Alla Accademia di San Luca “Il Male in bocca. La lunga storia di una iconografia dimenticata”. Presentazione del libro di M. Bussagli

di Marco BUSSAGLI

Pubblichiamo con grande piacere su gentile concessione dell’autore Marco Bussagli e dell’editore Medusa Milano, la Introduzione al volume Il Male in bocca. La lunga storia di una iconografia dimenticata, uno studi0 che riprende e amplia un argomento del quale l’autore ha per primo messo in risalto significati e caratteristiche in grado di riscrivere parti determinanti dell’opera di Michelangelo Buonarroti. Il volume verrà presentato Lunedì 18 alla Accademia Naz.le di San Luca da M. Grazia Bernardini e Marcello Fagiolo, introdotti da Claudio Strinati

Quando nell’ormai lontano 2014 diedi alle stampe, per gli stessi tipi di questa blasonata Casa Editrice, I denti di Michelangelo. Un caso iconografico, non avrei mai potuto immaginare che ci sarebbe stato un ulteriore seguito a quella ricerca, anche se alcune avvisaglie già c’erano (1). L’argomento del libro era dirompente perché nessuno si era mai accorto che il genio di Caprese aveva utilizzato nelle sue opere – sia scultoree, sia pittoriche –, un’anomalia dentaria, realmente esistente, che va sotto la denominazione scientifica di mesiodens e che consiste nella presenza di un incisivo centrale in mezzo ai quattro già previsti nell’arcata ortodontica. La definizione corrente per questa irregolarità corrisponde, infatti, alla locuzione popolare di “quinto incisivo” e può comparire sia nell’arcata mascellare sia in quella mandibolare, oppure in entrambi. La cultura medica del XV e XVI secolo – come ho avuto modo di dimostrare nel mio primo contributo – era perfettamente a conoscenza di tale deformazione (ad iniziare da Realdo Colombo, amico e sodale di Michelangelo) cui attribuì un valore negativo, proprio come fece il grande artista, il quale, con assoluta coerenza, ne fece un attributo iconografico per tutti i demoni e i peccatori che avevano una posa utile a mostrarlo, sulla grande parete della Cappella Sistina occupata dal Giudizio Universale (2). Fu infatti sui ponteggi costruiti per il restauro di quel capolavoro che in un freddo giorno d’inverno, il 9 gennaio 1993, Maurizio Rossi (braccio destro del grande Gianluigi Colalucci – di cui tutti piangiamo la scomparsa –, restauratore capo del Vaticano, che si stava misurando con i titani dell’affresco), mi fece notare quell’anomalo particolare odontoiatrico che bene campeggiava nella bocca dei diavolacci e dei dannati.

Alla conclusione dei lavori, dopo la presentazione al mondo di quello che, insieme alla volta della Sistina, era da tutti – a ragione – ritenuto il restauro del secolo, ero certo di veder pubblicata questa straordinaria e inaspettata scoperta nei vari resoconti relativi all’intervento, se non – addirittura – in un precipuo contributo dedicato. Invece, dopo aver potuto consultare praticamente tutto quel che era uscito sull’argomento, dovetti prendere atto che i restauratori avevano deciso di non dar conto della loro scoperta.

