Dire l’indicibile, poesie che raccontano la morte. Profondità e leggerezza si mischiano insieme. Nel libro “Un buon uso della vita”di Gabriella  Musetti.

di Licia UGO RACOVAZ

Ci siamo mai chiesti perché si parla e si scrive così poco della morte? Cosa è successo in questo recente periodo storico, sì da pensare che la morte sia rimandabile, rinviabile, addirittura evitabile? E perché invece vengono scrutate con occhio indagatore, ora morboso, ora compiaciuto, uccisioni e ammazzamenti? Telegiornali e cronache descrivono la ferocia, l’arma del delitto, il sangue. Con sguardo crudele. Spesso indifferente. Non è  forse questo il destino che accomuna tutti noi esseri viventi, ci viene da chiedersi? La morte ci appartiene, a suo modo è anche un dono, e chi soffre sa che può sottrarsi ad una vita che non sopporta più. Abituati a vivere esternalizzati, totalmente, immersi nel fluire delle esperienze e degli oggetti,  si dimentica la morte, si ha paura della morte…

Gabriella Musetti, poeta

Ci ha pensato Gabriella Musetti, poeta, a scrivere un libro che mancava, “Un buon uso della vita” per Samuele editore, uscito lo scorso giugno nella collana Scilla. Un libro straordinario e singolare al tempo stesso. Freddo come il ghiaccio eppure brucia come solo il ghiaccio sa fare, commovente e ironico allo stesso tempo. Ma aggiungerei, un libro coraggioso, come lo sono soltanto i libri di poesia. In queste brevi essenziali poesie, Gabriella Musetti ci parla della morte al femminile. Una morte che ghermisce all’improvviso, e non si è mai pronte, come si potrebbe d’altronde esserlo?

E ci racconta di una morte cercata, quella delle poetesse  che si sono  tolte la vita.  Un omaggio a Virginia Woolf, Marina Cvetaeva, Ingeborg Bachmann, Amelia Rosselli, Antonia Pozzi, e molte altre poete.

E cerca di indagare sul perché donne famose, apparentemente “risolte” abbiamo scelto di darsi la morte per sfuggire ad un dolore esistenziale implacabile. Lo fa in maniera poetica e filosofica, al tempo stesso.

le storie sono all’inizio  / tutte uguali / nasci da un ventre aperto / dal buio vedi la luce  / ma subito la storia cambia / secondo il luogo lo status / il modo e l’accoglienza / non c’è una regola prescritta / uguale a tutti / ognuno trova a caso la sua stanza / chi bene – felice lui o lei – chi / con dolore

Domanda: Gabriella Musetti, in questa prima poesia si pone subito il discrimine (sociale, filosofico) su uno degli aspetti importanti, “secondo il luogo lo status/ il modo e l’accoglienza/ non c’è una regola prescritta/ uguale a tutti …” Qui si parla di donne e di simbolico storico dominante in comportamenti imposti come naturali. Si descrivono donne che trovano nella forma della scrittura  l’unico modo di sottrarsi all’invisibilità e alle scelte storiche che determinano la vita stessa delle donne. Ma si dice anche che non è sufficiente neppure a quelle donne che sono state note e famose, e amate e riconosciute, neppure la scrittura come cura di sé è salvifica.

Trieste tramonto, ph. G. Musetti

R: Non credo che la scrittura possa dare soluzioni definitive a questioni esistenziali profonde e laceranti, nel senso individuale di una “salvezza” che aggancia la persona a una stabilità concreta, un sentimento di sé compiuto e continuativo,  se non in rari casi. Può mettere in evidenza delle domande, circostanziarle nei loro termini e sviluppi, mettere sotto una precisa osservazione dei gesti, dei sentimenti, delle relazioni, degli stati d’animo oscuri e tentarne la decifrazione, tramutare in parole sensazioni vaghe e impercettibili di angoscia, di smarrimento, o di felicità, che sono radicali stati di coscienza spesso incomprensibili. Forse più per chi legge che per chi scrive la letteratura è fonte di benessere e pacificazione interiore, come dopo una catarsi. Per chi legge può essere un luogo di confronto, di conforto, di dialogo tra le parole sulla carta e quelle nella mente, aprire spazi che attraversano le proprie esperienze personali e suggerire modi di relazionarsi con il mondo. Da qui probabilmente la grande passione di molte persone per la lettura, confermata dai dati.

