“Sogno notturno a Roma (1871-2021)”, lo sguardo dolce-amaro di Annarosa Mattei sui destini di una Capitale.

di Consuelo LOLLOBRIGIDA

E’ una dichiarazione d’amore Sogno notturno a Roma (1871-2021) il nuovo libro che Annarosa Mattei ha da poco pubblicato per La Lepre Edizione.

Una dichiarazione d’amore per Roma, per la sua storia millenaria e per quella presente, che a tratti si tinge di malinconia per le perdite e le ferite che inevitabilmente il fluire del tempo porta con sé.

La Mattei porta per mano nel ventre di Roma, tra i rioni Campitelli, Pigna, Trevi e Monti, in quel lembo del centro della città che più ha sofferto ed è stato alterato dagli interventi urbanistici post-unitari e mussoliniani. Una guida di quello che è andato perduto tra il 1871 e il 2021, dove protagonista del racconto non è la Roma monumentale, con le sue rovine antiche e le sue evidenze barocche. Protagonista è la memoria materiale e immateriale della città sparita, descritta da cinque personaggi non tutti umani. Gaia, Gregorio, un gatto, un gabbiano si muovono tra strade, muri vicoli, piazze, palazzi, esistenti o distrutti, evocando la trasformazione di Roma da città papalina a capitale del Regno.

Il libro si legge come un romanzo ma ha la consistenza di un saggio. Quattro approfondimenti storico-urbanistici si alternano ad intermezzi e considerazioni in un continuo avvincente dialogo tra passato e presente e, come in una novella versione letteraria della Roma Antica e Moderna di Panini, incuriosiscono il lettore che segue le vicende con passione e crescente curiosità.

E’ l’arrivo dei piemontesi, il 20 settembre 1870, che decreta la  fine di

«tanta disordinata bellezza», fatta di stradine, di piazze, di palazzi principeschi mescolati alle case popolari, alle botteghe, alle magnifiche ville, agli orti ai giardini».

E il primo quadro non può che essere dedicato all’area che fu maggiormente colpita dagli abbattimenti degli Italiani, come li chiamavano i Romani de Roma, o con un termine più sprezzante e volgare, buzzurri, per distinguerli dai burini dell’Italia centrale e dai cafoni meridionali.

Alla storie note della costruzione del Vittoriano, dell’apertura dell’asse viario Nazionale-IV Novembre-Plebiscito-Corso Vittorio, per citare gli interventi più invasivi e distruttivi di quell’area, Annarosa Mattei aggiunge il racconto di storie più piccole, quotidiane, diremmo, che costituiscono la vera novità del suo lavoro. Riesce, la Mattei, a ricongiungere con affabulazione e leggerezza di stile, la letteratura odeporica, da Charles De Brosses a Henry James e fino alla più recente Giorgina Masson, e i saggi quali “Roma Capitale” di Alberto Caracciolo o “Roma, scoperta e distruzione” di Antonio Cederna. Ci fa entrare dentro Palazzo Torlonia, già in piazza Venezia al civico 35, e ne ricorda la ricchissima collezione di opere d’arte (la cui raccolta d’antichità è in questi mesi in mostra ai Musei Capitolini) e i fastosi ricevimenti, superiori a quelli di Napoleone, come annotava Stendhal.

Sembra allora di sentirlo, il grido di Carlo Dossi, scrittore e archeologo lombardo, presente a Roma in quegli anni con importanti incarichi politici e diplomatici, allorché definì i progetti presentati alla Regia Commissione per la costruzione monumento a Vittorio Emanuele II  “una galleria degli orrori”, un “catalogo documentario”, chiamando “mattoidi” i numerosi dilettanti che parteciparono al concorso internazionale del 1880.

La compagnia di bersaglieri che il 20 settembre 1870 entrò a Roma decise di alloggiare all’interno del Collegio Romano: l’inizio della fine del tempio dell’educazione da quando nel 1582 papa Gregorio XIII commissionò la costruzione del Colegio de miras universales, celebre per la ratio studiorum che stabiliva la distinzione in cassi e la gradualità dell’apprendimento.

Nello scombussolamento urbanistico e architettonico, Roma divenne straordinario terreno di incontro fra scrittori della vecchia e della nuova generazione, come Pascoli e Carducci, Verga e Capuana, D’Annunzio e Pirandello. Edoardo Scarfoglio, primo direttore de “Il Mattino” di Napoli, incontra qui Matilde Serao che nel 1885 diede alle stampe “La conquista di Roma”, un primo critico sguardo su questi anni. Roma diviene capitale letteraria. Nel 1878 si trasferisce da Firenze la redazione de La Nuova Antologia, nel 1879 nasce il Fanfulla della Domenica e riviste come Domenica letteraria e il Capitan Fracassa diventano via via organi di informazione e apprezzati spazi di dibattiti politici e culturali.

Ed è proprio l’eccezionale vitalità intellettuale di questo periodo che alimenta una delle opere più delicate e commoventi nate dal sovvertimento dell’ordine cittadino pre-unitario: la Galleria Sciarra Colonna, sede per un periodo de la Cronaca bizantina, diretta da un giovane D’Annunzio. Ancora oggi, piccolo sconosciuto scrigno d’arte, stritolato tra il traffico di piazza Venezia e il via vai del mondo della finanza che popola i palazzi del Corso, la Galleria fu voluta dal principe Maffeo Barberini-Colonna di Sciarra che la dedicò alla madre Carolina, le cui iniziali appaiono ovunque all’occhio più attento del visitatore curioso. Dipinta ad encausto dal pittore Giuseppe Cellini e disegnata dall’architetto Giulio De Angelis, che aveva utilizzato ferro e ghisa nel segno della più attuale modernità, la galleria è il trionfo delle virtù femminili, simbolo di rigenerazione etica ed estetica, nate dalla penna di un fine letterato quale era Giulio Salvadori.

L’ultimo quadro è dedicato alla via dei Fori Imperiali, alla sua storia non finita. In queste pagine l’amore della Mattei per la sua città, che, definisce boccionianamente, che sale, si colora di un dolore malinconico. L’interminabile cantiere della metropolitana evoca, come in Roma di Fellini, lo scavare perpetuo alla ricerca di un sogno notturno per un nuovo Rinascimento della città.

Consuelo LOLLOBRIGIDA  Roma  23 Gennaio 2022