Leggere Caravaggio (parte III). I dipinti dedicati ai Sensi e ai loro piacevoli inganni.

di Michele FRAZZI

Leggere Caravaggio

I dipinti dedicati ai Sensi e ai loro piacevoli inganni

L’esordio artistico

Durante la permanenza presso il Pucci Caravaggio dipinse per lui alcuni quadri, che probabilmente non furono  tenuti molto in considerazione dato che come ci dice Mancini il Caravaggio si lamentava di esser nutrito solo ad insalata che gli veniva servita “per pasto, postpasto”, e come dice il Caporale, per “companatico e per stecco”. A questo riguardo un fatto interessante legato alla Accademia è che il Caporale di cui parla nell’episodio Mancini è l’ Insensato Cesare Caporali, che utilizza questo verso nel poema La Corte (38). La Corte fu pubblicata nelle Piacevoli Rime dove, come abbiamo già visto, comparivano anche le poesie di Aurelio Orsi e degli altri Insensati assieme a quelle del Goselini e del Borgogni. E’ una circostanza quantomeno singolare che per indicare le ristrettezze a cui veniva sottoposto il Merisi si usi una citazione ripresa proprio da uno degli Insensati; questo epiteto beffardo potrebbe anche essere stata ripreso dalle parole dello stesso Caravaggio, che ancora più ironicamente  chiamava il suo ospite “Monsignor Insalata”.

Il Mancini  ci riferisce inoltre che il Caravaggio a latere delle copie dipinte per il prelato  realizzò nello stesso periodo una produzione di opere proprie destinata al mercato, “per vendere” e questi furono i suoi primi dipinti conosciuti.

Il primo soggetto che Caravaggio dipinse fu il ragazzo “morso da un racano” e successivamente (dopo essere uscito dalla casa di monsignor Pucci; secondo quanto si trova scritto nel  manoscritto Palatino) “un putto che monda una pera” (che nella versione Marciana del testo  diventa una mela ) e dopo l’abbandono di un così “magro ospite”, anche il “ritratto di un hoste dove si ricoverava”. Baglione invece ci dice che il Ragazzo morso dal ramarro fu dipinto in un periodo successivo e che non riusciva a venderlo, mentre al contrario il Mancini riferisce che questo fu il primo quadro che vendette e ne quantifica anche il prezzo 15 o 25 giulij, ed anzi fu proprio per questo suo primo successo che se ne andò dalla casa del Pucci

”che fu causa che vendutolo, e preso animo da poter vivere da sé, si partì da quel suo così scarso mastro o padrone”.

E’ verosimile che Caravaggio nei primi tempi realizzasse diverse repliche dei suoi lavori “per vendere”, e  non a caso appunto di questo tema si conosce più di una versione. A questi soggetti se ne deve affiancare un altro, molto probabilmente dello stesso periodo, il Ragazzo con la caraffa di rose, che  presenta una struttura compositiva quasi identica al ragazzo col ramarro e delle stesse dimensioni, così come anche il Mondafrutto è dotato delle stesse misure (66×52 cm.), un fatto questo correttamente notato e puntualizzato da Richard Spear, che  ipotizza che tutti e tre facessero parte di una serie dedicata ai cinque sensi e fossero rispettivamente il tatto,  l’odorato e il gusto (39).

Le immagini dei primi quadri conosciuti del Caravaggio sono caratterizzati dal fatto di essere anomali rispetto agli usuali soggetti dei dipinti dell’epoca: un ragazzo che sbuccia un frutto (in una versione incoronato da un angelo), un altro colto in una smorfia di dolore mentre viene morso da una lucertola, un terzo ritratto accanto ad una caraffa di fiori, oppure in seguito una zingara che legge la mano, costituiscono un unicum nel panorama artistico contemporaneo e tutto questo deve avere una ragione precisa.

La serie dei sensi

Sa, che il piacer nel mel cela i suo’ inganni

( Maffeo Barberini, Le Poesie toscane )

Così gli Insensati si esprimevano riguardo alla natura del  piacere :

i principali inimici non pur dell’anima, ma della vita nostra sono i piaceri, di cui tanto si compiacciono i sensi nostri(40).

Gli Insensati dunque si oppongono in ogni maniera alle tentazioni, agli allettamenti del piacere derivato dai sensi, che sotto la finzione della apparente dolcezza nasconde la verità  della sua velenosa natura più intima, infatti ogni piacere sensuale è effimero, una chimera, un miraggio che non appena viene conquistato sparisce, non porta a nulla, non ci conduce da nessuna parte, ci inganniamo pensando che inseguendolo otterremo qualche beneficio durevole, ci fa solo perder del tempo ed intanto la nostra vita svanisce. Il distacco ricercato dagli Insensati ha come scopo ultimo quello di chiudere le porte dei sensi attraverso le quali il piacere  raggiungere la nostra coscienza e ci piega alla sua volontà, essi al contrario cercavano invece un bene diverso, concreto e duraturo, non figlio della menzogna.

Il Mondafrutto- Il Gusto

La critica per ragioni stilistiche tende a vedere nel Mondafrutto la prima opera realizzata dal Caravaggio a Roma, inizieremo  dunque da qui il nostro percorso di analisi dei primi tre quadri realizzati dall’artista a Roma.

Fig.7 Il Mondafrutto, olio su tela, collezione privata
Fig.8 Il Mondafrutto, versione pubblicata da Maurizio Marini

Un fatto di sicuro rilievo legato alla Accademia è che questo dipinto ( 65×52 cm.)  ( fig.7 ) venne acquistato da Cesare Crispolti, il principe degli Insensati. L’opera, che ci è nota attraverso diversi esemplari attribuiti, rappresenta un ragazzo che sta sbucciando un frutto, egli ha di fronte a sè una tavola su cui giacciono altre frutta. Il dipinto fin dal momento del suo ritrovamento (45) fu letto come una semplice rappresentazione di una scena di genere; solo in seguito fu scoperta da  Maurizio Marini  una variante del dipinto, dove un angelo poneva una corona sul capo del fanciullo. Questa versione cambiò le carte in tavola, mostrando chiaramente che esso conteneva una allegoria, un secondo significato nascosto ( Fig. 8). Il fatto che il dipinto avesse un carattere allegorico  è assolutamente in linea con la personalità del suo acquirente che così  si esprimeva riguardo all’esercizio dell’arte:

“Nella  pittura piacciono invero le figure e i paesi da dotta mano dipinti che alla prima vista ci si appresentano. Ma più si apprezza quello che di sotto si nasconde… Bello è il parlare nudo e puro. Ma il  prattico oratore l’adorna, lo veste, lo arricchisce con metaffore, con perifrasi, con apostrofi e con altri artifitiosi modi… I versi leggiadri de’ poeti sono da noi letti con piacere per la purità ed eleganza della lingua e perché da vena naturale scaturiscano.Ma più ammirati sono quando ornati si vedono di mille gioie di vaghi concetti. Le favole ci dilettano nella scorza, ma più le allegorie che quasi midolla stanno sotto quelle nascoste.”(41 ).

Questo brano del Crispolti in linea con gli insegnamenti dell’Alberti, istituisce un parallelo tra i metodi della poesia, della oratoria, e della pittura, inoltre è aprezzabile che la pittura contenga un significato nascosto, si tratta di un concreto parallelo con  il pensiero del  Lomazzo che  anche lui si affida al paradigma Pittura-Poesia-Emblema.