Cominciai, allora, a studiare da solo il problema e mi resi conto che l’impiego di questa particolare iconografia non era affatto limitato al solo Giudizio Universale sistino, anche se fu in relazione a quest’opera che feci la prima menzione del quinto incisivo. In realtà, non sapevo ancora che si trattasse di una vera patologia dentaria. Era il 2004 e riportai dell’incontro con il maestro Maurizio Rossi sulle pagine del mio libro dedicato alla macroscopica anamorfosi con il volto di Dio nascosto, a mio avviso (ma mi pare difficile derubricare tutta la composizione come ‘casuale’), nell’affresco di Michelangelo. Si trattava di un cenno embrionale. Infatti, all’epoca, neppure io avevo idea dell’estensione di questo tema all’interno della produzione michelangiolesca e, men che mai, al di fuori di essa. In quello stesso anno, però, pubblicai pure un breve articolo sulla rivista Art e Dossier che dimostrava come il Buonarroti avesse già utilizzato l’anomalia dentaria per certe figure della volta della Cappella Sistina, dalla splendida Sibilla Delfica al Giona (3). Il fatto era a dir poco singolare perché si trattava di due parti dell’affresco che non potevano non esser state notate da tutti, tanto dagli studiosi quanto dai restauratori, giacché quelle figure erano a ragione considerate due capolavori nel capolavoro. Così né gli operatori del restauro, né i fotografi (a quel tempo c’era stato il noto accordo con la giapponese Nippon Television Network Corporation che filmò e fotografò tutto il lavoro di ripristino, sostenendolo finanziariamente, in cambio dei diritti esclusivi di pubblicazione per venti anni) potettero eluderle dalle loro riprese e dai loro interventi. Il che vuol dire che, sebbene avessero dedicato una spasmodica attenzione a quei personaggi, tacendolo, dimostravano di non aver notato il particolare dentistico, oppure (ma l’ipotesi è remota perché nessuno mi ha detto mai «ah, sì certo… lo avevo notato anch’io!») avevano deciso di non parlarne, forse perché non erano in grado di spiegarlo, visto che né l’una né l’altra figura erano peccatori (4). In ogni caso, non avevano affrontato né approfondito le ricerche; cosa che, al contrario, fece chi scrive con entusiasmo, anche per via degli stimoli esterni che giungevano più o meno casualmente. Con la curatela – condivisa con l’amica Maria Grazia Bernardini – della grande mostra dedicata nel 2011 al Rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello ebbi l’occasione più unica che rara di esaminare a pochi centimetri di distanza, la monumentale tavola con la copia del Giudizio Universale sistino realizzata da Marcello Venusti e conservata oggi a Napoli, al Museo di Capodimonte. Siccome ero in grado di ricordarmi a memoria ognuno dei “quinti incisivi” dipinti da Michelangelo sulla parete vaticana, non fu difficile constatare che l’artista cortonese, sebbene fosse uno degli allievi prediletti del Buonarroti, li aveva corretti uno per uno riducendo ad ortodontiche quelle che erano arcate dentarie anomale, oppure eludendo il problema, ‘affogando’ i denti nell’ombra (5).

Un’altra occasione mi venne dalla bella mostra allestita ai Musei Capitolini, dedicata ai disegni e agli schizzi realizzati da Michelangelo e Leonardo da Vinci nel corso degli anni romani (6). Era il 2012 e, per la prima volta, ebbi la possibilità di osservare con calma non solo la bella Cleopatra del foglio conservato a Casa Buonarroti, ma soprattutto, quella che la critica denominava Ugly («brutta») Cleopatra disegnata sul retro di quello stesso foglio dal grande artista; ma da alcuni studiosi considerata apocrifa per il suo aspetto irrisolto o, tutto al più, di bottega. Scrutando il foglio a pochi centimetri dal naso, ma con le mani rigorosamente dietro la schiena, scovai un inequivocabile “quinto incisivo” che, in un colpo solo, restituiva l’autografia alla grafica negletta e ne spiegava il significato simbolico negativo, attribuendolo alla regina egizia sulla base dei versi danteschi che Michelangelo di certo conosceva. Fu così che scrissi l’ennesimo articolo per Art e Dossier ed ebbi anche il coraggio e la faccia tosta d’inviarne copia pdf allo studioso americano William Wallace, docente alla Washington University. Infatti – proprio in quei giorni –, Wallace aveva ipotizzato che Tommaso Cavalieri, amico e ammiratore del grande Buonarroti, fosse l’autore della “brutta Cleopatra” e che Michelangelo, girato il foglio, gli avesse fatto vedere “come si fa”. Secondo uno stile tipicamente anglosassone, lo studioso mi rispose e, addirittura, mi dette ragione (7). Fu questa, per così dire, la ‘goccia che fece traboccare il vaso’, spingendomi a scrivere il libro su I denti di Michelangelo (cui, come ovvio, rimando) dove pubblicai il materiale che avevo raccolto nel corso degli anni, approfondendo la ricerca.