Domanda : le sue poesie mettono in luce un aspetto della vita di donne comuni, semplici, quelle che si incontrano per strada, sorridenti o serie, l’aspetto della loro invisibilità. Perché questa condizione come un mantello tragico delle fiabe avvolge ancora gran parte del genere femminile?

R: Questo lavoro poetico traccia una serie di figure di donne anonime che giungono alla morte lasciando dietro di sé qualcosa di incompiuto, come capita spesso a chiunque nella vita quotidiana. Qualcosa che sarebbe  potuto accadere, ma non è accaduto. Sono le “irrisolte”, o invisibili, nel senso che hanno provato, in vita, quel senso di mancanza, incompiutezza, che caratterizza l’esperienza di molte donne, come essere perennemente fuori posto, fuori centratura. La figura della donna invisibile evidenzia questa condizione: è colei che cerca continuamente un appagamento che non trova, forse non ha determinazione nel tramutare i desideri in progetti, forse si arrende alle difficoltà o è incapace  di cogliere le opportunità. A volte cova un grumo di malessere nascosto che acuisce il suo senso di impotenza, un rancore sottile nei confronti del mondo, delle altre persone, che aumenta la percezione della propria infelicità. A volte si mostra entusiasta, pronta a una nuova avventura carica di possibilità inesplorate. Aspetta sempre che accada qualcosa.

Nel libro vengono colte dalla morte in  modo improvviso e si chiude la loro vita nel segno dell’assenza come mancante era stato il loro tempo. Altre donne, invece, proprio nella scrittura hanno trovato spazio e autorevolezza, tuttavia, anche in loro qualcosa erode il senso intimo di esistenza, tanto che scelgono, come atto di ribellione o di disperazione, il suicidio e pongono fine alla propria vita volontariamente. Anche in questo caso è una sconfitta che chiude la dinamica esistenziale. Mi sono interrogata sul sentimento di fondo che lega le donne, in generale, alla vita, su questa percezione soggettiva di inadeguatezza che le pervade, sull’origine di questa particolare coscienza di sé data per scontata nel senso comune: come fosse una semplice questione di natura, di complessione biologica, ben introiettata anche dalle donne. Sono concetti duri da scardinare e hanno determinato nel tempo storico la divisione dei ruoli e l’inattendibilità delle donne come soggetti autonomi, che ne sentono il peso.

Domanda: Gabriella Musetti, è molto bello il suo modo di immaginare mille mondi diversi, mondi possibili, vite possibili di donne sconosciute. Nel suo libro tuttavia l’accento cade sulla condizione umana, quella condizione che unisce tutti noi in un destino ineluttabile e  comune, la morte che nei suoi testi accomuna donne famose e donne oscure. Un libro che ricorda l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, se così si può dire, tutte osservate mentre attraversano il nulla, vanno verso quell’altrove, il luogo dove nessuno approda preparato, perché non ci si può preparare al nulla, al vortice vuoto che pensiamo la morte sia. E’ casuale, ridicola, tragica, ma sempre il suo bagliore offusca e spegne le nostre lanterne. Come sono nate queste brevi liriche?

R: La morte è il grande rimosso della cultura occidentale, specie nei tempi recenti in cui l’attenzione ossessivamente estetizzante per i corpi e l’infinita giovinezza da mantenere a qualunque età pervadono la nostra società fondata in modo indiscriminato sui beni di consumo, con tutto ciò che questo comporta nei termini di frustrazioni, sfruttamenti e violenze individuali e sociali.  Eppure proprio la pandemia, ad esempio, ci ha messo in un contatto stretto e ineludibile con la morte, con immagini che non dimenticheremo presto. E’ vero, oggi non c’è un pensiero profondo sulla morte, non c’è preparazione, si preferisce evitare la questione circoscrivendola a un domani impensabile, escluso totalmente dall’esperienza soggettiva del presente. L’Antologia di Spoon River è stata indubbiamente un richiamo letterario potente nella composizione del libro, ma a me interessava soprattutto indagare il non detto, il non dicibile delle donne, colte nell’atto estremo del passaggio, più che osservare una varia umanità composita, formata da storie minime individuali, che osservano la propria vita da un tempo già oltrepassato.

