La “Cattura di Cristo” ad Ariccia e il restauro di Carla Mariani: “Quando l’ opera riprende la sua immagine antica di centinaia di anni”

di Carla MARIANI

Molti anni fa mi chiamò un caro amico, antiquario appassionato e coraggioso, per vedere un dipinto che avrei dovuto restaurare.

Nella sua galleria, in una storica via nel centro di Roma, zona da sempre vissuta da artisti di tutta Europa, vidi un grande dipinto che emergeva dai numerosi altri come se fosse solo, aveva in sè una forza profonda fatta di luce e dinamismo.

La potenza della composizione e della coloritura non era indebolita dallo stato di conservazione alterato, vista la presenza di una patina di ossidazione bruna, che in alcuni punti diventava biancastra e coprente e dai numerosi ritocchi invasivi e alterati

L’inizio di un intervento di restauro si basa su un progetto di lavoro che nasce da un’osservazione attenta dell’opera che ci aspetta. Lo scopo è di passare non visti, cioè restituire la leggibilità, l’armonia che alcuni danni cancellano, senza però lasciare il nostro segno in maniera evidente, in modo che alla fine l’opera si riprenda la sua immagine antica di centinaia di anni, con il suo percorso e le vicende che ha vissuto in questo lungo tempo, senza alterazioni. Per raggiungere questo scopo, dobbiamo cercare l’inizio del percorso progettuale del pittore, seguire il suo pensiero, capire come si è sviluppato, quali sono stati i suoi intenti, scoprire i piani prospettici, soprattutto leggere dove vuole emergere e dove invece vuole suggerire.

Indagine tecnica

La complessità di questo dipinto necessitava di un approccio cauto, indagatore che ha richiesto delle indagini diagnostiche per leggere ciò che sottostà alla pittura. Fig 1

Caravaggio, Presa di Cristo, radiografia contrastata (Davide Bussolari 2023):

È stata fatta una riflettografia che ci ha permesso di apprezzare molti pentimenti che denunciano la ricerca dell’armonia e dell’equilibrio nella composizione; vediamo che dietro la testa dell’autoritratto del pittore, era stato progettato un altro armigero, che le braccia di Giovanni erano più verticali e la sua mano destra aveva le dita più aperte, la linea del panno rosso nella parte bassa era avanzata, di circa 20cm.

Pentimento visibile ad occhio nudo del panno rosso

Questo pentimento si può vedere anche ad occhio nudo, leggiamo il rosso sotto la manica e il fondo intorno a Giovanni.

L’intrvento per prima cosa si deve preoccupare di seguire l’opera nella sua struttura, nella solidità, nella forza del supporto, nella coesione del colore alla tela.

In questo questo caso abbiamo una tela chiamata a Cordellino per il suo andamento evidentemente diagonale, ha una aggiunta sul lato lungo del dipinto a circa cm. 30 dal margine inferiore e a sua volta è stata aggiuntata nella metà del suo lato corto.  La trama del cordellino, in questa porzione di tela è stata posizionata al contrario rispetto alla porzione maggiore.

Il supporto nel totale misura c m. 142×218,5 ed è sostanzialmente integro a parte uno strappo grande circa cm.25 posizionato sotto le teste di Cristo e Giovanni.

Il dipinto ha subito un intervento di rintelaggio non documentato che probabilmente risale all’inizio del secolo scorso, è sostenuto da un telaio dello stesso periodo con una sola traversa nel centro del lato corto. La tela di rintelaggio è macchiata probabilmente a seguito dei precedenti interventi di restauro ed è anche chiaramente visibile nel retro lo strappo già menzionato che ha creato, nella sua corrispondenza, una depressione. Non è stato necessario fare nessun intervento di consolidamento in quanto il colore è ben coeso al supporto e la tela seppur leggermente lenta non ha disomogeneità.