Tuttavia, si può dire che non feci in tempo a leggere le prime recensioni al libro che mi resi subito conto che il tema trattato non si era affatto esaurito. A farmi sospettare che le cose fossero più complicate di quanto si poteva pensare fu, prima di tutto, l’osservazione del tutto inaspettata di Maurizio Cecchetti, amico e blasonato giornalista di Avvenire (nonché editore ed autore d’importanti saggi) che, commentando sulle pagine del suo giornale una mostra monografica dedicata a Bramantino, notò che il Cristo tormentato del pittore milanese, conservato nella collezione Thyssen di Madrid, aveva – al centro della bocca socchiusa –, un insospettabile, imprevisto e certo sorprendente mesiodens. L’argomento sarà approfondito e sviluppato più avanti in un apposito capitolo dedicato, ma qui non posso tacere il fatto che la segnalazione m’indusse a cercare altrove; sicché nell’articolo pubblicato ancora su Art e Dossier, già nel 2015, ebbi modo di aggiungere il nome di Grünewald a cui, come si vedrà, se ne uniranno altri (8). Così, se da una parte lo studio si dipanava lungo il filone iconografico della presenza del mesiodens nella bocca del Cristo sofferente o morto, dall’altra si sviluppava nella ricerca di esempi precedenti e successivi a Michelangelo. Pure in questo senso, i risultati furono sorprendenti perché, al di là degli esempi medievali già citati nel libro, ossia il grande mosaico di San Marco a Venezia con la Discesa di Cristo al Limbo, o gli affreschi di Andrea di Bonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli a Firenze, mi accorsi che il cosiddetto Marsia rosso degli Uffizi aveva questa stessa anomalia dentaria.

Nel 2016 detti conto di questa scoperta (perché di questo si tratta), in un ennesimo articolo, pubblicato su Art e Dossier, dove si sottolineava come anche quest’opera, che apparteneva alla collezione di Lorenzo de’ Medici, avrebbe potuto facilmente suggestionare le scelte di Michelangelo (9). Pure in relazione a questo caso, l’argomento sarà approfondito e trattato più avanti, in un apposito capitolo, giacché il Marsia fiorentino apriva un’altra questione, ossia lo sviluppo e la diffusione del tema del quinto incisivo nel mondo antico (10). Proseguendo con le varie ricerche, infatti, mi resi conto che l’arco temporale nell’ambito del quale si propagò questa iconografia, sia pure con alcune declinazioni simboliche diverse, talora in apparente contraddizione (come, del resto, accade a tutte le costellazioni di simboli importanti), andava dalla Magna Grecia al XX secolo.

È allora proprio questo l’argomento del libro che adesso state leggendo e sfogliando fra le mani. Quel che è emerso da questa nuova ricerca, spiega come il caso di Michelangelo s’inserisca entro una tradizione secolare che si è lasciata affascinare da un’anomalia anatomica, apparsa raccapricciante in un primo tempo – tanto da poterla definire come l’immagine de “il male in bocca” – ma che subito dopo fu considerata ammaliatrice e tale da catalizzare l’attenzione di artisti, medici e teologi. Questi ultimi, però, a differenza dei medici che ne fanno cenno in certi trattati, non hanno lasciato testi di riferimento su questo tema, ma hanno avallato la presenza del “quinto incisivo” in vari contest simbolici coerenti, tacitamente; sebbene, come si è già precisato, alcuni risultassero in apparenza contraddittori fra loro.

Intorno a quest’anomalia anatomica si sono accumulati, perciò, significati che hanno a che vedere con il senso della vita e con il problema del destino degli uomini, secondo un’inedita prospettiva che fino all’esito di questo studio era stata del tutto dimenticata. Pertanto, i molteplici casi presenti nelle opere del Buonarroti si configurano come l’esempio macroscopico e più celebre di tutta la Storia dell’arte relativo a questo intricato filone simbolico; ma tuttavia solo una parte dell’insieme.

Ciò detto sarebbe auspicabile e significativo, a mio avviso, che la locuzione di “dente di Michelangelo fosse adottata dagli storici dell’arte per designare l’iconografia in questione anche in epoche diverse da quella michelangiolesca e in altri contesti. Inoltre, se mi si permette una digressione, sarebbe bello che questa mia proposta si estendesse al campo medico e, nello specifico, agli operatori sanitari che si occupano della salute dentaria così da affiancare al termine mesiodens, ossia alla denominazione scientifica, anche la perifrasi di “dente di Michelangelo” che non solo nobiliterebbe quell’irregolarità, ma ne restituirebbe la prospettiva storica, simbolica e teologica.

Marco BUSSAGLI  Roma  Marzo 2024

Note all’Introduzione.

