La “Leda e il cigno” di Lelio Orsi. Triste storia di un capolavoro esportato illegalmente fermo tra i meandri della burocrazia

di Massimo PIRONDINI

Conobbi Franco Lucentini nell’autunno 1987, quando venne a Reggio per portare alla mostra sul pittore Lelio Orsi[1], che stavamo in quei tempi allestendo, lo straordinario rame (cm 43 x 30), allora di sua proprietà, raffigurante Leda e il cigno.

1 ) Lelio Orsi, Leda e il cigno, già Torino, collezione Franco Lucentini.

Recò l’opera personalmente: non avrebbe infatti consentito di affidare il pezzo più caro della sua collezione ad un trasportatore, se pure referenziato: una assicurazione, mi disse, mai avrebbe potuto ripagarlo di una eventuale perdita.

Ciò anche se la Leda di Orsi risultava un elemento anomalo della sua raccolta, formata soprattutto di quadri fiamminghi scovati in gran parte nella Galleria Carretto di Torino, ancor oggi specializzata in questo genere di dipinti.

2 ) Franco Lucentini.

Lo invitai a pranzo ed in quelle poche piacevoli ore si parlò di tutto: di libri e di arte, del suo felice sodalizio di con Carlo Fruttero, e pure di quel “caso Gheddafi” che aveva fatto tanto scalpore nel 1973, quando i due amici, dopo aver pubblicato sulla Stampa un articolo di feroce satira sul colonnello libico, furono sul punto di creare una vera e propria crisi internazionale[2]; mi parlò pure del rame di Lelio, da lui acquistato per quattro milioni di lire dallo stesso Carretto senza alcuna indicazione d’autore e di provenienza, ma per  il quale a prima vista aveva provato, parole sue, una fortissima, irresistibile attrazione.

3 ) Copertina del romanzo La donna della domenica, edizione 1972.

Solo in seguito, avendone spedito una foto a Giuliano Briganti, conosciuto da Lucentini fin dai tempi del suo soggiorno romano, egli aveva appreso dal grande studioso della Maniera italiana che si trattava di una lucida e singolare prova di Lelio Orsi; e come tale lo stesso Briganti aveva poi segnalato l’opera a Vittoria Romani[3], nei primi anni Ottanta, da pubblicare nel suo importante studio sul “genius loci” di Novellara[4].

Del resto, la predilezione di Franco Lucentini per questo dipinto aveva già avuto testimonianza dal curioso episodio di quando, nel 1975, fu girato, dal regista Luigi Comencini, il film, con M. Mastroianni e J. Bisset, tratto da La donna della domenica, best seller editoriale (1972) del celebre binomio “F&L”.

In quella occasione Lucentini volle che nella scena della galleria dell’antiquario Vollero, il perfido architetto Garrone, poi vittima del delitto, di fronte all’immagine della sua Leda e il cigno, ne dissuadesse malign amente dall’acquisto,già praticamente concluso, due clienti del mercante, adducendo l’eccessiva licenziosità del soggetto.

4 ) Vollero e Garrone con l’immagine della Leda di Orsi; fotogramma dal film La donna della Domenica di L. Comencini (1975).

Con tali premesse e predilezione, sarà ovvio che il dipinto dell’Orsi rimanesse a Torino, nell’abitazione dello scrittore, in piazza Vittorio Veneto, fino al suo tragico suicidio, il 5 agosto 2002.

In seguito, dopo diversi anni, la ricomparsa dell’opera ad un’asta Sotheby’s di New York il 24 gennaio 2008 causò, su tempestiva segnalazione del Comune di Novellara, patria dell’Orsi, l’intervento del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Roma che, accertata l’illecita esportazione dall’Italia, ottenne l’annullamento dell’avvenuta vendita (per la cifra record di 1.497.000 dollari, pari a 1.025.145 euro) e la restituzione allo Stato italiano del dipinto, da allora affidato al Comando Carabinieri per la tutela del Patrimonio Culturale di Roma.

