“La scultura è un raggio di luna”. Il sentiero dell’umano tra memoria e conoscenza nell’opera di Giacomo Manzù.

di Silvana LAZZARINO

A Vercelli la grande retrospettiva dedicata a Giacomo Manzù, dal 10 marzo 2023 negli spazi dell’Arca ed ex chiesa di San Vittore, a cura di Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz.

 L’interesse per l’uomo nella sua completezza di persona dotata di intelletto ed emozioni talora contrastanti, animato da quel sentimento religioso inteso quale richiamo alla fratellanza e alla pace, l’aspetto legato al contesto sociale con i suoi risvolti drammatici e sereni di cui lo stesso individuo è parte, accompagnano il percorso artistico di Giacomo Manzù, fra i più interessanti protagonisti della scultura del Novecento.

A questo straordinario artista (Bergamo 22 dicembre 1908 – Roma 17 gennaio 1991) nato da una famiglia poverissima, dodicesimo di quattordici figli, che in uno stile tra l’antico e il moderno operando anche tra disegno, illustrazione, incisione, compresa la pittura, condensa aspetti del quotidiano e del metafisico, è dedicata un’interessante retrospettiva. “La scultura è un raggio di luna” in programma a Vercelli nelle sedi dell’Arca e dell’ex chiesa di San Vittore a partire dal 10 marzo 2023.

L’abilità acquisita nella lavorazione del legno, passando inizialmente dalle botteghe degli artigiani e l’interesse per l’uso della pietra e dell’argilla approfondite nei corsi di Plastica Decorativa presso la scuola Fantoni di Bergamo, lo spingono poi, giunto a Milano nel 1930, a trovare l’occasione per decorare la Cappella dell’Università Cattolica, lavoro commissionatogli dall’architetto Giovanni Muzio, che lo impegna per due anni. Parallelamente all’incisione, al disegno e alla pittura si dedica alla lavorazione delle sue prime opere in bronzo. Questa dedizione nella lavorazione del bronzo lo porta ad esporre alcuni busti alla Triennale nel 1933 e l’anno seguente nel 1934 è la volta della prima mostra presso la Galleria la Cometa di Roma insieme ad Aligi Sassu.

Giacomo Manzù, Busto di Inge, marmo di Carrara, 1979, 197 x 160 x 61

Il tema sacro viene portato avanti nella sua opera sia per simboleggiare la brutalità del regime fascista e gli orrori della guerra in particolare per le opere riferite alla Crocifissione e alla Deposizione realizzate negli anni Quaranta, sia per parlare di aspetti legati all’esistenza tra fede, pace e motivo della morte.

Accanto a questi sono le nature morte, le rappresentazioni di figure femminili a partire dai ritratti che esaltano la bellezza di Alice Lampugnani con Grande ritratto di signora e di Inge Schabel sua compagna di vita con Busto di Inge. Conosciuta a Salisburgo, Inge oltre ad essere sua compagna di vita è madre dei suoi figli Giulia e Mileto anch’essi ritratti in diversi lavori.

Giacomo Manzù, Busto di Inge, 1979, marmo di Carrara, 197 x 120 x 61 (particolare)

Realizzata dalla Città di Vercelli, Arcidiocesi di Vercelli, Studio Copernico in collaborazione con la Fondazione Manzù, la grande retrospettiva, curata da Marta Concina, Daniele De Luca e Alberto Fiz, trova spazio in diverse sedi: nella ex chiesa di San Marco, prestigioso contenitore interno noto come “ARCA” (adatto a grandi eventi temporanei) e in alcuni spazi della ex chiesa di San Vittore, luogo un tempo religioso e oggi adibito ad esposizioni artistiche. Ad annunciare questo importante evento espositivo in un incontro pubblico accolto dall’Arca è stato l’Avv. Andrea Corsaro che ha sottolineato come questa mostra offra l’occasione di mettere ancor più in luce e far conoscere il patrimonio artistico e culturale di Vercelli. Queste sono state le sue parole a riguardo:

Dopo l’evento dedicato a Francesco Messina, la mostra che oggi viene presentata, costituisce un’ulteriore occasione per riscoprire la grande arte plastica che ha caratterizzato il Novecento italiano facendo di Vercelli la città della scultura”.

Per il percorso espositivo in cui è restituita l’espressività tra rigore e armonia dell’arte plastica di uno dei Maestri più importanti del secolo scorso è stato scelto un titolo con cui Alberto Fiz ha voluto far riferimento ad una celebre citazione di Cesare Brandi “La scultura è un raggio di luna”. Riguardo l’intero corpus di opere di Manzù capace di mettere in relazione attraverso una propria espressività la dimensione classica, naturalistica e fenomenologica, Cesare Brandi così scriveva nel 1983:

la scultura gira con tanti punti di vista autonomi e tutti confluenti in una forma che è aperta e chiusa, e nella sua statica è dinamica per come scorre in se stessa con una fluenza eraclitea in cui non ci si può bagnare due volte”.
Giacomo Manzù, Donna che guarda, 1976, ebano, 252 x 88,5 x 87 cm

Dimensione classica, naturalistica e fenomenologica si coniugano nella sua arte a restituire un nuovo sguardo sull’uomo e il suo destino sospeso tra recupero delle origini e senso dell’atemporalità, materia e spirito alla ricerca di una rinnovata consapevolezza in cui allo stesso uomo è data l’occasione di mostrarsi per come è nella sua fragilità e forza, nei suoi momenti di smarrimento e lucidità, ma anche nella sua capacità di apprezzare la bellezza.