Di conseguenza si è potuto iniziare la pulitura che è stata piuttosto complessa in quanto si è dovuto rimuovere due interventi di restauro sovrapposti. Era presente una vernice molto alterata e disomogenea, cioè in alcune zone era più spessa che in altre, per questo intervento si è usata una combinazione di solventi che si è modificata a seconda dei casi, la base è stata alcool Isopropilico, Acetone, Ligrolina, con l’aggiunta di poco Dimetilsolfossido alla necessità.

I ritocchi, per la gran parte invasivi, una volta rimossi, hanno scoperto stuccature diverse e sovrapposte che è stato necessario rimuovere a bisturi, potendo recuperare in questo modo, molte porzioni di pittura nascosta.

A mano a mano che la pittura emergeva pulita si poteva leggere il percorso esecutivo portato avanti, in molte parti, attraverso sovapposizioni; una figura nasce dalla precedente, si arricchisce delle trasparenze del colore che la precede, come i capelli di Cristo, che ornano questo volto scavato, rivelano sotto le ciocche ritorte il rosso e il verde dell’abito sottostante. Tutte le figure nascono da una mestica sostanzialmente calda, una terra d’ombra bruciata chiara, velata da un nero vegetale profondo e trasparente.

In quest’opera sono particolarmente numerose ed evidenti, le tracce dipinte con un colore chiaro, forse ocra, sopra la mestica ma sotto il colore, che, delimitano l’ingombro che la composizione prendera’ sulla tela ed anche i punti più salienti della stessa.

La più significativa è sicuramente la traccia che delimita la mandibola e l’orecchio del pittore e la più singolare il disegno del profilo della cornice, da lui progettata che ancora conserviamo. Le lacune seppur rimpicciolite, sono numerose soprattutto nella parte destra del dipinto, dove sono più frequenti le terre e dove la tecnica del “risparmio” tipica di Caravaggio, comincia ad essere usata.

Queste mancanze vengono risarcite con lo “stucco” materia composta da gesso di Bologna e colla di coniglio, che può essere pigmentata come la preparazione del dipinto, in modo che il ritocco pittorico abbia la stessa base del colore originale.

Una verniciatura iniziale ci aiuta a leggere il testo, altrimenti opaco.

Piccola operazione fondamentale è quella di imitare nelle lacune la stessa materia che le circonda, in modo da poter nascondere completamente i ritocchi pittorici che altrimenti sarebbero riconoscibili a luce radente in quanto lo stucco rasato è naturalmente liscio.

Per fare questo bisogna prendere l’impronta della materia pittorica confinante con la lacuna e stampigliarla sulle prime stesure del ritocco. Il nostro intento è di usare, per quanto è possibile gli stessi materiali degli antichi maestri, per un’aderenza stretta al loro operare; per cui chi vi parla usa per il ritocco pittorico i pigmenti naturali fatti di terre, ossidi e lacche, e leganti che garantiscono la maggiore durata e stabilità del tono dell’intervento.

Il ritocco è stato estremamente rispettoso del testo, limitandosi a chiudere le lacune e qualche svelatura che disturbava la lettura dello stesso.

Il ritocco ha fatto emergere prorompentemente la parte centrale del dipinto, evidenziando il volume e il piano prospettico che si spinge verso l’osservatore, le zone più suggerite, che qui sono quelle vuote al contorno delle figure, sono state conservate nella loro delicatezza. Nella parte in basso a destra notiamo un tessuto pittorico leggerissimo che pur identificando la figura del pittore in ombra totale, lascia una zona scura che rispetta la preminenza dei piani centrali.

Una verniciatura intermedia fatta con il PVA della Berghof diluito in alcool puro ha permesso il fissaggio del ritocco ed una visione unitaria del dipinto, in seguito dopo il controllo dell’intervento pittorico, si è proceduto alla verniciatura finale con la vernice della Windsor&Newton glossy, che pur profonda ha un effetto satinato necessario per poter godere del dipinto senza brillii negativi.

