La collezione Daneu Tschinke. Tracce di arte culta nell’iconografia popolare siciliana.

di Lisa SCIORTINO

Il carretto siciliano è certamente l’oggetto più noto e caratteristico dell’arte popolare isolana. Mezzo a trazione equina in uso in Sicilia dal XIX secolo fino a metà del Novecento quando fu superato dalla crescente motorizzazione, il carretto è il risultato dell’assemblaggio di diverse varietà di legno intagliato, spesso anche scolpito e dipinto tanto da divenire simbolo folcloristico isolano.

Le necessità logistiche, gli usi, le mode, le tradizioni, hanno fatto sì che il mezzo assumesse caratteristiche diverse a seconda della zona di realizzazione. Se nel palermitano presenta sponde trapezoidali, tinte di fondo gialle, decorazioni prevalentemente geometriche, temi cavallereschi e religiosi, nella Sicilia orientale le sponde sono rettangolari, la tinta di fondo rossa e le decorazioni più sofisticate. Come annota lo stesso Antonio Daneu, storico dell’arte italiano

“la pittura del carretto è caratterizzata dall’uso di colori primari campiti senza ombreggiature, con effetti che ricordano la tarsia, mentre il giallo-cromo puro del fondo fa le veci del fondo oro. Le teste dei personaggi sono sproporzionatamente grosse, gli occhi bovini, i panneggi puramente convenzionali. Eppure, i pittori raggiungono talvolta una certa monumentalità”[1].

I viaggiatori dell’Ottocento non mancarono di annotare nei loro appunti gli incontri con il mezzo siciliano[2], presto status symbol che il padrone esibiva a dimostrazione del proprio censo. La decorazione del carretto, con le sculture e i racconti pittorici di cui si adorna, risponde ad una esigenza diversa di quella del semplice abbellimento dell’umile oggetto d’uso e – per dirla con le parole di Renato Guttuso – “investe il regno della fantasia, la cultura, la leggenda, il melodramma, la storia”[3].

Il suo gusto decorativo si evolse dall’Ottocento al Novecento e, dall’originario strato pittorico con funzione protettiva del legno, si affermò un codice ornamentale composto da elementi geometrici, fitomorfi, simbolici, ripetuti su tutta la superficie del mezzo. Dalla semplice immagine, sommariamente eseguita, si passò alla scena figurata nei quattro scacchi, tanti quanti sono i riquadri delle fiancate del carro. Gesta cavalleresche, racconti mitologici, storici, sacri invasero il mezzo e le matrici iconografiche sono spesso da ricercare nelle numerose pubblicazioni di romanzi storici e nelle stampe variamente diffuse[4] soprattutto di dipinti celebri.

La collezione palermitana Daneu Tschinke, gestita e curata da Anna e Vincenzo Tschinke e di cui ho patrocinato la donazione[5] – in veste di Consulente per la Tutela, Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali di Bagheria – al Museo Guttuso consentendo l’incremento dei manufatti in esposizione, trova idonea collocazione in una città culla della produzione del carretto siciliano. Basti citare le botteghe locali dei carradori Tommaso Sciortino, Giovanni e Stefano Accomando, Rosario Buttitta, Paolo Sciortino, e quelle dei pittori Luigi Ficano, Giulio Canadese, Giuseppe Manfrè, Emilio Murdolo, Calogero Ducato e dei fratelli Ducato, oggi portata avanti unicamente da Michele.

La famiglia Daneu, collezionista e commerciante d’arte, dall’acuta sensibilità a recuperare, custodire e tramandare il patrimonio artistico ed etnoantropologico che circolava nel negozio di antiquariato, ha messo su, nel tempo, una eccezionale raccolta di manufatti concernenti il carretto siciliano. Scrive Alessandra Lavagnino

“Vincenzo Daneu era un commerciante, e se fu antiquario lo fu con intelligenza e distacco, carpendo il momento e il luogo favorevoli, conoscendo egli gli uomini e le passioni degli uomini[6].