Questo pensiero  è   in perfetto accordo con la filosofia e gli intenti degli Insensati, ed anche con la loro cultura degli emblemi e delle metafore, che loro spesso utilizzano per esprimere un concetto diverso da quello che normalmente significano, appunto per occultare il vero significato che volevano esprimere, essi parlano per

“doppia significatione, una ciòè una in apparenza, nella scorza, e l’altra in sostanza nella medolla”.

Ora se guardiamo il dipinto questo è esattamente il  suo soggetto: un ragazzo che sta separando la scorza dalla midolla. Se a questo aggiungiamo come il Ripa descriva la rappresentazione dei sensi:

Senso:

” I fiori, e i frutti, notano più particolarmente, quattro effetti del Senso, cioè il Vedere, il Gusto, L’odorato e il Tatto, i quali oprano nei Fiori e nei Frutti” (pag. 252)

possiamo comprendere che i frutti che sono appoggiati sul tavolo sono il simbolo del mondo dei Sensi.  Il ragazzo dunque si siede a tavola per soddisfare l’appetito dei sensi che conducono al peccato,  ma lui non si lascia ingannare da questi e monda il frutto, distingue bene e separa la scorza dalla midolla, cioè non si ferma all’amore per l’apparenza, ma liberandosi dal peso dei sensi è in grado di innalzarsi dagli istinti bassi e dalle realtà caduche e così contemplare le realtà eterne e celesti, che sono la midolla; in termini biblici va oltre, non ama il creato, ma il Creatore attraverso le sue opere, ed è questo il motivo per cui un angelo gli pone la corona sul capo.

L’ azione che materialmente il ragazzo sta compiendo nel dipinto, cioè separare la scorza dalla midolla è esattamente quello che si propongono di fare gli Insensati e da Cesare Crispolti, infatti egli sa riconoscere e separare ciò che proviene del mondo dei sensi rispetto a quello che proviene dal mondo dello Spirito; mi pare allora che questa opera sia una perfetta rappresentazione della loro filosofia, dei loro scopi, delle loro ricerche.

Sul tavolo fra le frutta vi sono anche delle spighe, la loro inclusione in questo contesto è estremante inusuale e non ha praticamente altri riscontri  e  non sembra neppure che possa essere un caso che questa sia l’unica natura morta dipinta dal Caravaggio che contenga questo elemento. Il Crispolti ci dà una interpretazione autentica di come vada inteso anche questo simbolo:

la semente, che sembra il grano inganna, com’anche fanno le monete adulterate, che nella sola superficie rassomigliano lo splendore dell’oro, et dell’argento; così i vitii, sotto le sembianze della virtù celati, mentre non si riconoscono, ingannano altrui” (42).

L’inclusione di queste spighe  rafforza la lettura del dipinto in direzione del significato simbolico appena detto, infatti rappresentano l‘ inganno che si nasconde fra i sensi, il che fa proprio pensare, che il dipinto sia stato realizzato specificatamente pensando alla figura del Crispolti o degli insensati.

Al di là comunque di ogni possibile interpretazione vi sono due fatti oggettivi: il ragazzo sta compiendo il gesto di separare la scorza dalla midolla, un gesto estremamente importante per gli Insensati, inoltre il suo proprietario era proprio il loro principe, queste due circostanze lo legano certamente al mondo di questa accademia. Questa lettura allegorica soddisfa anche un ulteriore criterio posto come  necessario  dagli accademici e cioè che l’immagine abbia un significato scoperto ed uno nascosto, l’immagine infatti viene letta come una semplice scena di genere dalle persone comuni, mentre solo chi fa parte di questo circolo colto è in grado di intenderne il senso più profondo; le due versioni del quadro costituiscono dunque la prova tangibile di questo doppio significato.

Fig. 9 Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, Santa Domitilla, Nereo e Achilleo, olio su tela, Roma

In sintesi il dipinto vale a rappresentare il cammino virtuoso dell’ Insensato, il suo costante tentativo di elevarsi  alla contemplazione delle virtù celesti, come evidenziato da Lorenzo Sacchini. Questo cammino che è di carattere schiettamente religioso,  non si ferma al piano della morale, ma la trascende per accedere al piano della contemplazione divina e questo passaggio è simboleggiato dall’ aggiunta dell’ Angelo che pone la corona sul capo del ragazzo, presente nella seconda versione (43). Infatti l’angelo che viene aggiunto nella versione Marini, dichiara apertamente che l’immagine ha un significato religioso; questa figura che porge la corona ha una valenza ben precisa nell’iconologia del periodo e veniva utilizzata per simboleggiare il cammino dei santi, come vediamo ad esempio nelle coeve  rappresentazioni del Pomarancio: I santi Domitilla, Nereo e Achilleo ( Fig. 9 ) , o nella  Santa Cecilia (44).

Crispolti ha ben presente la distinzione che separa la morale dallo spirituale, lo spiega nel capitolo V de l’Idea dello scolare,  quando descrive lo scopo che l’allievo deve perseguire nei suoi studi; egli tiene ben separate le virtù morali da quelle contemplative, le prime sono solo lo strumento che serve per accedere alle attività  contemplative, che porteranno infine alla contemplazione della Divinità: “ E’ l’attiva che serve assai  per conseguire la contemplativa“ (pag. 44). La stessa interpretazione sul rapporto esistente tra queste due attività viene data anche da un altro importante Insensato: Maffeo Barberini, che pone il tema  in un poema  delle Poesie Toscane: Dimanda a Dio le tre Virtù Theologali per innalsarsi al Cielo, e per disciogliere i lacci terreni, che legano l’anima.

Il dipinto viene citato per la prima volta nel 1608 nell’inventario dei beni di Cesare Crispolti come una: “figura d’un giovane dalla cintura in su che monda un persico a oleo”, anche il Mancini cita il dipinto, ma una volta identifica il frutto con una mela ed un’ altra volta con una pera, questo mostra che non lo ricordava bene o non lo aveva mai visto, tra l’altro il frutto che tiene in  mano non può essere in alcun modo una pera, ma probabilmente si tratta di una pesca nettarina, come appunto è identificata da  Friedlander (45) e descritta nell’ inventario; esistono in effetti  diverse tipologie di pesche a buccia verde, ad esempio la merendella o la sbergia, in ogni caso sulla tavola sotto la sua mano sinistra si vedono chiaramente delle pesche.

Troveremo particolarmente interessante ora leggere come il Ripa descrive il senso del Gusto :

” Donna, che nella destra tenga un cesto pieno di diversi frutti e nella sinistra un persico. Il gusto è uno dei sentimenti del corpo, o vero una delle cinque parti, per le quali entrano le idee, e le apprensioni ad Habitar l’anima, della quale fanno i loro consigli bene spesso in utile, e spessissimo anche in rovina di essa, ingannati dalla falsa immagine delle cose apparenti, che sono gli esploratori, e spie tal volta false, e però cagionano gran male à lei, e ad essi. False spie hebbero in particolare gli Epicurei, i quali gli riferivano, che buona cosa fosse attendere alla crapula sanza molti pensieri di honore, ò di gloria humana. Si dipinge con varietà di frutti, perchè questi, senza artificio, diversamente dal gusto si fanno sentire e il Persico si prende spesso a simile proposito da gli antichi”( pag. 117),

Anche il Ripa dunque pone l’accento sull’inganno dei sensi. Anche dal punto di vista iconografico l’immagine si adatta perfettamente alla rappresentazione del Gusto per il quale a livello simbolico si utilizza la frutta, lo vediamo in questa stampa realizzata da Cornelis Cort (1561) (Fig.10), dove si vede una donna che con un coltello in mano ha sbucciato un frutto e lo mangia, oppure nelle serie di tema analogo di Rafael Saedeler (1581) o Collaert con una donna che mangia un frutto (circa 1600) (Fig.11).

