L’inganno felice. Un capolavoro giovanile Rossini che guarda al futuro.

di Claudio LISTANTI

Il Reate Festival ha proposto all’interno dell’edizione 2023, quindicesima della sua storia, l’esecuzione de L’inganno Felice di Gioacchino Rossini.

La scelta ha rafforzato una delle prerogative di questo festival che fin dalla sua nascita ha orientato la lente di ingrandimento verso il Belcanto, proponendo nel corso degli anni diverse esecuzioni di capolavori del teatro d’opera italiano del periodo aureo che va da Monteverdi fino a Rossini e Verdi, sempre molto curate e convincenti. Ad ospitare L’inganno felice è stato l’Auditorium di Santa Scolastica a Rieti nel quale è stato eseguito in forma oratoriale a causa dell’improvvisa inagibilità del Teatro Flavio Vespasiano. Alessandro De Marchi ha guidato la Theresia Orchestra assieme ad una compagnia di canto del tutto convincente.

Fig. 1 Una immagine giovanile di Gioacchino Rossini (1815)

Il Reate Festival ha scelto per l’edizione di quest’anno uno dei capolavori più emblematici della produzione di Gioacchino Rossini e della relativa evoluzione nell’ambito del repertorio del teatro lirico. Si tratta de L’inganno felice, una delle primissime opere che Rossini scrisse. È infatti la sua terza opera, che segue La cambiale di matrimonio e L’equivoco stravagante ma può essere considerata il suo primo grande successo.

Fu rappresentata l’8 gennaio del 1812 presso il Teatro San Moisè di Venezia e fa parte di un gruppo di cinque ‘farse’ che il pesarese scrisse per il teatro veneziano. Dopo La cambiale di matrimonio del 1810 e L’inganno felice, nel 1812 Rossini rappresentò La scala di seta (9 maggio) e L’occasione fa il ladro (24 novembre) e, nel 1813, Il signor Bruschino (27 gennaio). Queste ‘farse’ possono essere considerate i semi che sviluppandosi produssero i maturi e gustosi frutti del Rossini buffo, una delle sue specialità, ma non l’unica, che lo ha reso famoso al mondo con capolavori come Barbiere, Cenerentola e Italiana in Algeri e Turco in Italia.

L’inganno felice al suo primo apparire riscosse un notevole successo di pubblico come prova la diffusione che l’opera ebbe quasi immediatamente, evento non molto frequente all’epoca. Nel 1813 L’inganno felice fu ospitato nella stessa Venezia presso il Teatro San Benedetto e, poi, nel 1818 al Teatro San Luca. Nel 1819 giunge presso il Teatro degli Avvalorati di Livorno per varcare anche i confini italiani arrivando al Théâtre-Italien di Parigi. Addirittura la partitura de L’inganno felice fu pubblicata a stampa, cosa del tutto rara per l’epoca.  Il suo successo fu così duraturo che si hanno notizie di rappresentazioni anche dopo il suo ritiro dalle scene del 1829, con rappresentazioni nel 1831 al San Carlo di Napoli e al Teatro della Cannobiana di Milano.

Fig. 2 Un momento dell’esecuzione de L’inganno felice. Auditorium di Santa Scolastica Rieti. Foto Artivision Studio.

Fu il primo grande successo del giovane Rossini che poi, come noto, bruciò le tappe della sua carriera che si concluse, per suo stesso volere, dopo il Guillaume Tell. Una carriera fulminea ed impressionante quanto a spessore del contenuto musicale e drammaturgico, che pongono il musicista pesarese tra le personalità musicali più grandi di tutta la storia della musica.

Ma l’opera di Rossini, come noto, con il tempo è caduta in un incredibile quanto immeritato oblio, che ha portato i lavori del grande musicista ad essere per lo più dimenticati nel corso della fine del ‘800 fino ai primi del ‘900. Dei suoi numerosi capolavori solo il Barbiere e pochi altri restarono stabilmente in repertorio. Questa sorte capitò anche a L’inganno felice che rimase poco conosciuto anche quando si sviluppò quel processo di riscoperta che dall’ultimo quarto del ‘900 fino ad oggi ha contribuito alla rappresentazione quasi totale della produzione rossiniana. L’inganno felice è rimasto un po’ ai margini di questa rivalutazione anche se ne sono state approntate diverse registrazioni discografiche così come alcune edizioni sceniche al Rossini Opera Festival. In definitiva, però, il suo recupero non può essere considerato pieno e completo.

L’opera, all’ascolto, possiede diversi punti di interesse tra i quali quelli più importanti sono la presenza di chiari momenti di ispirazione a musicisti dei suoi tempo e diversi segni premonitori di quello che sarà il Rossini buffo maturo. Sono chiare infatti alcune reminiscenze mozartiane soprattutto nella parte iniziale nell’introduzione affidata a Isabella e Tarabotto. La Sinfonia presenta senza dubbio limpide anticipazioni di quello che sarà il sinfonismo operistico rossiniano che lo vede spesso protagonista nelle sale da concerto, soprattutto accenni all’invenzione ritmica e all’uso specifico degli strumenti che rende l’orchestrazione semplice ma incisiva e coinvolgente. Poi anche il modo di porre la linea vocale, soprattutto nell’aria di Isabella e nei diversi pezzi d’insieme che costellano l’evoluzione della trama come il duetto Và taluno mormorando (Batone, Tarabotto), il delizioso terzetto Quel sembiante, quello sguardo (Bertrando, Tarabotto, Isabella) e l’aura notturna dello strepitoso quintetto finale Tacita notte amica dove anche qui sono ben evidenti, nel colore, reminiscenze mozartiane come illuminanti anticipazioni dei pezzi d’insieme che caratterizzano il grande repertorio buffo di Rossini.