E continua:

“Il lavoro Daneu dei primi anni s’era sviluppato proprio grazie alla carenza di distribuzione commerciale in Europa e nel mondo, e al giovane perfetto servizio postale. Allora i clienti erano stati medici francesi, inglesi d’ogni estrazione ma soprattutto tedeschi. (…) I Daneu comperavano e vendevano di tutto: maioliche, ricami, pezzi scolpiti e dipinti di carretti – arte popolare che Vincenzo Daneu aveva valorizzato per primo – mobili antichi, oggetti di scavo; e quadri, tappeti merletti (…)[7].

Negli anni Venti del Novecento

“Nel negozio di Palazzo Santa Ninfa c’erano mobili, oggetti di scavo, monete antiche, pezzi di carretto e i carrettini interi, nuovi, di giusta misura per essere tirati da piccoli forti asinelli sardegnoli: così li usavano i venditori ambulanti di verdure e frutta (…) un carretto, completo di asino vivo, lire cinquemila[8].

La donazione della collezione è indice della marcata sensibilità filantropica che ha spinto Anna e Vincenzo Tschinke a considerare la propria raccolta come bene comune e fonte di formazione e crescita culturale.

La collezione è caratterizzata dalla assoluta varietà dei manufatti, dalla molteplicità delle decorazioni, dalla pluralità di modelli. Collezionare significa, peraltro, imparare, accrescere le proprie esperienze, raccogliere e serbare qualcosa del passato che viene fermato nel presente e consegnato al futuro. Superata da tempo l’idea che il collezionista sia una figura isolata nel proprio mondo di ricordi, compiaciuto dei vari ritrovamenti custoditi gelosamente solo per se stesso, questa donazione al pubblico è testimonianza di come il collezionismo sia stato nel tempo generatore di cultura.

La collezione Daneu Tschinke, patrimonio meticolosamente custodito in una sorta di grande Wunderkammern dedicata al carretto siciliano in cui la meraviglia è insita proprio nell’oggetto, si presenta ibrida, ricca e molto interessante per la diversità di manufatti, per la pluralità di tematiche iconografiche raffigurate, per la diversificazione di pitture e sculture, per varietà di botteghe. Tutto pressoché inedito.

Decorazioni, splendide figurazioni e narrazioni pittoriche sulle fiancate, magici intagli sui bordi delle opere, prodigi di maestria nei ferri battuti, questo e molto altro impreziosisce la raccolta.

Con entusiasta lungimiranza nei confronti del carretto siciliano, la famiglia Daneu commerciò[9] e collezionò i manufatti offrendo uno spaccato di laboratori pittorici isolani che riuniscono insieme i Ducato (dal capostipite Michele ai figli Domenico, Onofrio, Giovanni e Giuseppe), Barnaba Cronio e il figlio Giovan Battista, Francesco Arnao, Nunzio Pellegrino, Corrado Saporito.

Le iconografie, intagliate o dipinte, sono le più diverse: scene della vita di Cristo, scene della vita di Maria, Santi e Martiri, miracoli e devozioni, racconti dell’Antico Testamento, scontri di crociati, Carlo Magno e la sua corte, scene mitologiche e di vita agreste, storia romana con Antonio e Cleopatra, imprese di Giuseppe Garibaldi e delle giubbe rosse, vicissitudini della Prima Guerra Mondiale, storia fascista, scene tratte da opere teatrali. Le immagini raffigurate sui carri non erano soltanto da guardare, ma anche da leggere e ascoltare perché includevano le voci dei cantastorie, restituivano il suono delle loro recite, riproducevano gesti e movenze dei personaggi narrati. Nessuna necessità meramente decorativa muoveva le scelte tematiche che prendevano il via soprattutto da un’esigenza narrativa. Le scene principali erano poi affiancate da una miriade di piccoli componenti ornamentali vari, primo fra tutti l’angelo, elemento d’unione con il soprannaturale, collocato non a caso su mensole, stanghe, raggi proprio a protezione dei punti cruciali del carretto. Il cavallo, simbolo di forza, di coraggio, di vigore è invece raffigurato in diverse varianti così come il canestro di fiori e frutta è la rilettura della cornucopia, pure rappresentata e segno di abbondanza.

