Stato Pontificio e Napoli capitale di un Viceregno, e quindi del Regno borbonico, hanno espresso tra Seicento e Settecento le principali scuole pittoriche italiane, per rilevanza delle commissioni nei rispettivi ambiti territoriali e oltre frontiera, varietà degli artisti e livello qualitativo di quanto proposto.
C’è naturalmente anche Bologna, ma sempre nello Stato Pontificio, che ha comunque vissuto una relazione osmotica con la capitale. In ogni caso, quando si parla di scuola romana si entra sempre in un contesto fluido e sfuggente, scivoloso, dato che per ogni aspirante artista europeo era d’obbligo recarsi nell’Urbe ad imparare, a contatto con l’antico e con i più avanzati esempi del Rinascimento. Molti restavano trovando opportunità di lavoro, fermandosi mesi, anni o tutta la vita. È questa la ragione per cui, dopo il coraggioso volume di Hermann Voss del 1924, nessuno si è mai cimentato nel produrre un vero sistematico repertorio della pittura romana del XVII secolo
Così Annibale Carracci, Domenichino e Lanfranco sono ritenuti pittori di scuola emiliana, pur avendo lasciato qui le loro opere capitali, Poussin e Lorrain sono pittori di scuola francese, nonostante abbiano lavorato tutta la vita a Roma, lo stesso Salvator Rosa è classificato di scuola napoletana, sebbene abbia prodotto i suoi massimi capolavori soprattutto sulle sponde del Tevere, e così via in una lunga sequenza che sarebbe tedioso riproporre… Napoli era la capitale più vicina, facilmente raggiungibile per mare e per terra in soli tre giorni
.
A mio avviso, anche quando non ci sono documenti che lo attestino, dobbiamo pensare che molti giovani artisti meridionali avessero inserito nel loro percorso formativo almeno un pellegrinaggio ai luoghi della fede e dell’arte nella città eterna. Credo che gli artisti abbiano viaggiato più degli storici dell’arte contemporanei, molto spesso vinvolati ai loro interessi settoriali di specifici ambiti territoriali. Un tramite di scambio fra le due città furono gli ordini religiosi, i cardinali di S.R.C. d’origine campana trasferiti per necessità a Roma, molti viceré che in precedenza erano stati ambasciatori presso la Santa Sede, ma anchemercanti e collezionisti Poi viaggiavano le opere d’arte, con presenze di quadri romani ed emiliani nelle grandi dimore nobiliari partenopee e di quadri napoletani nelle maggiori raccolte romane.
Gli inventari Chigi registrano numerosi dipinti di Ribera, Giordano ed altri conterranei, soprattutto di Salvator Rosa, tra cui il Pindaro e Pan esposto in mostra che l’artista considerava il suo capolavoro. Ma lo stesso era per altre casate, in particolare quelle più legate al Viceregno come i Colonna, i Pignatelli, i Brancaccio o gli Orsini

La Certosa di San Martino a fine ’500: una trasferta romana.
Il rapporto di scambio vitale tra Roma e Napoli, forse ancora non adeguatamente considerato dalla critica, ha un primo fondamentale momento nel cantiere tardo cinquecentesco della Certosa di San Martino, ove furono presenti numerosi artisti e artigiani provenienti dai grandi cantieri sistini, tra pittori, scultori, stuccatori, capomastri e artigiani in genere.
Si trattò, come ha sottolineato Pierluigi Leone de Castris nel suo saggio sulla fase manierista del complesso certosino, di una massiccia trasferta della sfuggente scuola romana nella capitale del Viceregno, che avrebbe impresso una svolta all’arte sacra napoletana degli anni successivi.
Tra i pittori Avanzino Nucci, Giovanni Baglione, Paolo Guidotti Borghese, Flaminio Torelli e soprattutto quello che sarebbe divenuto a breve il dominatore assoluto dei massimi cantieri decorativi romani tra i pontificati Aldobrandini e Borghese: Giuseppe Cesari detto “il Cavalier d’Arpino”, che possiamo definire “il maestro dei maestri”. Ricordiamo a riguardo le grandiose imprese decorative da lui progettate dirigendo uno stuolo di sommi artisti – tra cui Orazio Gentileschi, Giovanni Baglione, Guido Reni, etc. – nelle tre principali basiliche papali: la cupola michelangiolesca di San Pietro, la basilica-transetto di San Giovanni in Laterano e la monumentale cappella Borghese in Santa Maria Maggiore. A queste vanno aggiunti gli affreschi del salone capitolino e molto altro
Da Napoli a Roma
Paradossalmente il più rilevante contributo di un artista attivo a Napoli per lo sviluppo dell’arte romana del XVII secolo, fu il trasferimento nel 1606 nella città dei papi di un grande scultore come Pietro Bernini, portando con sé la famiglia e quel figlio che avrebbe cambiato il volto della
città eterna: Giovan Lorenzo Bernini. Questi era nato a Napoli il 7 dicembre 1598 da Pietro, fiorentino, e Angelica Galante figlia di Giovanni, napoletana, in un rapporto avvenuto prima del matrimonio, come rilevò Stanislao Fraschetti nella sua ancora utile monografia del 1900 12. L’eco delle notevoli sculture eseguite dal padre a Napoli si fece ben presto sentire anche nella capitale del cattolicesimo, tanto che Pietro su raccomandazione del solito Cavalier d’Arpino, di cui era stato collaboratore in pittura, si recò a Roma.
Qui scolpì la prima vera pala marmorea barocca del secolo, sebbene destinata in origine alla facciata esterna della cappella Borghese, cioè la monumentale Assunzione della basilica di Santa Maria Maggiore, eseguita su commissione di Paolo V tra il 1607 e il 1610, posizionata sull’altare del Battistero. Per essa Lavin ipotizzò una partecipazione precocissima del giovane figliolo.
Roma 6 Aprile 2025