La difficoltà della verniciatura in questo caso è stata determinata dalla superficie disomogenea del dipinto, in quanto il colore ricco e pastoso ha lasciato la sua impronta materica sulla tela, per cui dove sono presenti le biacche la superficie è liscia, mentre le terre i rossi e soprattutto lo smaltino hanno una superficie più scabra.

Noi dobbiamo considerare che i colori che vediamo sui dipinti a cominciare dal XV secolo e proseguendo fino al secolo scorso non sono esattamente come quelli che erano il risultato del lavoro dei pittori, poiché nei secoli una ossidazione del legante che loro usavano, olio di lino di papavero o di noce, faceva virare i toni verso varianti più scure.

Questo succede perché alla fine del secolo XV nel nord dell’Europa, in Olanda, nelle Fiandre, in Germania, gli artisti sentirono la necessità di colori più duttili e trasparenti, a fronte della brillantezza e della luminosità dei colori a tempera fino a questo momento usati. Ma il legante della tempera, rosso d’uovo o glutine, non faceva alterare il tono dei pigmenti, mentre l’olio di lino o di papavero scelto come legante nell’altra soluzione, permette sì di avere più velocità esecutiva e profondità cromatica, ma ossida attraverso l’ossigeno dell’aria e fa scurire la gran parte dei pigmenti soprattutto quelli carichi di terre, comunque questa scoperta fu poi adottata da tutti gli artisti europei e ha contribuito alla grande rivoluzione, madre dell’arte Moderna.

Per cui i nostri ritocchi pittorici, anche se i nostri medium sono molto raffinati, subiscono comunque una ossidazione che porta i nostri interventi nel tempo a cambiare come fecero i colori che vogliamo imitare.

La tavolozza di Caravaggio si compone di pochi colori, che sono sempre gli stessi, il “carbonato basico di piombo” o “biacca”, si produceva esponendo il piombo in un contenitore chiuso a vapori d’aceto.  La biacca non ossida mai, può essere così luminosa, se molto raffinata, da essere chiamata da Rubens “bianco d’argento”.

Il “rosso” per il Maestro era esclusivamente il rosso di cinabro o solfuro di mercurio, colore estremamente brillante e inalterabile che viene ottenuto liberando il minerale di cinabro dal mercurio che contiene in se. Le Miniere si trovano in Germania Italia Spagna, in oriente in Giappone, in Messico e Siberia, Era già noto ai greci ed ha un significato esoterico in quanto il mercurio contenuto nelle masse di cinabro, aiuta l’oro a separarsi dai minerali che lo contengono e aiuta all’elaborazione delle emozioni, a volte è l’unico “colore” nei dipinti del Merisi

Il “nero di vite”, estremamente profondo ma non molto coprente, si ottiene carbonizzando i tralci di vite. Ha una storia molto antica, i greci lo conoscevano.

Le “terre” sono colori minerali e vanno dal giallo chiaro al bruno passando attraverso rossi e arancioni e dipendono dalla temperatura a cui è stato sottoposto il ferro in esse contenuto. Per poterle utilizzare bisogna macinarle, filtrarle e dilavarle.

Il “verde” che compare raramente è il verde di rame, ottenuto ossidando il minerale con l’aceto.

Il “giallo” ha una vicenda molto complessa, viene chiamato “giallorino” per indicare la sua tonalità tenue ma molto stabile. Cennini ne parla, viene usato già nel medioevo con una connotazione simbolicamente negativa, legata al tradimento, all’invidia. Infatti, la veste di Giuda, come in questo dipinto, è gialla e gialla era anche la stella di Davide che indicava gli ebrei nel mondo tedesco.

Ma la problematica più complessa è quella della sua composizione e produzione. È usato fin dall’antichità ma con il progredire della scienza moderna il dibattito sui suoi veri componenti si è fatto sempre più complesso tanto che in certo momento della sua storia, intorno ai primi decenni del ‘600 viene identificato con il giallo di Napoli. La sua produzione era finalizzata all’utilizzo nelle porcellane e nei vetri e i suoi componenti sono piombo, stagno e/o antimonio.