Questi aspetti come quelli prima citati riferiti alla fede e allo spirito, alla ribellione di fronte agli orrori della guerra e dei soprusi, come anche il senso della vita e della morte e il bisogno innato di conoscenza che è nel genere umano, si incontrano lungo il percorso espositivo dove si possono ammirare oltre 30 sculture di cui alcune monumentali e altorilievi.

Giacomo Manzù, Ulisse, 1983, bronzo, 193 x 85 cm

Provenienti dalla Fondazione Manzù, dallo Studio Copernico e da importanti collezionisti privati, compresa una serie di opere su carta, degli anni Quaranta e Cinquanta, le opere esposte abbracciano un arco temporale compreso dagli anni Quaranta sino al 1990 ad esplorare alcuni tra gli aspetti più importanti dell’esperienza umana come l’affidarsi e sperare, il legame con la storia e la memoria e la propria realizzazione a partire dal bisogno di conoscenza. E’ nel 1990, anno precedente la sua scomparsa che Manzù porta a termine la grande scultura di Ulisse l’eterno simbolo della conoscenza.

In mostra accanto all’aspetto morale e cristiano sono i motivi legati alla sua vita di artista alla famiglia e agli affetti espressi ad esempio in: Passi di danza, Pattinatori Strip-tease e gli Amanti, Busto di Inge e Giulia e Mileto in carrozza con il bozzetto in bronzo del 1967 in cui si nota una carrozza arcaica dominata da una grande ruota e poi il tema della natura morta con Sedia con aragosta del 1966.

Giacomo Manzù, Grande Cardinale seduto, 1983, bronzo, 221 x 148 x 113,5

Manzù fa dell’istanza religiosa un punto fondamentale nella sua opera con cui dar voce al suo messaggio di giustizia e uguaglianza. Un viaggio nei misteri dell’esistenza: i miracoli quotidiani, il dramma della morte, gli affetti famigliari diventano allora motivi portanti di un discorso rivolto all’uomo che nella religiosità trova il significato più vero e autentico con cui procedere nella vita.

Il tema religioso vive la sua più alta espressione nelle versioni dei Cardinali in bronzo degli anni Quaranta e in particolare nel Grande Cardinale seduto nell’ex Chiesa di S. Vittore: opera monumentale alta oltre due metri modellata nel 1983 in cui spicca la componente ieratica della figura all’interno di forme rigide e sintetiche assimilabili a piramidi. Il senso del sacro nel suo contenuto più umano è presente nei bassorilievi delle tre porte: la Porta dell’Amore nella chiesa di Salisburgo, la Porta della Morte di San Pietro a Roma e la Porta della Pace e della Guerra nella chiesa di San Laurens a Rotterdam.

Così ha commentato Alberto Fiz:

“Dalla mostra di Vercelli dunque emergono le diverse anime di uno scultore che, senza retorica, si è fatto interprete dell’umanità sapendo cogliere la sacralità profonda anche nel quotidiano: ‘Manzù’, scrive Brandi, ‘è nel suo tempo, fuori dal suo tempo, saldamento ancorato a quei valori eterni che non ha mai dimenticato’”.

La sua ultima grande opera del 1989 è una scultura in bronzo alta sei metri posta di fronte alla sede dell’ONU a New York. Tra i molti riconoscimenti ricevuti vanno citati: il Gran premio di scultura alla Quadriennale di Roma del 1942 per il nudo Francesca Blanc e la medaglia d’oro per la serie dei Cardinali alla Biennale di Venezia del 1948.

Ad Ardea confinante a sud con i comuni di Anzio e Aprilia, sorge il Museo a lui dedicato il Museo Amici di Manzù inaugurato nel 1969 cinque anni dopo il suo trasferimento in una villa nei pressi della città.

Per quanti si trovassero in visita alla mostra di Manzù, potrebbe essere di interesse visitare il centro storico di Vercelli con la nota Piazza Cavour famoso riferimento di numerose manifestazioni cittadine e al cui centro sorge uno dei monumenti più caratteristici della stessa dedicato a Camillo Benso, Conte di Cavour.

Di interesse i musei tra questi citiamo: Il Museo del Tesoro del Duomo, il Museo Leone, il Museo Borgogna, il Museo Civico Archeologico e il Museo del Teatro Civico che offrono un percorso di conoscenza vario e articolato.

Silvana LAZZARINO Roma  5 Marzo 2023

GIACOMO MANZÙ.  “La scultura è un raggio di luna”

cura di Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz

Vercelli, Arca ed ex Chiesa di San Vittore 10 marzo – 21 maggio 2023