  1. M. Bussagli, I denti di Michelangelo. Un caso iconografico, Medusa, Milano 2014. Di questa necessità di riprendere l’argomento, fui consapevole già da subito, come mostra l’incipit del mio articolo del 2015, dedicato appunto alle novità dovute alle osservazioni di Maurizio Cecchetti. Infatti, scrivevo: «La ricerca scientifica è così: dopo anni di studio, si scrive un libro, si chiude l’ultima pagina, si pubblica, magari si regala ai colleghi e si presenta anche ai giornalisti e poi, dopo cinque minuti, ci si accorge che quella ricerca non è conclusa e che sono emersi ulteriori aspetti venuti fuori grazie alle osservazioni di altri che hanno letto quello che hai scritto. Lasciatemi dire che è entusiasmante.». Idem, La bocca della Verità. I denti di Michelangelo, in Art e Dossier, 319, aprile 2015, pp. 58-61.
  2. Alcune considerazioni sul valore di questo studio stanno in: R. De Benedetti, In forma di libro, in AA. VV., Edizioni Medusa 2020. Vent’anni con i libri. Un laboratorio editoriale, MC Edizioni 2020, pp. 154-155.
  3. M. Bussagli, Novità sul Giudizio Universale di Michelangelo. Il dente del peccato, in Art e Dossier, 202, luglio-agosto 2004, pp. 6-11. Si veda pure: Idem, Michelangelo. Il volto nascosto nel “Giudizio”, Medusa, Milano 2004, pp. 76-78.
  4. La spiegazione di questa scelta da parte del Buonarroti risiede nella volontà di segnare come imperfetti coloro che erano nati prima della rivelazione di Cristo. Si veda: M. Bussagli, I denti, cit., pp. 66-76.
  5. Sulla copia di Marcello Venusti: F. Parrilla, Scheda 117, in M.G. Bernardini, M. Bussagli (a cura di), Il Rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello, Roma, Palazzo Sciarra, Fondazione Roma Museo, 25 ottobre 2011 – 12 febbraio 2012, Electa, Milano 2011, p. 306.
  6. La mostra era: Leonardo e Michelangelo. Capolavori della grafica e studi romani, Roma, Musei capitolini, 27 ottobre 2011 – 12 febbraio 2012, a cura di P. C. Marani e P. Ragionieri, Cinisello Balsamo 2011, pp. 154-155.
  7. La lettera di Wallace è pubblicata in: M. Bussagli, I denti di Michelangelo, cit., p. 55.   
  8. Si veda più avanti, pp. 221-261. Per il mio articolo: M. Bussagli, La bocca della Verità, op. cit., pp. 58-61. Per l’articolo di Maurizio Cecchetti: M. Cecchetti, Bramantino, il genio umbratile della Lombardia, in “Avvenire”, 24 ottobre 2014, p. 21. Vi si può leggere: «Come talvolta accade quando qualcuno ti mette una pulce nell’orecchio, i pensieri, governati dall’occhio, cercano riscontri a una nuova ipotesi. La novità non riguarda, immediatamente, Bramantino, ma un suo illustre contemporaneo: Michelangelo. È una scoperta dello storico dell’arte Marco Bussagli, che la documenta in un libro di cui anche questo giornale ha parlato (il 12 ottobre scorso), dove si mette in luce in alcune figure del genio toscano (diverse nel Giudizio Universale), una strana anomalia: il “mesiodens”, ovvero un incisivo supplementare che si aggiunge ai quattro superiori diventando quello mediano. L’“hyperdontia” era ben conosciuta all’epoca di Michelangelo, nella quale anche Bramantino vive e opera. Guardando bene si vedrà che il Cristo dolente di Madrid ha il “mesiodens”. Per i dettagli simbolici rimando al libro di Bussagli (I denti di Michelangelo. Un caso iconografico), ma è importante notare, per dare ragione del discorso su Bramantino, che il “mesiodens” è presente anche nel Cristo della Pietà di San Pietro». Si veda pure, più avanti, p. 226 e n. 4, a p. 352.
  9. M. Bussagli, Marsia e Michelangelo. Un modello per il mesiodens, in Art e Dossier, n. 329, febbraio, Firenze 2016, pp. 66-69.
  10.  Si veda più avanti, pp. 62-87.