Nel ‘600 questo pigmento veniva utilizzato da molti pittori a Roma, ma non durante i loro spostamenti, ciò fa intendere la loro inconsapevolezza riguardo alla effettiva composizione. Questo fa dedurre che le presunte differenze, tra giallorino e giallo di Napoli, composto da piombo, stagno e antimonio, dipendono dalla capacità che noi abbiamo adesso di identificare con maggiore sicurezza le componenti chimiche.

Il “blu” raramente è presente nei dipinti di Caravaggio, egli non amava il lapislazzuli, lo riteneva troppo protagonista, lo chiamava il veleno dei colori perché contrasta in maniera stridente con la tavolozza calda e ambrata che il maestro prediligeva.

Lo “smaltino” è il colore più duttile che il Merisi usa come blu.

Il blu ha una lunghissima ed affascinante storia, ma non ci vogliamo dilungare in questa sede. Lo smaltino ha origini remote, nasce in oriente ed in realtà è un vetro che durante la preparazione viene colorato con la polvere di cobalto è l’unico colore prodotto dal vetro e uno dei pochi che si è aggiunto al numero di quelli usati dai romani a Pompei ed Ercolano, che sono arrivati fino al secolo XVIII momento nel quale sono arrivati nuovi colori non naturali.

Il tono di questo blu dipende dalla macinatura, che produce un celeste quando è sottile, blu più scuro o tendente al violetto quando è più grossolana. Questo materiale però ha il difetto di subire delle variazioni di tono che dipendono dall’umidità e possono essere anche importanti, lo portano a diventare grigio o bruno.

Si suppone dal nome che gli veniva dato”smaltino veneziano”, che sia arrivato dall’oriente a Venezia con le sue grandi vetrerie, attraverso gli scambi commerciali che la città aveva con questa zona del mondo; e che Caravaggio sia stato a Venezia dove ha conosciuto questo colore, prima di arrivare a Roma, come alcuni suppongono.

Nel caso di questo dipinto, lo smaltino costruisce il manto di Gesù, ma anche qui c’è stata una variazione che però ha lasciato un celeste polveroso sulle parti più illuminate del suddetto manto

Smaltino

In Europa già alla fine del XV secolo veniva usato da Luca Signorelli poi da Rubens, Tintoretto e Tiziano e visto che anche in questi dipinti si sta alterando, si sta studiando una raffinatissima tecnica per evitare questa ossidazione.

Il Merisi non era un pittore di velature, i suoi impasti sono pieni e corposi, la sua tecnica perfetta; infatti, in genere i suoi dipinti hanno una bellissima conservazione, solo le grandi tele siciliane sono sciupate ma questo dipende dalla povertà dei supporti e dalla fretta con cui il Maestro preparava e dipingeva questi suoi ultimi capolavori.

La “lacca di Garanza “è sempre presente nella sua opera, violacea come sulla cintura del “Bacchino malato” o rosa scuro come nella “Cattura di Cristo”, illumina e approfondisce le ombre, spesso sul suo amato cinabro.

Questo colore dalle tonalità preziose proviene dalla radice della Robbia o Garanza, pianta tipica delle regioni asiatiche, che è stata coltivata anche in Italia.

Analisi stilistica

Tutto questo bagaglio di materiali raffinati e preziosi costruisce i mattoni della sua tecnica pittorica. Ogni pittore elabora il suo modo di rendere visibile il suo pensiero, la sua invenzione; questa modalita’ è figlia delle origini, della preparazione, degli esempi, degli incontri, del caso, delle possibilità economiche e molto altro e si evolve insieme a chi la possiede, e spesso non riusciamo a capire se il pensiero influenzi la tecnica o il contrario.