La collezione Daneu Tschinke conta diverse decine di pizzi, sezione centrale della cassa d’asse, scolpiti con le tematiche più varie e che costituiscono il nucleo più corposo della raccolta.

Quando scomparvero dalle sponde sostituiti dai paladini del mito cavalleresco, i Santi rimasero scolpiti su chiavi e soprattutto sui pizzi, con la loro funzione apotropaica, nascosti sotto la cassa del carro, tra le mensole che la sostengono fra le ruote, come una specie di piccolissimo santuario. I temi a carattere sacro sono molto diffusi nella tradizione figurativa popolare siciliana perché rispondono alla umana necessità di concretizzare la dimensione religiosa. La raffigurazione sacra nel carretto siciliano, considerata anche l’esiguità dello spazio nel pizzo, si riduce all’essenziale. Tra i tanti della ricca raccolta, alcuni meritano particolare attenzione. Quelli, ad esempio, di devozione mariana in cui la Vergine viene raffigurata con i diversi titoli con cui è appellata: Addolorata, Madonna del Monte Carmelo, Madonna dell’Itria, Madonna del Lume, Madonna delle Grazie, Madonna delle Anime Purganti (Fig. 1 a-b-c-d).

1a Pizzo con Madonna del Lume
1b Pizzo con Madonna del Monte Carmelo
1c-Pizzo con Madonna dellItria
1d Pizzo con Madonna delle Anime Purganti

Le acqueforti diffuse nel XVII, XVIII e XIX secolo sono certamente fonte di ispirazione soprattutto per le iconografie della Mater Pietatis intagliata sui pizzi, di cui la collezione conta diversi esemplari (Fig. 2), o della Eleusa o ancora della Virgo lactans[10].

2. Autore siciliano, Pizzo con Pietà e croce, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

Interessanti sono gli elementi intagliati con immagini legate al culto di Santa Rosalia tratte da stampe diffuse nella devozione locale (Fig. 3).

3. Autore palermitano, Pizzo con Santa Rosalia e il cacciatore, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

La leggenda narra che un giorno, sul monte Pellegrino, Rosalia apparve al cacciatore Vincenzo Bonello, smarritosi a causa di un temporale. La Santa gli riferì di avvertire l’Arcivescovo di Palermo che in una grotta, dove era vissuta da eremita, si trovavano i suoi resti mortali. Il Cardinale Doria si recò nel luogo indicato dalla Santa e, recuperate le reliquie, queste furono portate in città in processione il 15 luglio del 1624. Giuseppe Pitré descrisse così l’evento:

“Al loro passaggio [delle reliquie, cioè] il male si alleggeriva, diventava meno intenso, perdeva la sua gravità. Palermo in breve fu libera, ed in attestato di riconoscenza a tanto beneficio si votò a Lei e prese a celebrare in suo onore feste annuali che ricordassero i giorni della liberazione e fossero come il trionfo della Santa protettrice. La grotta del Pellegrino divenne santuario, ove la pietà d’ogni buon devoto si ridusse a venerare la squisita immagine della Patrona”[11] (Fig. 4).
4. Autore di ambito palermitano, Parte di cassa d’asse con Santa Rosalia e il cacciatore, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

L’effigie scolpita di San Giorgio a cavallo che uccide il drago si trova spesso a proteggere l’asse delle ruote[12], “pezzo vitale, vero cuore del carro, scolpito nel legno più duro e stagionato[13], a tutela del punto di maggiore carico, peraltro sollecitato dagli scossoni avvertiti dall’incedere per le strade disconnesse. Nella collezione Daneu Tschinke, il Santo cavaliere che trafigge il rettile verde è più volte presente con lo stesso modulo figurativo che finisce con il ripetersi quasi sempre uguale, nel rinnovarsi di una perseverante memoria iconografia (Fig. 5).