Fig. 3 Il soprano Miriam Albano (Isabella) durante l’esecuzione de L’inganno felice. Foto Artivision Studio.

Ma l’elemento più importante da mettere in risalto è che L’inganno felice è una ‘farsa’ che sconfina nel campo dell’opera semiseria, visto l’intreccio che pone in evidenza, le disavventure di una coppia di giovani destinate ad una conclusione tragica ma che un intervento improvviso trasforma in un lieto fine. Tale condizione messa in evidenza anche da Bruno Cagli, uno degli studiosi rossiniani più blasonati, l’hanno collocata ai margini del recupero esecutivo. Uno stato di fatto che grazie a questa esecuzione del Reate Festival le rende un po’ di giustizia come ha dimostrato anche il gradimento del pubblico.

Per questa occasione L’inganno felice è stato eseguito con una edizione ricavata dalla trascrizione delle fonti e da una revisione operata da Luca Incerti. Lo studioso, in assenza del manoscritto autografo, ha basato il suo lavoro su una copia manoscritta del 1812 confrontandola con l’edizione a stampa effettuata a Roma dall’editore Ratti e Cencetti, elementi che, pur non consentendo una edizione critica, ne permetto comunque una esecuzione storicamente del tutto apprezzabile.

Ideale per la riuscita della proposta è stata la partecipazione della Theresia Orchestra, orchestra composta da strumentisti fino a 28anni, unica formazione giovanile a livello internazionale che rivolge la sua attività al repertorio classico espressamente eseguito su strumenti d’epoca che, per l’occasione, è stata guidata per dall’esperienza acquisita in questo genere musicale da Alessandro De Marchi.

Fig. 4 I bassi Matteo Loi (Tarabotto), Luigi De Donato (Batone) e Giuseppe Toia (Ormondo) durante l’esecuzione de L’inganno felice. Foto Artivision Studio.

L’unica contrarietà sopraggiunta in occasione di questa riproposta è stata causata dall’improvvisa dichiarazione di inagibilità del Teatro Flavio Vespasiano, sede principale del festival e luogo ideale per una rappresentazione operistica. Cesare Scarton, direttore artistico del festival, ha dovuto rinunciare alla prevista realizzazione scenica ripiegando su una esecuzione in forma oratoriale. La soluzione risulta essere scelta ottimale per evitare la cancellazione dello spettacolo, una scelta obbligata che però ha consentito a noi spettatori-ascoltatori di godere di un indiscutibile capolavoro musicale.

Al successo della serata ha contribuito anche una compagnia di canto nell’insieme molto soddisfacente. Tra tutti è emersa la parte femminile di Isabella, affidata al soprano veneziano Miriam Albano, cantante in possesso di un repertorio orientato verso il barocco per giungere fini al primo ‘800. Ha messo in mostra un buon impianto vocale riuscendo a frequentare senza sforzi il registro acuto e le conseguenti agilità arricchite anche da ottime sfumature e mezze voci. Al suo fianco in evidenza il basso Luigi De Donato nella parte di Batone, il ruolo che alla prima assoluta fu affidato a Filippo Galli, stella canora dell’epoca per il quale Rossini scrisse poi diversi ruoli sia buffi che tragici. Batone risente di questo tipo di vocalità per la quale De Donato ha dedicato una convincente interpretazione.

Fig. 5 Il tenore Antonio Garés (Bertrando) nell’esecuzione della cavatina accompagnato dalla flautista Ida Febbraio. Foto Artivision Studio

Di rilievo anche il Tarabotto del basso Matteo Loi al quale è giovata con chiarezza l’esperienza acquisita con l’Accademia Rossiniana di Pesaro utile a realizzare la corposa parte vocale a lui destinata. Bravo anche l’altro basso, Giuseppe Toia, che ha reso con efficacia la parte di Ormondo. Nella parte tenorile di Bertrando c’era il tenore Antonio Garés anch’esso in possesso di un importante curriculum che lo ha visto interprete di molti ruoli rossiniani come anche di altri autori tra i quali ricordiamo il suo Bardolfo in un Falstaff fiorentino diretto di John Eliot Gardiner. Garés ha esibito un impianto vocale molto interessante soprattutto per la facilità nel registro acuto che in questo caso, però, evidenziava note a volte un tantino stridule che ne incrinavano la naturalezza dell’emissione.

Fig. 6 Applausi al termine della recita del 22 ottobre per tutti gli interpreti. Foto Artivision Studio.

La recita alla quale abbiamo assistito il 22 ottobre presso l’Auditorium di Santa Scolastica di Rieti, è terminata con un buon successo di pubblico che ha affollato la sala e applaudito a lungo al termine dell’esecuzione chiamando più volte al proscenio non solo tutta la compagnia ma anche il direttore Alessandro De Marchi e tutta l’orchestra che ha impreziosito la serata.

Claudio LISTANTI  Roma 29 Ottobre 2023