In Caravaggio le due parti della creatività sono legate indissolubilmente, la sua tecnica rincorre l’invenzione ma l’invenzione non sarebbe realizzabile senza quelle modalità esecutive. Come tutti gli artisti il maestro si evolve e tutto cambia durante questo processo. Non dobbiamo dimenticare che lui è un uomo del ‘500 nasce nei 1571 e il suo percorso inizia a Milano, Leonardo è ancora presente con i suoi insegnamenti e Simone Peterzano è il suo maestro.

Infatti, il primo lavoro riconosciuto, il “Bacchino malato” è dipinto su una preparazione grigia chiara figlia della tradizione cinquecentesca lombarda; il risultato è un dipinto cromaticamente composto, dai toni freddi e luminosi in cui la tavolozza è essenziale.

L’influenza romana presto modifica il suo lavoro e toni cambiano, si accendono, compaiono i rossi e le lacche profonde, ma come nel “Ragazzo con la canestra di frutta” la preparazione rimane fredda. Fino al 1600 il maestro dipinge soggetti profani e gioiosi, ma in quell’anno gli vengono commissionati i dipinti della Cappella Contarelli cui il suo mondo pittorico e molto probabilmente anche personale cambiano, sempre di più il suo animo si manifesta forte e drammatico. Fino ad arrivare al 1606 anno in cui il Merisi fugge da Roma per sottrarsi alla pena capitale a seguito dell’omicidio di Ranuccio Tommassoni.

Dipinge e vive come se una furia lo spinga, i suoi colori si accendono e scuriscono, le preparazioni sono a strati e sempre più scure e profonde, fino ad arrivare ad un largo utilizzo della tecnica del risparmio, in cui la mestica diventa colore per larghe parti dei dipinti soprattutto dell’ultimo periodo in cui il genio di Caravaggio va incontro al suo destino.

La “Cattura di Cristo” entra in questa fase, i documenti lo datano al 1603, e testimonia inequivocabilmente l’animo del Maestro, l’impatto è forte, commovente, bellissimo; subito ci colpisce il patos che lo ricopre, l’emozione ci spinge verso di lui e scopriamo a poco a poco da cosa promana questo sentimento.

Caravaggio, Presa di Cristo, Collezione Mario Bigetti, gia Ruffo

Vediamo che il gruppo dei personaggi riuniti nel centro della tela sono sovrapposti e avvinghiati uno sull’altro ma anche divisi in due parti, a sinistra si concentra l’azione con Giovanni Cristo e Giuda avvolti nel panno rosso del martirio, su di loro vivono i colori simbolici e profondi, sulla parte destra osservano gli armigeri e l’autoritratto del pittore, i colori scompaiono e solo le terre costruiscono le figure, di mezzo divide ma anche unisce, il soldato vestito di ferro profondissimo ma luminoso, che ghermisce Nostro Signore alla gola. Una grande armonia guida questa scena e un grande dinamismo, le figure sono immobili ma sembra che un turbine le faccia girare.

Perché quale magia è nascosta in tutto questo?

Dietro alla apparente naturalezza delle composizioni caravaggesche soggiace un profondo e rigorosissimo studio compositivo che organizza lo spazio e la sua dinamica. Sempre il pittore usa la dimensione delle figure al naturale, questo perché noi osservatori ci possiamo sentire come partecipanti alla vicenda ed entrare nello spazio pittorico. Sempre un particolare forma un angolo, un cuneo che supera la bidimensionalità della tela per entrare nello spazio tridimensionale che ci circonda, qui è il gomito del soldato con la corazza.

Leggiamo una grande spinta verso lo spazio esterno, come se una forza aprisse la composizione, questa è la costruzione geometrica, le mani incrociate di Gesù sono il punto di fuga di questa prospettiva. Da qui partono delle diagonali guida che scandiscono le figure di destra, nel loro spazio, paralleli sono i nasi delle stesse alle loro diagonali, e questo rafforza la percezione della spinta. La linea più importante è quella che attraversa la figura di Cristo, va dalle mani al triangolo rosso della veste, al volto passando dalla linea del naso.