5. Autore della Sicilia occidentale, Pizzo con San Giorgio e il drago e la principessa nel castello, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

La leggenda narra che Giorgio fosse un nobile cavaliere cristiano errante, originario della Cappadocia che giunse un giorno nel regno di Silene, in Cirenaica, funestato dalla presenza di un terribile drago la cui forza distruttrice poteva essere contenuta solo da sacrifici umani. Fu proprio il soldato di Cristo a salvare dalle fauci del mostro la figlia del re e, come ricompensa, chiese che tutto il popolo si convertisse. Il racconto di San Giorgio esemplifica la lotta del bene contro il male, personificato dal mostro, sul modello della battaglia condotta, ad esempio, dall’Arcangelo Michele o da Santa Rosalia, entrambi non a caso presenti sui pizzi della collezione (Fig. 6).

6. Autore palermitano, Pizzo con San Michele Arcangelo, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

Alcune iconografie fanno riferimento a fonti di origine culta il più delle volte mediate da stampe popolari. Il Pizzo con Sposalizio di Giuseppe e Maria (Fig. 7), di autore palermitano della prima metà del XX secolo, è scolpito con la celebre scena delle nozze tra la Vergine e San Giuseppe resa nota da diversi dipinti, tra cui quello su tavola firmato da Raffaello Sanzio nel 1504, realizzato per la chiesa di San Francesco a Città di Castello e oggi custodito presso la Pinacoteca di Brera a Milano, una delle opere più celebri dell’artista.

7. Autore palermitano, Pizzo con Sposalizio di Giuseppe e Maria, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo

Tale iconografia verrà ripresa e diffusa anche dalla pittura su vetro come si vede, ad esempio, nei dipinti ottocenteschi delle collezioni Amoroso, Raspa e Restivo di Palermo[14].

Il Pizzo con Strage degli Innocenti (Fig. 8 a-b) rievoca una porzione della tavola dal medesimo tema dipinta da Daniele da Volterra per la chiesa di San Pietro in Selci e oggi esposta agli Uffizi. Il crudele evento narrato dalle Scritture è collocabile nel momento in cui la Sacra Famiglia si sposta verso l’Egitto per scampare al massacro.


8a. Autore di ambito palermitano, Pizzo con Strage degli innocenti, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.
8b Daniele da Volterra, Strage degli innocenti, olio su tavola, 1557, Firenze, Galleria degli Uffizi

La scena, incorniciata da drappi, presenta un uomo armato di pugnale che si avventa su una madre che prova a difendere il figlio con il proprio corpo.

Il Pizzo con Discesa di Cristo dalla Croce (Fig. 9 a-b) è citazione della sezione centrale dell’omonimo trittico di Pieter Paul Rubens, realizzato tra il 1611 e il 1614 e custodito presso la Cattedrale di Anversa.

9a. Autore di ambito palermitano, Pizzo con Discesa di Cristo dalla croce, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.
9b Pieter Paul Rubens, Deposizione, olio su tavola, 1611-1614, Anversa, Cattedrale.

In alto, due uomini hanno appena tolto i chiodi che ancoravano le mani del Messia al legno della croce. Uno dei due, a sinistra, trattiene un lembo del lenzuolo e guida la discesa del Corpo. L’uomo di destra, invece, tiene saldamente il braccio sinistro di Gesù. Cristo presenta il braccio destro abbandonato e la testa che ricade inerte sulla spalla mentre l’intero corpo è sostenuto Giovanni, in basso a destra della scena. Il giovane apostolo indossa una lunga veste rossa. La Vergine, a sinistra del gruppo, sfiora disperata il Figlio martoriato affiancata dalla Maddalena. A metà delle alte scale si trovano Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea che sostengono la deposizione del corpo. Una affine iconografia, sebbene più popolare e semplificata, si riscontra nel vetro dipinto della collezione Cardaci di Palermo[15].