5 ) Denuncia del Comune di Novellara (14.1.2008) per l’illecita esportazione della Leda di Lelio Orsi

Dagli atti del procedimento penale presso il Tribunale di Roma nei confronti dei tre responsabili dell’indebita esportazione, nonché da una verifica ufficiale del Tribunale di New York in merito al fatto in oggetto[5], è possibile ricostruire, per sommi tratti, le vicende della Leda e il cigno dell’Orsi dopo la morte di Lucentini.

Pare risalga infatti al 2003 la vendita del rame, da parte del fratello ed erede dello scrittore Lucentini, ad un antiquario di Milano, e da questi ad un altro che provvide, senza alcuna licenza, ad esportarlo in Gran Bretagna; da qui, nel novembre 2006, con la acquisita verginità di una provenienza inglese, il dipinto fu agevolmente trasferito negli Stati Uniti, a New York, ove, stando alla scheda del catalogo Sotheby’s, venne in proprietà di Victor David Spark (che però, alla data indicata, era già morto da circa tre lustri !) e, successivamente, dell’anonimo collezionista newyorchese che lo avrebbe presentato all’asta.

6 ) Verified Complaint, Southern District of New York, 29.12.2008.

Dopo una sola udienza iniziale, il processo del Tribunale di Roma contro i responsabili dell’illecita esportazione si protrasse per lunghi anni fino all’ovvia prescrizione, che evitò agli imputati ogni conseguenza penale, mentre l’Avvocatura dello Stato, costituitasi da parte sua in giudizio, riuscì, nel corso di un incidente di esecuzione, ad ottenere la confisca dell’opera; questo in data 26 luglio 2018.

Nel frattempo la Leda e il cigno di Lelio Orsi continua ad essere in deposito presso il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma[6].

Assai deludente è però, allo stato attuale degli studi, la conoscenza dell’origine e delle vicende antiche di quest’opera, fra le più significative del maestro di Novellara: essa è, inspiegabilmente, del tutto ignorata dalle fonti e la sua storia, per noi, inizia nei primi anni Settanta del secolo scorso, all’atto dell’acquisto da parte dello scrittore Franco Lucentini.

Massimo PIRONDINI  Reggio Emilia 23 Gennaio 2022

NOTE

[1] E. Monducci – M. Pirondini (a cura di), Lelio Orsi, catalogo della mostra, Reggio Emilia, 1987.
[2] L’articolo, comparso sulla Stampa (allora diretta da Arrigo Levi) il 7 dicembre 1973, si intitolava “Pare che” ed era una irridente canzonatura del dittatore libico, allora nel pieno del suo potere, e della così detta “via islamica al socialismo”. Gheddafi, che allora partecipava anche al capitale Fiat, ne fu molto offeso e chiese a Giovanni Agnelli di licenziare il direttore Levi e di troncare ogni forma di collaborazione con i due autori del corsivo, minacciando il boicottaggio degli autoveicoli Fiat in tutti i Paesi mediorientali.
L’avvocato Agnelli non cedette al ricatto, né rimproverò i due scrittori. Solo anni dopo disse loro che gli erano costati cari (pare circa 20 miliardi di lire).
[3] V. Romani, Lelio Orsi, Modena, 1984, p. 38.
[4] L’opera sarà poi pubblicata da F. Frisoni in Monducci-Pirondini cit. pp. 140-141, ed in seguito citata da  D. Ekserdjian, Lelio Orsi Book Review, in “The Burlington Magazine”. CXXX, n. 1024, July 1988, p. 539, nonchè da F. Cappelletti, in “The Dictionary of Art”, London and New York, 1996, vol. 23, p.574.
[5] Verified Complaint, United States Distrct Court, Southern District of New York, 29 dic. 2008.
[6] Nel 2014, sempre a Roma, al palazzo del Quirinale, fu esposta alla mostra La Memoria ritrovata, tesori recuperati dall’Arma dei Carabinieri, scheda a p. 70 del relativo catalogo.