era morta con la luna storta / era morta sopra un cuscino estraneo / di un vicino fuori della sua casa / come faceva a spiegare / a chi gliel’avesse chiesto / che era uscita in giardino / solo a fumare una sigaretta / scavalcata la finestra s’era trovata / nella casa buia decisa / a seguire il suo destino?

Cartolina d’artista di Donatella Franchi

Il libro, Un Buon Uso della vita, Samuele editore Collana Scilla  (pag. 88 – 12 euro) piccolo ed elegante, è impreziosito dall’inserimento di una cartolina d’artista realizzata dall’artista  Donatella Franchi, installazione esposta in occasione della Biennale Donna di Trieste, 2019, al MAT /tam 43 di Mantova 2019 e al circolo culturale merlettaia di Foggia nel 2017.

Domanda:  Donatella Franchi che cosa è per lei la “pratica artistica”?

R: La pratica artistica è per me una modalità di ascolto e di attenzione all’altro, un fare spazio, un invito a partecipare, che mette in circolo energie creative e pensiero. Il lavoro quotidiano di cura dei rapporti, degli spazi, del mondo in cui viviamo, e il fare artistico, hanno bisogno di energia creativa, per nutrirsi a vicenda. C’è un andirivieni continuo tra la creatività che ci aiuta a vivere e quella che diventa lavoro artistico, a volte la soglia è quasi impercettibile.

Domanda: Un altro aspetto molto importante nel libro di Gabriella Musetti  è quello del tempo. Il tempo qui è condensato, non c’è passato, non c’è futuro. Non c’è lentezza, non c’è lo scorrere, il tracimare, no, c’è solo l’attimo fatale che restringe la vita e apre la soglia, spinge oltre nel vuoto fisico luminoso, forse buio, non è dato sapere. Cito Fernando Pessoa, che dice

“c’è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo e dimenticare il solito cammino, è l’ora del passaggio. E se noi non osiamo farlo resteremo sempre lontani da noi stessi”.

E’ così Gabriella Musetti, bisogna osare, e quanto coraggio richiede guardare nel vuoto, nel cerchio che si restringe? Farlo ci porta a conoscerci meglio?

Saffo

le donne che non si buttano giù / nel Ponto a capofitto / archetipo di tutte morti a venire / dimesse tornano al focolare / a intrecciar ghirlande e fiori / sorridenti di un sorriso /sconfitto

R: Credo che la morte sia un polo che va osservato, con calma, con attenzione, non solo perché ci riguarda tutti di necessità, ma anche perché il suo pensiero può divenire luogo di riflessioni, di cambiamenti di sguardi, di autoconsapevolezza, non sto pensando a bilanci di vita, ma a modalità minime e diverse di percepire la realtà, le cose intorno a noi, i rapporti con le persone, noi stessi. E’ certamente un tema difficile, tuttavia ci sono buoni libri in molte culture che possono offrire suggerimenti.

Domanda: Gabriella Musetti, c’è un altro aspetto importante, da sempre oggetto della sua poetica, ed è il tema del femminile, delle donne.  Una riflessione profonda e filosofica permea le brevi narrazioni e le donne che lei descrive, e che le sono care. Questa leggera ironia da quanta empatia è composta?

R: Questo è un tema centrale del libro, una domanda che lo ha fatto nascere. Anche se parla di continuo di morte, credo sia fondamentalmente un libro sulla vita e sul cambiamento, per me auspicabile, dei rapporti, delle condizioni soggettive e collettive nella esistenza delle donne. Un cambiamento radicale, finalmente emerso come esigenza ineludibile, nella coscienza e nella consapevolezza di sé oltre che nei rapporti sociali e politici, che da qualche tempo sale in superficie grazie agli studi e alla circolazione del pensiero femminista. Non è un percorso compiuto e accettato universalmente, neppure nelle aperte società occidentali, ma di certo è un punto di non ritorno.