La Crocifissione di San Pietro dipinta da Guido Reni nel 1605 su commissione del cardinale Pietro Aldobrandini per la chiesa di San Paolo alle Tre Fontane a Roma, oggi nella Pinacoteca Vaticana, è fonte di ispirazione per l’omonimo pizzo della collezione Daneu Tschinke (Fig. 10 a-b).

10a. Autore palermitano, Pizzo con Crocifissione di San Pietro, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.
10b Guido Reni, Crocifissione di San Pietro, olio su tela, 1605, Musei Vaticani.

La croce, con Pietro già inchiodato ai piedi e cinto ai fianchi da un panno bianco, è capovolta per sua stessa volontà, a rimarcare l’inferiorità nei confronti di Cristo pure crocifisso. Il Santo rivolge un ultimo sguardo verso la vita che sta per lasciare mentre due personaggi (nel citato dipinto sono tre) issano in verticale l’uomo. La scena è inserita tra una coppia di colonne collegate da una struttura arcuata quasi trilobata su cui, lateralmente, trovano posto due profili di testine alate. Al centro, una serie fitta di raggi, indice di sacralità, cala sul martirio. Ancora a Guido Reni si ispira il Pizzo con San Michele Arcangelo (Fig. 11 a-b) che ricorda il quadro raffigurante il comandante dell’esercito celeste realizzato dall’artista bolognese nel 1635 per la Chiesa dei Cappuccini a Roma.

11a. Autore siciliano, Pizzo con San Michele Arcangelo, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.
11b Guido Reni, San Michele 11b Arcangelo, olio su tela, 1635, Roma, chiesa dei Cappuccini.

Il manufatto mostra il soldato celeste, avvolto in morbidi panneggi e impegnato nella lotta contro il Male, raffigurato come un giovinetto che, con la spada sguainata, respinge all’inferno un irritato diavolo, di cui calpesta il capo con il piede e che trattiene con delle catene.

Dal dipinto Decollazione del Battista di Andrea Semino del 1560 circa, conservato presso i Musei di Strada Nuova di Genova, è tratta l’iconografia del Pizzo con Salomè e decollazione di San Giovanni Battista (Fig. 12 a-b),

12a Autore palermitano, Pizzo con Salomè e decollazione di San Giovanni Battista, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.
12b Andrea Semino, Decollazione del Battista, olio su tela, 1560, Genova, Musei di Strada Nuova.

ultimo episodio della vita del Protomartire in cui lo sgherro, che lo ha appena decapitato, pone la testa sul piatto retto da Salomè, figliastra di Erode Antipa, contro cui il Battista si era scagliato durante le sue predicazioni. Il corpo del Santo è riverso a terra, con i fiotti di sangue che ancora fuoriescono dal collo ad indicare che l’uccisione è appena avvenuta

Oltre ai pizzi e alle casse d’asse, la collezione Daneu Tschinke conta diverse chiavi di carretto. La chiave, di norma, costituisce il lavoro di maggiore importanza dell’intagliatore ed è situata in corrispondenza dello sportello, come raccordo delle estremità posteriori delle aste. Al centro dell’elegante sagoma, l’intagliatore scolpisce a basso o alto rilievo ma anche a tutto tondo. La scena può rievocare la stessa storia narrata sulle sponde con una decorazione en pendant: racconti cavallereschi, eventi storici, miracoli, episodi biblici, fatti mitologici. Scrive in proposito Lo Presti:

“Innumerevoli e affascinanti sono gli argomenti trattati dall’artista e in tutti (…) al vigore del disegno e alla fiera bellezza dei tipi, si accompagna un forte effetto di chiaroscuro che (…) rivela spesse volte una libera e geniale interpretazione di elementi strutturali che sono propri della vera arte. Eppure, come nota il Maganuco, ’u sculturi di carretti non ha nulla che risenta lontanamente di scuola intesa nel senso aulico o accademico della parola; ha, al contrario, una visione violenta e primitiva dei corpi, della mimica facciale e dello scendere dei drappeggi; non di rado è manierato e pedissequo, e tuttavia le sue creazioni acquistano un vivo sapore di originalità[16].

