Regina Viarum. La mostra sulla via Appia nell’Istituto centrale per la grafica.

di Nica FIORI

Il suo tracciato è un vero monumento simbolo della civiltà romana e si presta indubbiamente a un viaggio storico, artistico e sentimentale su un basolato che si è conservato per lunghi tratti tra mausolei, ville e templi in rovina. Parliamo della via Appia e del suo paesaggio culturale, indagato nella mostra “Regina Viarum. La via Appia nella grafica tra Cinquecento e Novecento”, realizzata a Roma nell’Istituto centrale per la grafica – Palazzo della Calcografia, su proposta del Ministero della Cultura, in occasione della candidatura della via all’inserimento nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

L’esposizione, ospitata nelle sale a pianoterra dell’istituto (in via della Stamperia, 6) fino al 7 gennaio 2024, è a cura di Gabriella Bocconi; il suo intento è quello di far conoscere, attraverso circa 70 opere, selezionate tra le oltre 300 dell’ICG sul tema dell’Appia, le numerose testimonianze grafiche (disegni, incisioni, matrici, fotografie, libri e taccuini di viaggio) di artisti e viaggiatori che hanno illustrato i monumenti più significativi di una via che già per gli antichi era la Regina viarum, secondo il felice appellativo che le è stato dato dal poeta Stazio.

L’Appia è la più antica tra le strade consolari romane. Voluta dal censore Appio Claudio il Cieco per collegare Roma con Capua (ora Santa Maria Capua Vetere), segnò con la sua costruzione, nel 312 a.C., la nascita di quell’articolato e organico sistema viario con il quale Roma abbracciò ogni lembo del suo vasto impero, rendendo possibile la straordinaria fusione di culture e di popoli, in origine diversissimi, che costituisce il suo maggior vanto. Quando venne prolungata fino a Brindisi, il maggior porto per i collegamenti con la Grecia, divenne la strada più importante per i commerci e i viaggi, condizione che la avvantaggiò dal punto di vista edilizio.

Per questo sorsero qui, nel tratto più vicino a Roma, ville di straordinaria grandiosità, senza contare i numerosi monumenti sepolcrali, che secondo le leggi romane dovevano sorgere oltre il perimetro abitato. Pensiamo, in particolare, al tratto forse più noto della via, quello tra il III e il IV miglio, comprendente il Circo di Massenzio e la celebre Tomba di Cecilia Metella, che agli occhi di un poeta ottocentesco come Wilhelm Weiblinger appariva come “la cara torre della solitudine”, ma anche alla chiesa di Sant’Urbano o alla misteriosa Grotta di Egeria nella valle della Caffarella, in realtà un ninfeo dell’epoca di Antonino Pio che faceva parte della villa di Erode Attico.

2 Mostra Regina Viarum, un focus espositivo presso l’Istituto centrale per la grafica, Roma

La sistemazione che noi ora vediamo nell’area romana suburbana è quella data alla metà dell’Ottocento dall’architetto Luigi Canina, che ha condotto lo scavo e il restauro di diversi monumenti per creare una sorta di museo all’aperto, la cui integrità, purtroppo, è stata guastata negli anni ’50 e ’60 del Novecento, quando la via, trattata alla stregua di una qualsiasi arteria stradale, venne invasa dal traffico automobilistico e sorsero numerose costruzioni, sia pure schermate da alberi, che ne modificarono le visuali. Antonio Cederna denunciò più volte questa situazione a partire dall’8 settembre 1953, quando uscì il suo articolo “I gangsters dell’Appia” (su Il Mondo), nel quale scriveva che la via

andava salvata religiosamente perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte”.

Bisognò, tuttavia, arrivare al 1990 per eseguire un restauro che ha restituito dignità all’Appia antica, con l’interramento del Grande Raccordo Anulare che spezzava in due il suo asse stradale.