Fig.10 Cornelis Cort, Il senso del Gusto
Fig.11 Adriaen Collaert , iI senso del Gusto

Quest’ultimo collega ciascuna stampa dei sensi ad un significato religioso.

12 Fig.12 Saenredam- Goltzius, Il senso del Gusto

Estremamente interessante per il nostro discorso è infine la serie dei 5 sensi realizzata da Saenredam- Goltzius ( circa 1595-6; scheda Blanton Museum Texas) (Fig.12) dato che ad ognuno dei sensi viene associata una scritta  che ammonisce a non cedere ai loro inganni e alle loro lusinghe, infatti sotto l’apparente dolcezza si nasconde in realtà un finale amaro, esattamente come accade  nel pensiero degli insensati e nei quadri dedicati ai sensi realizzati dal Caravaggio. Qui vediamo la stampa di Saenredam dedicata al Gusto, la scritta sotto ci avverte che spesso le cose dolci al palato sono nocive: Dulcia saepe nocent avido gustata palato, votaque damnosa luxuriosa gulae.

Il ragazzo morso dal Ramarro – Il Tatto

Fig.13 Il ragazzo morso dal Ramarro,olio su tela, Firenze, Fondazione Longhi

Di questo dipinto esistono due versioni, una appartenuta a Roberto Longhi ( 65×52 cm.) (Fig.13) ed una seconda che è custodita alla national Gallery di Londra ( 66×50 cm.); Larry Keith il capo del dipartimento di studi scientifici del museo è riuscito a stabilire che quella londinese è la seconda versione autografa di questo tema (46).

L’immagine contenuta in questo dipinto, la smorfia di dolore di un ragazzo che ritrae la mano morsa da una lucertola, è un soggetto inusuale nella pittura italiana, che in linea generale non ha mai prestato molta attenzione a rappresentazioni di genere e simili soggetti di epoca

Fig.14 Vincenzo Campi, I pescivendoli, olio su tela, particolare

cinquecentesca sono rari. L’idea per questa rappresentazione va ricondotte ad un prototipo di Sofonisba Anguissola, la grande pittrice cremonese che realizzò per Michelangelo un disegno con  un Fanciullo morso da un gambero, una immagine che ebbe notevole successo nell’ambito della scuola di Cremona e che fu ripreso e diffuso in diverse opere come quella che vediamo qui raffigurata di Vincenzo Campi ( Fig. 14). Questa fu la prima volta in cui Caravaggio si confrontò su un soggetto su cui si era misurato anche Annibale Carracci, come nel caso dei Ragazzi che giocano con un gatto del Metropolitan; del resto nei Carracci  era ben viva la coscienza delle origini cremonesi, tanto che il fratello maggiore, Agostino, nelle sue prime   incisioni si firmava cre.(monensis) o Cremona e cioè Agostino Carracci cremonese (47) e collaborò direttamente coi fratelli Campi.

Fino a quel momento la rappresentazione dei moti dell’animo nelle espressioni del viso e del corpo, non aveva trovato molta diffusione in Italia, siamo ai primi passi di questo interesse; fa dunque sensazione il fatto che il Caravaggio abbia scelto una iconografia così insolita come tema principale di una sua opera. Il pittore per arrivare a concepire una  raffigurazione così puntuale di questa espressione può essere stato ispirato dalla descrizione Dolore contenuta nel Trattato del  Lomazzo :

dimostrando anco dolore nel resto del corpo con inarcar le ciglia, stringer le labra, e discoprir i denti. Fa il dolor oltre di ciò scontorcer il corpo in diversi modi, e travolger gli occhi come avviene quando uno è offeso da veleno, o morso da serpe”(48).

Questo passo descrive esattamente tutte le caratteristiche espressive che si trovano rappresentate nel dipinto: le labbra strette, i denti sporgenti, l’inarcarsi delle sopracciglia e della fronte, il corpo che si contorce ritraendosi, ed anche il morso, in questo caso non di un serpente, ma di una lucertola; il passo di Lomazzo dunque è una descrizione iconografica molto vicina alla raffigurazione caravaggesca.

Una rappresentazione così inusuale deve avere suscitato non poche perplessità nel pubblico romano abituato a tutt’altro generi di soggetti, ci deve però essere stato un valido motivo che ha spinto il Caravaggio ad affrontare un argomento come questo e la motivazione potrebbe risiedere in un valore allegorico. In effetti si può stabilire una relazione con una poesia creata da uno dei più importanti poeti perugini, molto amato e stimato dagli Insensati: il Coppetta, che potrebbe aver suggestionato la realizzazione del  Caravaggio:

Più che di lunghe, e bionde chiome, e crespe, / D’ un breve, e molle, e negro crin m’appago: / Mi punge il cor un’amorosa vespe, / E ogni hor più d’attizzarla vago. / Onde, quasi com’huom che adombre, e incespe / Leggo nel guardo suo vivace,  e vago. / Dammi nel volto pallidetto e bruno / Ben cento bagi, e men non ne voglio uno.

Chi pon le labbia su le vostre rose, / Nettar bever si crede, e’l velen sugge. / La lingua vibra empie saette ascose; / E assalta in un tratto, e fere, e fugge. / Lasso queste spagniuole arti insidiose / Già non conobbe un, che per voi non si strugge, / Ne men del bianco dente all’hor si accorse, / che mostrò di baciarlo, e’l cuor gli morse.

Queste due ottave sono tratte da una poesia contenuta nelle sue Rime che apparirono postume nel 1580; nella poesia egli paragona la passione amorosa ad una puntura o ad un morso (come quello che vediamo rappresentato nel dipinto), si tratta di  un doloroso tormento che continuamente strazia chi le è soggetto, nell’ultima si giunge finalmente all’epilogo di questa passione amorosa, si scopre la verità, non è miele (nettare) quello che si succhia dalle labbra dell’amata, come potrebbe fare un’ape che succhia il nettare dalle rose, questa è solo immaginazione, le labbra in realtà nascondono il veleno ed un doloroso morso.

Nel dipinto vediamo raffigurato un ragazzo che è attratto dalla bellezza delle rose, cioè è attratto dalla apparenza bellezza esteriore del piacere , mentre è intento nella sua affanosa ricerca egli viene colto di sorpresa e morso dai denti di una lucertola che stava nascosta fra i frutti che sono sul tavolo, essi sono il simbolo dei Sensi.  L’attrazione passionale generata dai sensi crea dunque nella vittima il miraggio di rincorrere la dolcezza del nettare,  mentre al di sotto  di questa sognante  apparenza sta celata una seconda e ben più amara realtà: il dolore; piacere e dolore sono legati l’uno all’altro, sono le due facce di un’unica realtà, dopo il primo arriva sempre il secondo. L’amante è ingannato  dalle apparenze: “Nettar bever si crede, e’l velen sugge”, la poesia mette in luce l’inganno della bellezza esteriore. Si stabilisce così un parallelo  tra l’ immagine raffigurata nel dipinto e quella della poesia dove il protagonista abbagliato dalla bellezza delle rose  non si accorge del dente che lo morde.