Questa inclinazione è molto portata all’indietro e se noi valutiamo la verticale dalle mani del Redentore, misuriamo circa 40cm. che lo allontanano dal bacio di Giuda, questo dice quanto sia grande il dolore e l’orrore per quello che lo aspetta, ma nello stesso tempo le mani sono ferme e la loro posa significa penitenza, accettazione, sacrificio.

Nel contempo le braccia del soldato, di Giuda, e di Giovanni, quasi parallele tra di loro, formano un arco che contribuisce al movimento della composizione, le braccia di Giovanni sono tese, quella sinistra, che sembra una citazione da Savoldo, esce dal dipinto e la mano incompiuta ci porta a seguire la fuga dell’apostolo che esce dalla dimensione spaziale della scena per fuggire. Il manto rosso è una citazione dalla classicità romana; molti sono gli esempi nell’arte classica di questi mantelli pieni di vento che accompagnano delle figure significative; stupendo quello che circonda una figura femminile negli encausti della Villa dei Misteri ad Ercolano e l’altro all’Ara Pacis che fa da corona alla Saturnia Tellus.

 Giovanni e grido muto

Qui l’artista raccoglie le tre teste che costruiscono il dramma, è un vero gesto pittorico fatto con il braccio teso senza incertezze, e l’armonia continua con l’unica linea che segnala la sommità del loro capo; abbiamo detto che in questo punto si concentra l’azione, questo spazio è denso di emozioni contrastanti. Dalla testa di Cristo quella di Giovanni sembra scaturire come per magia, il corpo è nascosto, emergono solo le braccia e il volto con lo sguardo sbarrato e la bocca aperta in un grido muto, come quando il dolore o la paura sono così forti che la voce rimane strozzata nella gola.

Gesù rappresenta la sofferenza così intensamente da farci commuovere, i suoi occhi che hanno pianto a lungo sono appena accennati nella pittura, sono rimasti di laghi scuri di dolore.

Giuda sporge le sue labbra per tradire, la sua figura e inquietantemente disarmonica, all’osservazione mostra delle deformità, la testa è troppo grande, il braccio troppo corto la mano porta uno strano segno.

Sappiamo che Caravaggio sceglieva i suoi personaggi dalla strada e volendo rappresentate Giuda, che qui impersonifica il male, sceglie probabilmente una persona deforme con delle cicatrici, forse un nano seguendo un’antico detto romano che dice”guardati da quelli segnati da Dio”.  Questo antico pensiero è inquietante, ma contiene delle verità soprattutto se lo riferiamo a quei tempi duri e impietosi.

Nella parte di destra emerge la testa di Caravaggio.

Autoritratto e traccia di ocra

Il maestro si è autoritratto numerose volte, dall’epoca giovanile dove è il “Bacchino malato”, la “Medusa” ai suoi dipinti più tardi, la “Resurrezione di Lazzaro”,  “Davide e Golia” in cui si raffigura nella testa del gigante nella sua ultima opera, come fosse una preveggenza della morte vicina.

Assenza di occhio

Non è consueto questo fare da parte di un pittore, ma in lui la passione e l’amore per l’Uomo e la Verità, si esprimono attraverso la sua vita e il suo sguardo, ci vuole dire che la vita esiste se è osservata, lo sguardo dell’Uomo è il catalizzatore della realtà. In questo dipinto la sua figura più alta delle altre sembra in punta di piedi, sostiene una lanterna fioca alta sulla scena, non illumina realmente ma è il segno della conoscenza e della sua presenza consapevole, lui osserva con la bocca semiaperta, in attesa che il destino si compia per poterlo raccontare.

Di mezzo la figura armata vive una aggressione calma impersonale tanto che questo Genio non ha dipinto gli occhi del manigoldo, il suo sguardo si può immaginare ma in realtà non esiste perché la violenza è cieca.

Carla MARIANI  Roma 10 Dicembre 2023