La mostra “Regina viarum” mette in luce tutto il fascino che la via ha esercitato su numerosi artisti, che l’hanno rappresentata per secoli evidenziandone i monumenti più noti, come pure i paesaggi agresti e la sua frequentazione umana, creando opere non di rado emozionanti. Del resto come ha sottolineato Maura Picciau, direttrice dell’Istituto centrale per la grafica

una strada non è mai soltanto un tracciato, perché le sovrapposizioni storiche, così come i bivi e gli incroci, sempre la rendono un flusso di informazioni, impressioni, emozioni.
3 Mostra Regina viarum, Istituto centrale per la grafica, Roma

In mostra troviamo le raffigurazioni dell’Appia antica a partire dal Cinquecento, proseguendo poi in ordine più o meno cronologico. Tra le opere più antiche figurano anche alcune immagini del Septizodium (come quelle di Maarten van Heemskerk, di Alberto Alberti e di Étienne Dupérac), che costituiva lo scenografico punto di arrivo a Roma per coloro che giungevano dal sud. Il grandioso edificio, la cui etimologia rimane misteriosa, venne eretto da Settimio Severo nel 203 e venne definitivamente distrutto verso la fine del XVI secolo sotto Sisto V per ricavare preziosi materiali da costruzione.

4 Alberto Alberti, Prospetto e base del Septizodium, disegno su carta vergata avorio, ICG

I nomi dei monumenti che appaiono nelle incisioni non sempre corrispondono a quelli attuali. Un esempio è dato da due acqueforti (delle quali una con la dicitura Circi Antonini Caracallae attribuita a Giacomo Lauro, attivo a Roma tra il 1583 e il 1645), dalle quali apprendiamo che il Circo di Massenzio era attribuito un tempo a Caracalla. La dizione Roma vecchia, che appare in un disegno di Thomas Dessoulavy (1836, inchiostro bruno, penna, acquarellature su carta moderna avorio), corrisponde alla Villa dei Quintili. Un altro esempio è quello della chiesa di Sant’Urbano, caratterizzata da una facciata con quattro colonne corinzie e l’architrave in marmo pentelico. La chiesa ha riutilizzato le architetture del tempio romano dedicato a Cerere e Faustina, che in un’incisione ottocentesca di Alessandro Moschetti è erroneamente chiamato Tempio di Bacco.

Decisamente suggestivo in mostra è l’accostamento di questa incisione al disegno preparatorio e alla matrice metallica. Pure affascinante è l’interno della chiesa, così come lo ha raffigurato a penna e acquerello Giacomo Fontana (ante 1833).

5 Focus espositivo dedicato alla chiesa di S. Urbano alla Caffarella
6 Giovanni Maggi, acquaforte del 1618 raffigurante il Sepolcro di Cecilia Metella a Capo di Bove, ICG

Lungo il percorso espositivo notiamo che alcune immagini appaiono accurate e puntuali e sono quindi di grande interesse documentario, mentre in altre prevale la fantasia, come nel caso della raffigurazione del Mausoleo di Cecilia Metella (Vetustu(m) Metelloru(m) Sepulchru(m) ad Caput Bovis Iuxtu(m) S.tu Seba(s)tianum, acquaforte, 1618) di Giovanni Maggi, che presenta una ricostruzione della parte superiore poco verosimile.

Dello stesso celebre sepolcro Alessio de Marchis (1684-1752) propone una veduta nella quale “il monumento è solo un pretesto per rendere l’atmosfera, fermare l’istante”, come scrive Gabriella Bocconi nel catalogo (Dario Cimorelli Editore).

Alla tomba di Cecilia Metella ha dedicato alcune acqueforti anche Giovanni Battista Piranesi. Sono sue le grandi matrici calcografiche di proprietà dell’ICG, alle quali sono state accostate in mostra delle incisioni della figlia Laura Piranesi, anche lei abile nell’arte paterna. Piranesi, un vero pioniere dell’archeologia romana e allo stesso tempo il massimo illustratore del fenomeno antiquario nel Settecento, ha interpretato l’Appia con l’intento di evidenziare le capacità tecniche e costruttive dei Romani, offrendo nelle sue tavole incise un’immagine reale e allo stesso tempo visionaria.