Anche l’Insensato Filippo Alberti  prende spunto da questo componimento per una sua poesia di simile contenuto inclusa nelle  Rime piacevoli del 1584:

Huom che ferito sia

Da saetta di can rabido, e stolto / Scorge di cane ogn’hor ne l’acque il volto / Forse rabioso amore, / Cangiato in voi col velenoso dente, / A me trafitto ha il core; /  E m’ha rapito con furor la mente; E non è fonte o rio; ove non miri anche io, fida mia stella / L’imagin vostra desiata e bella / Per queste immagini esiste un precedente nella poesia anacreontica che l’Alberti sicuramente conosceva e questo esempio probabilmente era noto anche al Coppetta.

Anacreonte ( pseudo):

Ode XL- Sopra Amore

Volle cogliere una rosa / Sconsigliato Amore un dì, / Si risveglia un’ape ascosa / Tra le foglie, e lo ferì. / Tormentato da quel morso, / Che soffrì nel dito Amor, / Non trovando alcun soccorso / Ei piangeva di dolor. / Scioglie il volo, e muove il passo, / Ed a Venere sen va. / Madre (ei dice) io moro, ahi lasso! / Deh m’aita per pietà! / Picciol serpe d’ali armato, / he ape chiama il contadin, /Mi ha la mano oimè! piagato: / Che sarà del mio destin? / Se d’un ape il morso, o Amore, / A lui dice, è sì fatal, /Pensa or tu, che soffre un core /Ch’è trafitto dal tuo stral.

Nella poesia del greco si arriva molto semplicemente e scopertamente al suo significato: Amore attratto dalla bellezza delle rose viene punto da un’ ape, qui paragonata ad una serpe con le ali, questo insegnerà al fanciullo quanto sono dolorose le sue frecce. In questo caso è del tutto assente  l’aspetto dell’amore tra uomo e donna e l’inganno  nascosto dalle finte sembianze su cui invece si concentra la poesia del Coppetta, temi che anche l’Alberti riprende nel suo componimento; rimane invece esclusiva del Coppetta l’immagine del bacio, che ha un posto fondamentale nella sua poesia.

Il poeta potrebbe essere stato suggestionato dall’opera famosa e complessa di un altro poeta bernesco e satirico come lui, il pittore fiorentino Agnolo Bronzino, le poesie di entrambi circolavano assieme nelle raccolte manoscritte dei poeti berneschi del xvi secolo e vennero date insieme alle stampe a Firenze nel 1555 (49). Il Coppetta tra l’altro ebbe rilevanti frequentazioni nella città di Firenze tra il 1536 ed il 1543, proprio nel periodo di in cui il Bronzino stava creando il  più famoso dipinto sul tema dell’Inganno d’amore, l‘Allegoria dell’amore ( Fig.15).

Fig.15,  Agnolo Bronzino, Allegoria dell’Amore, olio su tavola, Londra National Gallery

In quest’opera si trovano diversi elementi comuni con la poesia del Coppetta: il bacio, l’inganno, le saette d’Amore ( le frecce), il piacere del miele collegato al  veleno del pungiglione.  In questo dipinto i due personaggi centrali  Amore e Venere sono avvolti in un sensuale abbraccio che in realtà nasconde un inganno, infatti Cupido sta rubando il diadema a Venere, mentre Venere toglie una freccia a Cupido.

La figura di giovinetta che sta dietro di loro, rafforza questo significato essa è il simbolo dell‘Inganno legato al piacere, di fianco a lei infatti sta un giovinetto che sparge rose, simbolo del piacere, il suo piede sinistro è trafitto a una spina, simbolo del dolore che è l’altra faccia del piacere. La ragazza con una mano offre e tiene di fronte a sè un favo di miele (il piacere) mentre quella che le è opposta impugna il suo contrario e cioè l’amaro veleno del pungiglione o del serpente dato che il suo corpo è quello di un serpente a cui si accoppia anche una zampa di leone.

Bronzino riprende certamente questa figura  immaginaria da un poeta che egli molto amò e cioè dall’Inferno di Dante, nel canto XVII°, dove è descritto Gerione (50), l’ingannatore per eccellenza, che aveva la faccia di uomo giusto e dall’aspetto rassicurante, ma in realtà poi uccideva i suoi ospiti; nell’Inferno dantesco il suo corpo viene descritto come quello di un serpente con due zampe di leone ed una coda di scorpione, cioè la figura rappresentate nel quadro, questo legame è confermato anche dal Ripa che utilizza anche lui l’immagine del Gerione  dantesco per rappresentare la Frode (51).

Al di sotto dell’Inganno sono appoggiate due maschere, che alludono ancora alla doppia faccia, alla frode delle apparenze, come puntualizza Panofsky una rappresenta un Giovane ed una un Vecchio, questa maschere potrebbero anche fare riferimento all’inganno di  Vertumno che mutò le sue sembianze da vecchio a giovane per sedurre Pomona. Anche il maestro del Bronzino, Pontormo dipinse un quadro allegorico di simile intonazione: il cartone di Venere e Amore ( Fig. 16) dove Amore bacia Venere e lei gli ruba una freccia.

Fig.16  ,Pontormo, Allegoria di Venere e Amore Olio su Tavola, Firenze

Anche qui sono presenti ancora le due maschere: da giovane e da vecchio, questo soggetto è derivato da un originale di Michelangelo a cui va con ogni probabilità il merito di aver creato questo simbolo allegorico. Anche il Ripa utilizza la maschera da giovane e da vecchio sinonimo della doppiezza come il simbolo dell’Inganno:

”Inganno: Maschera di bellissima giovane riccamente ornata e sotto si scopra parte del viso di vecchia molto difforme”.

Il valore allegorico finale del dipinto dell’Allori, si ritrova raffigurato  nel gesto del vecchio che  si trova sulla destra, egli sta togliendo un telo che copriva alcune figure, egli rappresenta il Tempo che mostra la verità dell’amore, mettendo a nudo i suoi aspetti di fondo che stavano nascosti nell’ombra: la Gelosia e la Follia ( 53), questo è l’epilogo finale della Allegoria dell’Amore sensuale.

Finita questa digressione ritorniamo all’analisi del dipinto di Caravaggio; la lettura allegorica che abbiamo appena esposta trova una evidente conferma nel catalogo delle immagini simboliche stilate dal perugino Ripa che per descrivere l’inganno propone:

Inganno

Il mazzo di fiori col serpe in mezzo significa l’odor finto della bontà, donde esce il veleno vero degli effetti nocivi”.

Nel dipinto del Caravaggio il ragazzo viene morso da una lucertola e non da una serpe, questa differenza non è per nulla casuale ma anzi è una ulteriore prova della profonda conoscenza del linguaggio allegorico del suo autore, infatti questo animale ha lo scopo di rafforzare ulteriormente la  centralità dell’idea  dell’Inganno, dato che la lucertola per  l’Alciato è  proprio il simbolo della Frode (54) (Fig.17). La presenza di questo animale rimarca dunque con ancora più forza il significato allegorico del dipinto che rappresenta l’ Inganno che si nasconde fra i sensi e cioè fra i fiori e i frutti presenti sul tavolo. La lucertola ha la stessa funzione simbolica che nel precedente dipinto aveva la spiga di grano, entrambi i dipinti dunque vogliono rappresentare lo stesso paradigma con immagini diverse.