Ho voluto dire in poesia qualcosa che è stato detto in molta saggistica e narrativa dalle filosofe e dalle scrittrici. C’è sicuramente empatia nella scrittura e ironia, che è un filtro attraverso cui si osservano le cose. È una sorta di biografia collettiva anonima delle donne, specie di quelle senza un nome memorabile, che non hanno saputo o potuto rigettare o opporsi allo stato di minorità in cui da secoli sono e siamo generalmente tenute, e verso queste l’empatia è grande, perché tutte in qualche modo ne condividiamo la sorte. Ma c’è anche il desiderio di riconoscere il debito che tutte noi abbiamo nei confronti delle pensatrici e delle autrici che hanno aperto la strada all’indagine su questi temi. Un debito che proprio nella parte delle Note (non note esplicative dei testi, ma ragionamenti e indicazioni bibliografiche) cerco di assolvere.

Domanda: come scrive Chiara Zamboni – filosofa del linguaggio all’Università di Verona- nella sua bella prefazione questi testi poetici possono essere “fessure, tagli sottili che offrono altre visuali, che permettono di cogliere una mancanza , un inciampo, fuori dai binari”. Immagini fuori sesto dunque, come dice il titolo della raccolta, è solo attraverso l’incrinatura, il balbettio, il lapsus che si intravede un frammento di verità?

R: Cercare una verità dentro l’oscuro della nostra lontana origine animale e umana mette in gioco moltissimi e complessi aspetti antropologici e archetipici su cui la ricerca sta ancora indagando e chissà se si raggiungeranno conoscenze stabili. Quello che noi, nella nostra visuale quotidiana, possiamo cogliere è l’incrinatura di un sistema che sembrava compatto e definito, solido come un concetto positivista. Sono i tagli o le fessure che via via si ramificano a offrire minimi luoghi che aprono nuove domande, sguardi obliqui da tentare.

Retro cartolina d’artista

Che la realtà sia altra da come l’abbiamo sempre pensata ce lo sta raccontando la fisica contemporanea, e siamo sbalorditi da quanto apprendiamo. La poesia mette a fuoco i temi con il suo linguaggio, apre alla irregolarità che non trova composizioni, fa del morire un atto imponderabile nella sua unicità, attraversare le perdite può divenire un gesto trasformativo, scavare dentro l’opacità che ci include può dare voce leggera a quanto rimane di inespresso, sul fondo.

della lingua incarnata / scarti di vita minimi / come sbrecciatura originaria / quando trasalisci ad una minuzia / mai notata / un lampo acceso al buio d’improvviso / appare un  punto – individua un movimento

Domanda: Donatella Franchi, come nasce l’installazione Donne con le ali (2011-2018) da cui poi deriva la cartolina d’artista inserita nella bandella?

R: Nella mia esperienza la pratica artistica ha avuto un ruolo fondamentale in un periodo difficile della mia vita. Mi ha  aiutata a stare in relazione con mia madre nell’ultima fase della sua vecchiaia. Trasformato in un’occasione di riflessione su me stessa e sulla vita, di ricostruzione del rapporto con lei, con mia sorella e mio fratello e le donne che la assistevano. Ho appreso in questo modo una pratica di condivisione dalla vecchiaia di mia madre, che ha coinvolto anche le donne che l’hanno assistita, stimolandone la capacità creativa, e con le quali da tempo ho realizzato un progetto, Donne con le ali, sui vari alfabeti e produzione poetica delle donne straniere che svolgono un lavoro di cura in Italia.