7 Giambattista Piranesi, Sepolcro di Cecilia Metella detto Capo di Bove, matrice incisa. Acquaforte su rame con ritocchi a bulino 1743-48

Nella mostra c’è anche spazio per la storia (come per esempio nell’acquaforte secentesca di Cesare Fantetti che raffigura Agrippina sbarca a Brindisi con le ceneri di Germanico) e per il mito, come nel disegno a sanguigna di Carlo Maratta (1625-1713) relativo all’incontro di Numa Pompilio con la ninfa Egeria, che gli avrebbe consegnato le leggi, a simboleggiare così le origini divine del diritto romano. Gli incontri tra il secondo re di Roma e la ninfa avvenivano, secondo una tradizione, nel suo boschetto sacro nella valle dell’Almone, poi detta della Caffarella. Un boschetto di lecci che secoli dopo è stato raffigurato da Onorato Carlandi (1848-1939) in un disegno a carboncino, matita nera e acquarellature su carta moderna avorio.

8 Onorato Carlandi, Il bosco sacro alla ninfa Egeria, disegno carboncino, matita q 1918.

Oltre a questi luoghi particolarmente frequentati dagli artisti, ve ne sono altri meno noti perché più lontani da Roma, ma altrettanto affascinanti, come i sepolcri disegnati da Carlo Labruzzi (1747-1817), tra cui il Sepolcro di Cicerone a Gaeta (in realtà un sepolcro di età augustea a Formia), la Veduta di Villa Camporesi a Marino (1807, grafite su carta vergata avorio) di Felice Giani, le incisioni del Viaggio pittoresco da Roma a Napoli (1839) di Luigi Rossini tra cui Itri. Ingresso alla Cittadella, le Rovine di Terracina in una xilografia del 1948 di Duilio Cambellotti.

9 Carlo Labruzzi, Sepolcro di Cicerone a Gaeta, 1803, ICG
10 Duilio Cambellotti, Le rovine di Terracina 1948, xilografia ICG

Della città di Capua è stato raffigurato il suo anfiteatro (legato alla rivolta contro Roma guidata dal gladiatore Spartaco nel 73-71 a.C.), in un’acquaforte ottocentesca di Pietro Barboni; di grande interesse appaiono anche le raffigurazioni delle Forche Caudine dalla parte del Sannio e dell’Arco di Traiano a Benevento. Tra i luoghi pugliesi che troviamo in mostra ci colpisce particolarmente per l’atmosfera assolata e deserta la raffigurazione della Piazza e Chiesa di Gravina di Puglia (pastelli, inchiostro grigio, matita nera su carta vergata di fattura industriale, 1914), di Guido Colucci, come pure l’interpretazione quasi astratta de La Grave di Castellaneta (acquaforte e acquatinta), di Alfredo Petrucci (1888-1969). Di grande impatto appare, infine, Interno dell’Abbazia della SS. Trinità di Venosa, una fotografia contemporanea (2022) di Olivo Barbieri, che si collega idealmente, con uno scarto di oltre un secolo, all’albumina di Romualdo Moscioni, raffigurante lo stesso luogo.

11 Guido Colucci, Piazza e Chiesa di Gravina di Puglia 1914, disegno su carta vergata avorio ICG
12 Olivo  Barbieri, interno della abbazia della SS. Trinità di Venosa ICG

Come ha ricordato Maura Picciau nel corso della presentazione della mostra, per fortuna nel Sud giovani artisti stanno cercando di rivitalizzare borghi e villaggi che per molto tempo sono stati svuotati dall’emigrazione. Negli ultimi anni sono stati organizzati festival e incontri per far conoscere i meravigliosi paesaggi spesso dimenticati, che hanno ispirato ad artisti e letterati quelle impressioni visive ed emotive che una mostra come questa in gran parte riesce a trasmettere.

Nicav FIORI   Roma 24 Settembre 2023

Istituto Centrale per la grafica – Palazzo della Calcografia, via sella Stamperia, 6 Roma

Orario: martedì- domenica ore10-19

Ingresso libero

www.grafica.beniculturali.it