Ne i frodolenti

Fig.17 Alciato, Emblemata, La lucertola, simbolo dell’inganno,

Picciol lucerta; che d’atro colore / Stellato ha il manto; onde le gente antiche / La chiamar Stellio, / che luoghi d’horrore. / Ama; e le son le sepolture amiche, / E l’invidia, e la fraude monstra / fuore, / Per cui le donne son fiere nemiche. / E chi beve una volta del liquore, / Ove questo /animal fu immerso e posto. / Di lintigini il volto è offesso tosto.

Anche il protagonista del quadro del Caravaggio e cioè un giovane ragazzo  una rosa fra i capelli ha un suo ruolo simbolico, infatti secondo l’Iconologia del Ripa rappresenta il Piacere:

Un giovane di sedici anni in circa, di bello aspetto, e ridente, con una ghirlanda di rose in capo”.
Fig.18 Cornelis Cort, Il senso del Tatto

Inoltre sempre a livello simbolico l’azione contenuta nel  dipinto è coerente con l’allegoria del Tatto  proposta dal Ripa che per raffigurarlo fa riferimento all’ immagine della puntura di braccio:” Donna col braccio sinistro ignudo, sopra del quale tiene un falcone, che con gli artigli lo stringe”. Lo vediamo bene anche in questa immagine di Cort (Fig.18) che per rappresentare il Tatto utilizza una donna con un falco che le morde un dito ( come accade con la lucertola nel dipinto del Merisi);

Fig.19 Saenredam-Goltzius, Il senso del Tatto

mentre Saenredam-Goltzius nella loro raffigurazione del senso  ritraggono  un uomo che abbraccia una donna coi seni nudi (Fig.19), ed ammoniscono sulla pericolosità del tatto,non bisogna toccare con le mani cose pericolose per non avere brutte conseguenze: Quae conspecta nocent, manibus contingere noli, ne mox peiori corripiare malo.

Dunque per tutti i motivi appena elencati il dipinto può anch’esso venire incluso all’interno  della serie che raffigurava l’inganno dei 5 sensi, in questo caso  si vuole raffigurare il Tatto.

La ricerca del piacere dunque ci attrae con le sue promesse di dolcezza ma i sensi non sono altro che un inganno, il piacere è subitaneo, impermanente, e ben presto lascerà il posto all’amarezza e alla disillusione, non esiste un piacere duraturo.

La morale finale che anche questo dipinto vuole trasmetterci è che tutti i piaceri dei sensi sono un inganno,  dietro di essi infatti si nasconde sempre una differente ed amara verità: il dolore. Il dipinto è un tragico avvertimento della misera sorte che attende  coloro i quali soggiaciono ai sensi, e soccombono all’inganno mettendosi in un pericolo mortale. Ma questo pericolo non deve essere necessariamente l’epilogo finale, infatti questa immagine dipinta ci spiega che esiste una via d’uscita, per questo veleno esiste un antidoto: la Grazia che è in grado di fare rivivere anche il corpo avvelenato dagli allettamenti del peccato, come dicevano gli Insensati  “la Gratia  vivifica i Tramortiti” (55).

Questo passaggio è rappresentato nel dipinto dalla caraffa con i fiori immersi nell’acqua,  una simbologia molto importante nell’ ambito degli Insensati, dato che  è quella che caratterizza l’emblema di uno dei loro membri di maggior rilievo ed anche uno dei personaggi di spicco della cultura a Roma: stiamo parlando di Paolo Mancini (Fig.20) che  sulla base della esperienza perugina, nel 1600 fonderà  a Roma una delle accademie più importanti d’Europa: l’Accademia degli degli Humoristi. Il suo emblema accademico era una caraffa con i fiori, mentre il  suo soprannome era il Mortificato, il motto che l’accompagnava era Hic reviviscam, cioè qui rivivrò ( nell’acqua).

Fig.20 L’emblema di Paolo Mancini, il mortificato, Hic reviviscam

Il richiamo dei sensi conduce inevitabilmente alla morte, come  accade ai fiori e ai frutti recisi che sono sul tavolo del ragazzo, essi sono destinati a corrompersi e a marcire (56),  questa è anche la sorte di tutti coloro che rincorrono le evanescenti immagini esteriori create dalle passioni, l’unica soluzione è rappresentata dall’acqua  dentro la brocca che è il simbolo della Grazia che monda dai peccati, solo immersi nell’acqua le rose e gli uomini potranno continuare a vivere, anche il fiore di gelsomino accanto alle rose non è stato scelto a caso infatti la rosa accoppiata al gelsomino è il simbolo della Fede (57).

L’emblema del Mancini ed il suo soprannome insensato contiene al suo interno tutti questi passaggi, egli che è morto a causa dei sensi potrà tornare in vita solo se morirà ai sensi e cioè sarà mortificato ad essi, la conditio sine qua non per raggiungere questo scopo è la ricerca della Grazia, che l’acqua della brocca rappresenta, si tratta dal punto di vista evangelico dell’acqua viva, ( Giovanni 4,14):

ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna,
Fig.21 Alciato, Strenuorum immortale nomen, Emblemata

infatti il fiore che è immerso nella brocca di Paolo Mancini è l’amaranto, che nell’emblemastica dell’Alciato (Fig.21) è il simbolo dell’immortalità, ed è contenuto nell’emblema Strenuorum immortale nomen.

La rosa immersa nell’acqua raffigurata nel dipinto del Caravaggio sostituisce l’amaranto dato che anch’essa è simbolo di risurrezione e di immortalità (58). Dal punto di vista religioso occorre osservare che fin dalla Genesi è scritto che il peccato conduce alla morte, così come è altrettanto chiaro che  è la Grazia di Cristo che porta alla resurrezione. La brocca è un elemento contenuto in molti dipinti del Caravaggio, che questo particolare dovesse per questa ragione avere un valore simbolico era stato intuito da Clovis Whitfield, che a questo riguardo scrive:

A proposito dei fiori nel bicchiere, Symonds vide ed annotò,”…uno di loro sboccia”, cioè si schiude, facendo intendere che anche l’autore dell’emblema “fiorisce in gloria”. Il vero significato del Ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio non ci è noto, ma oltre al fatto di catturare una immagine istantanea, l’azione deve avere sicuramente un contenuto emblematico” (59).

In ultima analisi attraverso le immagini contenute nei  più importanti trattati di iconologia dell’epoca: Alciato e Ripa, abbiamo dato un significato coerente a tutti gli elementi presenti nel dipinto, le rose, i frutti sul tavolo, la brocca con i fiori ed anche il ramarro, e tutti sono concordi nell’indicare l’inganno dei sensi, come tema centrale della allegoria.

Si tratta in definitiva di una poesia in forma di dipinto, infatti oltre al significato allegorico   abbiamo potuto anche apprezzare  il legame con la letteratura e la poesia,  in perfetto accordo ai requisitidella pittura di più alto livello, cioè quella di Storia (Ut pictura poesis), quello tra poesia e pittura è un legame preciso che si ripeterà  praticamente in tutti i dipinti della sua prima fase artistica.