Fare interagire e tenere in tensione l’energia della creazione con l’energia dei rapporti, è la ricchezza e l’originalità, è la novità fertile che le pratiche artistiche delle donne hanno messo in circolo, dagli anni Settanta del ‘900 in poi, con quell’esperienza creativa a tutto campo, che è il femminismo e che ha modificato lo stesso concetto di arte, di artista, del rapporto con il fare artistico. Lo scopo del fare arte, nelle pratiche artistiche che trovo più significative, e di cui mi sento parte, non è l’identificazione in un prodotto, ma è il processo del ricercare, dove il lavoro artistico è un divenire che sostituisce l’opera chiusa e definita, che innesca dei processi vitali. Per questo preferisco il termine “pratica artistica” a quello di “arte”.

Gabriella Musetti
Donatella Franchi

 

 

 

Licia UGO RACOVAZ   R oma 21 novembre 2021

Nota bio di Gabriella Musetti

Gabriella Musetti è nata a Genova, ha vissuto in molte città italiane ed estere, ora vive a Trieste. Organizza “Residenze Estive”, Incontri internazionali di poesia e scrittura a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia. È socia della Società Italiana delle Letterate. Ha fondato, insieme ad altre, la casa editrice Vita Activa Nuova. Collabora a riviste letterarie ed è presente in diverse antologie critiche. Ha scritto libri per la scuola e curato pubblicazioni saggistiche tra cui: Sconfinamenti. Confini passaggi soglie nella scrittura delle donne (2008), Guida sentimentale di Trieste (2014), Dice Alice (2015), Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento (2016), 15 racconti +5. Scritti a Trieste e luoghi del nord est (2020). In poesia ha pubblicato: Mie care, (Campanotto, 2002), Obliquo resta il tempo (Lietocolle, 2005), A chi di dovere (La Fenice, 2007), Beli Andjeo (Il Ramo d’Oro, 2009), Le sorelle (La vita felice, 2013), La manutenzione dei sentimenti (Samuele Editore, 2015). Sui testi sono tradotti in diverse lingue. Ha vinto il primo Premio Nazionale Senigallia (2007); il terzo Premio Malattia della Vallata di Barcis (2014), il secondo Premio Subiaco città del libro (2015), Il Premio speciale San Vito al Tagliamento (2017).

Nota Bio di Donatella Franchi

Donatella Franchi crea libri d’artista e installazioni, che ha esposto in Italia e all’estero (Istituto Italiano di Cultura di Washington, 2001, Convento di San Agustin, Barcellona, 2004). Ha partecipato a diverse rassegne di libri d’artista in Italia e  al Washington Museum of Women in the Arts, 2006-7, 2011-12, 2014-15, personale alla Rassegna Internazionale dei libri d’artista, Udine, 2016. Alcune sue opere fanno parte  della collezione dello stesso museo.

Parallelamente al lavoro visivo svolge un’attività di ricerca sui cambiamenti che il femminismo ha portato nel mondo dell’arte contemporanea e nel pensiero sull’arte. Ha curato Matrice, pensiero delle donne e pratiche artistiche, Quaderni di via Dogana, Milano 2004. Sugli stessi argomenti ha scritto saggi, organizzato incontri (La novità fertile, per Bologna 2000) e partecipato a seminari all’Università di Verona e di Barcellona.

È docente di pratiche artistiche nel Master online di studi sulla differenza sessuale del Centro di Ricerca Duoda dell’Università di Barcellona, con il quale collabora dal 2009.

I temi su cui lavora sono le relazioni d’amicizia e di cura: Cartografia dei sentimenti, sul mondo delle Preziose, Progetto Clotilde, dedicato al rapporto con la propria madre, Donne con le ali, dedicato alle donne straniere che fanno lavoro di cura. Il suo ultimo progetto è un lavoro di arte relazionale: Riparare le relazioni. Tessere relazioni è arte. (Spinea, Venezia, 2018, Trento 2019), installazione collettiva in collaborazione con Adriana Sbrogiò e Franca Bertagnolli. Attualmente sta lavorando ad un nuovo progetto di riparazione, che riguarda la famiglia della madre: Segreti familiari. I suoi primi libri d’artista si ispirano al mondo degli scritti giovanili delle sorelle Brontë. Vive e lavora a Bologna.

donatella.franchi@fastwebnet.it