Il ragazzo con una caraffa di rose – l’Odorato

Fig.22 Il ragazzo con la caraffa di rose, olio su tela, collezione privata, Svizzera

Questo soggetto venne menzionato per la prima volta  nel 1612 : “un ritratto del Caravaggio, che tiene fiori in mano”; il dipinto compare nei conti della famiglia Borghese che riguardano un pittore-doratore Annibale Durante; successivamente ricompare in un inventario della stessa famiglia nel 1693:Tra le due finestre sotto al cornicione un quadro di due palmi con un ritratto d’un Giovane con un Vaso di rose in tela del N . . . con cornice dorata del Garavaggio” (60)  ed ancora nel 1841: “Una mezza figura esprimente un giovane che tiene de’ fiori fra le mani opera pregevole di Michelangiolo da Caravaggio” (61).

Questo soggetto è noto in due redazioni una conservata al Museo di Atlanta ed un’altra conservata a Lugano ( 66×52 cm.) (vedi Fig.22) di cui pubblichiamo qui la foto, perché piu integro, infatti, come nota  Marini, nell’esemplare di Atlanta si rileva l’offuscamento a seguito di restauro dell’indice della mano sinistra (62). L’immagine del dipinto è costituita da un giovane che tiene con la mano destra un mazzo di gambi di fiori e rose mentre con la sinistra indica sé stesso; fu il Marini ad indicare per primo il suo significato simbolico, interpretandolo come una allegoria della evanescenza della bellezza e della gioventù, infatti come i fiori appassiranno così accadrà anche per la sua fugace giovinezza e bellezza. Come nel precedente dipinto anche in questo caso il significato allegorico dell’opera può essere associato ad una poesia delle Rime del Coppetta:

Ad Annibale Caracciolo

Come nulla qua giù diletta, o piace, / Più, che quella bellezza amata, e cara; / Così nulla più breve, o più fugace, / Ne da Natura, in un larga, e avara / Qual fosse dianzi il volto, ond’ebbi amara  / Guerra, e crudel senza trovar mai pace, / Nel mio pallido e mesto ancor s’impara / E qual hoggi mi sembri Amor no’l tace. / Che già  levato ha da quelli occhi il nido; / Da le guancie le rose; e più m’attrista, / Che v’ha lasciate oscura nebbia, e spine / Caracciol mio, deh riguardate al fine / Di questi fiori; e vi risvegli il grido / De la mia grave penitenzia e trista

(Le Rime di Francesco Coppetta, Venezia 1580)

In questa  poesia l’autore fa una triste riflessione sulla fugacità della bellezza e dell’amore a cui tocca la stessa sorte delle rose: i loro petali col tempo si seccano e rimangono solo le spine, del loro splendore non resta più nulla, la loro natura è evanescente, sono solo una piacevole illusione, delle apparenze, un istante sono e poco dopo non sono più, la bellezza della giovinezza dunque è come quella delle rose e del loro profumo, presto svanisce. La poesia contiene anche un accenno di concettismo  con utilizzo di metafore, un linguaggio che sarà molto in voga nel barocco, le rose infatti alludono anche al rosa delle guance nel fiore della giovinezza, nel dipinto tra l’altro è messo bene in evidenza il colore rosa delle guance.

Nella poesia successivamente creata dal Caracciolo in risposta a quella del Coppetta, egli lo invita a riflettere sul fatto che i sensi ci attirano su una strada sbagliata, lo esorta quindi ad abbandonare le loro lusinghe  e lo consiglia di affidarsi alla ragione che conduce alla Virtù: è con essa che si acquista il cielo, una morale finale in perfetto accordo con quelli che saranno gli indirizzi generali degli Insensati (63).

Come accadde per il precedente dipinto anche in questo caso, l’ idea poetica del Coppetta che riguarda lo sfiorire della bellezza verrà ripresa dall’insensato Alberti nelle sue Rime piacevoli ( 1584):

Cogli la vaga rosa/ Leggiadra verginella,/ Mentr’è novello il fior l’età novella;/ e la fronte amorosa/ Ne ingemma, o il seno, eh abbi a mete poi/ Così velare i fugaci anni tuoi, E che il tuo viso adorno/ Può fiorire,e sfiorire seco in un giorno.

Un altro insensato: il Marino  riprenderà successivamente l’idea del poema dell’Alberti, in una ottava dell’Adone ( VII,90 ):

Voi che scherzando gite, Anime liete, / per la stagion ridente e giovenile, / cogliete con man /provida cogliete / fresca la rosa in su l’aprir d’Aprile, / pria che quel foco, che negli occhi avete, /freddo ghiaccio divegna, e cener vile, / pria che caggian le perle al dolce riso, / e com’è crespo il crin, sia crespo il viso.

L’associazione di questo  ultimo verso mariniano al dipinto è stata suggerita proprio da Maurizio Marini, a cui a mio avviso  va il merito di aver  individuato il significato corretto dell’opera (64).

Altro fatto degno di rilievo è che l’ immagine del fiore che avvizzisce, così come accade alla bellezza e all’amore è  contenuta anche nel commento latino scritto dall’Alciati  per spiegare il significato dell’emblema  della Frode che abbiamo appena analizzato riguardo al dipinto precedente, il Ragazzo morso dal ramarro (Lione 1551), dunque lo stesso emblema serve a spiegare entrambi i dipinti:

PARVA lacerta, atris stellatus corpora guttis
Stellio,qui latebras, & cava busta colit,
Invidiae, pravíque doli fert symbola pictus,
Heu nimium nuribus cognita zelotypis.
Nam turpi obtegitur faciem lentigine quisquis,
Sit quibus immersus Stellio, vina bibat.
Hinc vindicta frequens decepta pellice vino.
Quam formae amisso flore relinquit amans.

(Come l’amante lascia il fiore, che ha perso la sua forma)

Dunque la bellezza che ci attrae  in realtà è solo un’apparenza, è un inganno, e come tutti  gli inganni dei sensi è passeggera, effimera, quando la bellezza del fiore sparirà anche l’amante se ne andrà.

Inoltre si ripete anche in questo caso l’identificazione già vista nel precedente dipinto del ragazzo che è una rappresentazione del Piacere secondo la simbologia del Ripa:

“La gioventù di questa età è più di tutte l’altre dedita a’ piaceri, per esser come un nuovo, e mondo cristallo, per lo quale traspariscono belle, e chiare tutte le delicie mondane. Per lo Volto bello, e ridente si dimostra, che dalla bellezza deriva il piacere. Le Rose furono dedicate a Venere, Dea de’ piaceri, perché queste hanno soave odore, e rappresentano le soavità de’ piaceri amorosi, come ancora la loro debole, e corta duratione”.

In sintesi,  nel dipinto un ragazzo di circa 16 anni (il piacere) viene  attratto dal piacere dei Sensi (rappresentati dai fiori e le frutta presenti sul tavolo), con la mano destra tocca i fiori che sono sul tavolo,  mentre con la sinistra mostra sè stesso, volendo con ciò indicare l’evanescenza e la caducità della propria bellezza  che prima o poi come la bellezza delle rose svanirà, con questo gesto vuole alludere  anche al dolore che è causato dalle spine,  esse saranno il risultato finale di questa ansiosa ricerca del piacere, come leggiamo anche nella poesia del Coppetta:

Che già  levato ha da quelli occhi il nido;Da le guancie le rose; e più m’attrista, Che v’ha lasciate oscura nebbia, e spine;

piacere e dispiacere sono sempre uniti, sono due facce della stessa medaglia, se si affida la propria vita alla continua ricerca della bellezza, al posto delle belle rose profumate in mano non rimarranno che foglie secche e il dolore delle spine, perché essa subito sfiorisce. Si conferma dunque anche per questo soggetto la derivazione dalle stesse fonti da cui trae origine l’allegoria del Ragazzo morso da un ramarro: le poesie del Coppetta, quelle dell’insensato Alberti, lo stesso emblema dei Fraudolenti dell’Alciato ed la simbologia del Ripa, i due dipinti dunque mostrano in toto di avere lo stesso schema e le stesse radici.  Il vaso di rose che è appoggiato sul tavolo da cui significativamente penzola una rosa afflosciata, allude anche in questo caso, alla possibilità del riscatto e del rinascimento personale, come l’acqua permette ai fiori di rinascere, alla stessa maniera opera la Grazia per l’uomo (65).

Come già intuito da Spear questo dipinto vuole rappresentare anche l’Odorato, infatti così il Ripa descrive la sua figura allegorica:

Odorato

”Giovanetto, che nella mano sinistra tenga un vaso e nella destra un mazzo di fiori, con un bracco ai piedi, e sarà vestito di un manto verde, dipinto di rose ed altri fiori. Il vaso significa l’odore artificiale, e il mazzo di fiori il naturale…Si veste di color verde, perchè dalla verdura delle frondi si tolgono i fiori verdi ed odoriferi”.

L’immagine che Caravaggio raffigura in questo dipinto è dunque ancora aderente a quella del  Ripa, alla sua sinistra  vi è un vaso contenente delle rose, mentre la sua mano destra si appoggia su di un mazzo di fiori di cui si vedono i gambi legati insieme, inoltre egli è vestito di un manto verde. Come è accaduto anche per gli altri due dipinti  anche in questo caso il pittore ha fatto riferimento alle immagini create dal perugino e all’iconografia tipica per la loro rappresentazione. Lo vediamo in questa stampa del Collaert che rappresenta l’Odorato (Fig. 23) con una donna che tiene in mano un vaso di fiori, mentre Saenredam-Goltzius (Fig.24) in maniera analoga agli insensati, ci avvertono ancora una volta del pericolo:

 Fig.23 Adriaen Collaert, l’odorato,
Fig.24 Saenredam-Goltzius, l’ Odorato

anche se un giardino fiorito è piacevole al naso, spesso sotto l’odore dolce si nasconde l’amarezza: Quamvis floriferus sit gratus naribus hortus, saepe tamen dulci fel sub odore latet.

Conclusioni

In questa prima parte abbiamo in primo luogo messo in luce attraverso notizie nuove tutta una  serie di relazioni personali che esistevano tra l’ambiente culturale milanese dal quale proveniva il giovane Caravaggio e quello degli Insensati romani con cui il Merisi ebbe importanti contatti.

Abbiamo inoltre approfondito il significato culturale delle ricerche effettuate dagli Insensati e quello degli affiliati alla Accademia della valle di Blenio, in particolar modo ci siamo soffermati sulle idee di Giuliano Goselini. In un secondo tempo siamo passati ad analizzare il significato dei primi dipinti del Caravaggio, verificando l’applicazione di quel linguaggio allegorico che era così caro al Lomazzo e più in generale a tutte le  accademie, infatti esse erano molto  gelose dei loro segreti. Inoltre abbiamo potuto verificare anche l’applicazione dell’importante principio dell’Ut pictura poesis, teorizzato come un aspetto fondamentale nel De pictura dell’Alberti e tenuto in grande considerazione nel Trattato sulla pittura del Lomazzo, questo aspetto non caratterizzerà solo i suoi primi tre quadri ma questo principio-legame verrà mantenuto anche nella realizzazione dei suoi quadri successivi.

A quanto detto occorre poi aggiungere che noi abbiamo la certezza che poesie del tenore di quelle che abbiamo appena fatto menzione circolassero  negli ambienti frequentati dal Caravaggio e fra i suoi amici, dato che nel processo contro Giovanni Baglione fu sequestrato in casa del pittore Orazio Gentileschi, uno stretto amico del Caravaggio, questo componimento poetico :

 Leggiadra (favilla) il tuo candor [.]iglia / delia, cui non adombre oscuro velo / le chiome Febo lampeggiante in cielo / e nera nocte le stellanti ciglia. / La (grancia) aurora candida e vermigliam /che fiammeggiante d’amoroso zelo / stilli su i fior rugiada accolta in gielo / e il volto un ciel sereno à meraviglia / [.] sei vagha fuori, entro sei cruda / porti al viso le rose, al cor le spine / col dolce allecti e con l’amaro pungi /[.] in mia vita al morir. Mia speme al fine / crudel condici, d’armi all’armi aggiungi / sol d’odio armato e di richeze ignudo 

Si rivedono qui le stesse idee che abbiamo appena messo in evidenza durante la nostra analisi: la bellezza delle rose che nasconde le punture delle spine, la dolcezza a cui inevitabilmente seguirà l’amaro, la bellezza delle guance rosa che inducono all’  amore  a cui faranno seguito le ferite della disillusione che lo stesso amore sa infliggere a chi a lui soccombe. Il Gentileschi dice di possederne il testo da circa 8 anni, essendo quindi il processo del 1603, ciò significa che la aveva dal 1595 circa.

Va a Eugenio Battisti l’intuizione ed il merito di aver indicato  per primo la strada da percorrere per individuare le connessioni tra i contenuti morali delle poesie degli Insensati e la pittura caravaggesca (66). Fu Battisti infatti che per primo mise in relazione il  Ragazzo morso dal ramarro con una poesia dell’insensato Giovan Battista Lauri De puero et scorpio”.  In seguito il Salerno sviluppò in maniera più ampia questa idea :

“Gli “Insensati” erano  esponenti del concettismo, come il Murtola ed il Marino, ed anche questi ultimi scrissero versi sui quadri del Caravaggio ( dal quale il  Marino si fece fare un ritratto, perduto) nei dipinti essi lodano sempre la perfetta mimesi e nei loro madrigali cercano di presentare un ‘immagine viva, pittorica e vera, con una sottintesa lezione morale, riassunta in un motto, convinti che la metafora renda più nobile il discorso. Caravaggio sentì l’influsso di questo ambiente dominato dal Ripa e dall’Alciati, ambiente che non avrebbe mai accettato una pittura che rappresentasse la pura realtà quotidiana-anche se non mancavano precedenti nell’antichità- e cercò di nobilitare fortemente i suoi modelli sottintendendo in ogni quadro un motto morale ( spesso nella pittura nordica e nord-italiana il motto figurava in una scritta dipinta sul quadro stesso). Nei quadri giovanili egli alluse, come i poeti, al disinganno dei sensi, alla giovinezza delusa, a motivi eterni di poesia. E’ significativo che queste intenzioni simboliche fossero subito dimenticate e ignorate per secoli, tanto forte e diretta è nel Caravaggio la resa del modello reale.”(67).

Anche un altro specialista del Caravaggio come lo fu il Moir si era indirizzato su questa strada (68)  infatti anche lui suggeriva di utilizzare l‘Iconologia del Ripa e le poesie del Murtola, del Milesi e del Marino per interpretare il significato allegorico dei dipinti del Caravaggio. In effetti come abbiamo visto i testi dell’Alciati e del Ripa, che come sappiamo circolavano nell’ambiente culturale degli Insensati ed anche a Milano, sono stati fondamentali per creare le iconografie di questi dipinti, mentre le idee degli accademici, le loro poesie o i loro emblemi, sono serviti per creare la struttura allegorica di fondo.

Dato il carattere ambizioso del Caravaggio è del tutto naturale pensare che i suoi quadri contenessero un significato morale perché questo li pone nel novero della pittura di genere superiore e cioè quella di storia. La decifrazione appena più sopra esposta ha il pregio di utilizzare poche fonti per spiegare in modo coerente e puntuale il significato di tutti gli elementi iconografici inclusi nei suoi primi dipinti e cosa più importante tutte queste fonti si ritrovano in un un unico alveo, e cioè la cultura della Accademia perugina a cui erano legati tutti i primi clienti del Caravaggio. Se mettiamo a confronto questa spiegazione con l’ ampia varietà delle fonti che sono state richiamate dalla critica per spiegare il significato dei suoi dipinti risulta evidente che  la semplicità di questa la fa diventare anche la più logica, è piuttosto improbabile infatti che il pittore potesse avvalersi di una miriade di fonti e di tante multiformi conoscenze per creare le sue opere.

Occorre in più aggiungere che non vi sono incertezze sul fatto che i primi tre dipinti di Caravaggio formino un gruppo coerente che ha per soggetto i Sensi, dato che tutti e tre seguono le indicazioni date dal Ripa (69) e le iconografia classiche delle stampe a loro dedicate. A questo punto occorre aggiungere che una serie come questa dedicata ai Sensi (e all’inganno che si nasconde dietro di loro) costituisce un argomento di sicuro interesse per gli Insensati.

Una  ulteriore  riflessione sorge poi  spontanea, questa serie di quadri che abbiamo appena visto ed altri che seguiranno come i Bari o la Buona Ventura non hanno praticamente precedenti come soggetti principali di un dipinto,  la prima conseguenza è  che non si tratta di quadri per i quali può risultare facile trovare un’ acquirente soprattutto a Roma, quindi non sono certo soggetti che un giovane pittore squattrinato come era il Caravaggio all’epoca realizzerebbe per  poterli vendere facilmente e velocemente. Infatti così non accadde dato che il Baglione al  riguardo ci informa che

Pur non trovava a farne esito, e darli via, e a mal termine si ridusse senza denari, e pessimamente vestito si, che alcuni galant’huomini della professione, per carità, l’andavano sollevando, infin che Maestro Valentino a S. Luigi de’ Francesi rivenditore di quadri gliene fece dar via alcuni”.

Se il Caravaggio nella loro realizzazione avesse avuto uno scopo di lucro, come sarebbe stato logico aspettarsi da uno squattrinato, sarebbe stato certamente più opportuno ed anche facile per lui dipingere opere che aveva già realizzato: copie di devozione o ritratti di uomini famosi, come quelli dipinti nella bottega di Lorenzo Carli o Antiveduto Grammatica, questi si che potevano essere essere facilmente e proficuamente venduti. I soggetti  dei suoi dipinti invece non sono quelli che ci si aspetta da un pittore che voleva sbarcare il lunario, perchè dunque realizzare delle immagini così anomale e fuori dal consueto ? ( questo infatti è il filo che  lega tutte queste rappresentazioni), è chiaro che per questa anomalia ci deve essere uno scopo e questo scopo non doveva essere il denaro.

Rappresentazioni oggettivamente così inconsuete, che hanno per tema i Sensi e che contengono un avvertimento morale, sono invece gli strumenti ideali per chi ha l’ambizione di entrare nelle grazie degli Insensati a cui appartenevano i più importanti pittori, collezionisti ed uomini di cultura e di potere di Roma, un obiettivo che il Caravaggio alla fine è riuscito ad ottenere, è documentato infatti che egli entrò in relazione con questi potenti insensati, questo fatto ci conferma quale fosse il vero obiettivo  di questi dipinti, il vero scopo per cui furono creati.

La scelta volontaria di  soggetti così particolari  dunque mette a nudo quali erano le sue reali intenzioni, un Ragazzo morso da un ramarro, una Zingara o dei Bari, non avevano mai conquistato l’interesse della scena pittorica romana, questi dipinti dall’ iconografia così innovativa sono invece stati realizzati con lo scopo di proporli ad una clientela ben specifica, a personaggi dai gusti raffinati e cioè per assecondare i gusti degli appartenenti agli Insensati. Infatti all’atto pratico  la sua prima clientela di cui noi siamo a conoscenza  era composta da persone legate a questo circolo : I Vittrici, Crispolti, Maffeo Barberini, i Crescenzi, il Cavalier d’Arpino e secondo ricerche recenti anche il suo protettore più importante il Cardinal Del Monte (70).  Anche Moir nella sua monografia aveva  messo in evidenza i rapporti tra il Caravagggio e l’ Accademia (71) così come fece anche Spezzaferro (72). A questo si deve aggiungere il fatto che i poeti che celebrarono la sua pittura facevano parte degli Insensati o della accademia degli Humoristi, che nacque a Roma da una costola della prima. Diventa sempre più evidente, l’influenza che questa accademia, il suo ambiente  e la trama delle sue relazioni, ebbero sulla prima pittura Caravaggesca, fin dal periodo del Pucci,e cioè fin dagli inizi del soggiorno romano del Merisi.

I  tre dipinti di cui abbiamo finora parlato costituiscono una parte di una serie dedicata ai 5 sensi di cui forse sono andati perdute due tele oppure non sono mai state realizzate. A questo riguardo si può ulteriormente osservare che Secondo il pensiero di Giuliano Goselini (influenzato dalla filosofia tomistica), i tre sensi del, Gusto, Tatto, Olfatto, sono definiti come i Sensi Inferiori, dato che sono legati al mondo corporeo,  e quindi questi tre quadri costituiscono un gruppo coerente ed in sé stesso completo, quello dei Sensi inferiori.   Vista ed Udito  invece formano un altro gruppo quello dei Sensi Superiori perchè dotati di un potenziale valore spirituale.

Passiamo ora ad esaminare i suoi quadri successivi, non senza però aver prima completato la descrizioni che dà il Ripa degli  ultimi due sensi  mancanti.

Viso, uno dei cinque sentimenti

“Giovanetto, che nella destra mano tenga un’ Avoltoio: così lo rappresentano gli Egitij, come racconta oro Apolline e nella sinistra terrà uno specchio, e sotto al braccio, quivi vicino si vedrà uno scudo, ove sia dipinta un’Aquila… Lo specchio dimostra che, che questa nobile qualità non è altro che un apprensione che fa l’occhio nostro, il quale è risplendente come lo Specchio, ovvero diafane, come l’acqua delle forme accidentali visibili de’ corpi naturali, e le riceve se non altrimente, che le riceve lo specchio, porgendolo alla memoria, e alla fantasia,  le quali fanno l’apprensione, se bene molte volte falsa…

Il Ripa nella sua immagine ci avverte della falsità delle apparenze, l’inganno insito nel senso della Vista è ben esemplificato da uno specchio, cio’ che si vede in realtà è solo una immagine  destinata  ben presto a scomparire.

Udito

Donna che suoni il leuto, a canto si farà una cerva.

 Il tipo di inganno a cui è associato il senso dell’udito invece si può riassumere nel piacevole effetto della musica, bellissima ma effimera, non dura che un attimo.

Michele FRAZZI  Parma 22 Ottobre 2023