Tra le chiavi posteriori della collezione Daneu Tschinke, una è scolpita con l’Incoronazione di Carlo Magno (Fig. 13 a-b).

13a Bottega Cronio, Parte di chiave posteriore con Incoronazione di Carlo Magno, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.
13b Emilio Murdolo, Incoronazione di Carlo Magno, matita su carta, s.d., Bagheria, collezione privata.

Un corteo di uomini in armature e vessilli assiste al solenne evento, celebrato nell’antica Basilica di San Pietro in Vaticano, in cui il Pontefice Leone III pone la corona sul capo di Carlo. L’imperatore è genuflesso, in dignitosa umiltà e con le mani giunte. Una coppia di paggi regge il mantello. L’altare alle spalle del Papa e gli archi a tutto sesto poggianti su policrome colonne definiscono l’ambiente. L’iconografia è simile a quella realizzata da Emilio Murdolo per un disegno destinato alla pittura del carretto[17] nonché all’ornato di una parte di sponda presente in collezione dipinta da Vincenzo Cardinale (Fig. 14).

14. Vincenzo Cardinale, Parte di sponda con Incoronazione di Carlo Magno, legno dipinto, metà XX secolo.

Il manufatto reca sul verso l’iscrizione CRONIO, firma della bottega palermitana di Barnaba e del figlio Giovan Battista, nato a Palermo nel 1899, che rappresenta una pietra miliare della pittura folcloristica locale e le sue opere sono esposte in alcuni musei dell’isola. Dopo il liceo, scelse di proseguire gli studi all’Accademia di Belle Arti e intanto lavorò con il padre nella bottega di Corso dei Mille nel capoluogo siciliano. Alcuni dei loro lavori vennero pubblicati ne I Beati Paoli di Luigi Natoli, sulla cui copertina è un’opera di Barnaba. Giovan Battista fu invitato per un periodo di tempo a Villa Airoldi come pittore di famiglia rinsaldando in tal modo, oltre alle capacità di pittore di carri, anche quelle di ritrattista e paesaggista.

Curioso è l’intaglio su chiave tratto da I mafiusi di la Vicaria (Fig. 15), un’opera teatrale in siciliano scritta nel 1863 da Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca e ambientata nelle Grandi Prigioni di Palermo.

15. Autore di ambito catanese, Parte di chiave posteriore con scena da “I mafiusi di la Vicaria”, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

Nata come una serie di scenette destinate ad essere rappresentate nei teatrini popolari del capoluogo isolano, fu poi rivista e i singoli racconti furono trasformati in una commedia in tre atti, che godette di notevole fortuna: nel 1875 si registrarono oltre trecento repliche nella sola Palermo, dopo che l’opera venne rappresentata con discreto successo in quasi tutte le maggiori città italiane. Rizzotto non coniò ex novo il termine mafia, che veniva già adoperato nei quartieri popolari di Palermo. L’etnologo Giuseppe Pitrè, classe 1841, precisò che il vocabolo veniva usato correntemente durante la sua fanciullezza:

“La voce mafia all’epoca valeva bellezza, grandiosità, sicurtà d’animo ed in eccesso di questa, baldezza, ma non mai braveria in cattivo senso, non mai arroganza, non mai tracotanza. L’uomo di mafia o mafioso, intesi in questo senso ottocentesco, non dovrebbe metter paura a nessuno perché pochi quanto lui sono creanzati e rispettosi[18].

Di elegante fattura è la chiave, scolpita da maestro della Sicilia orientale della prima metà del XX secolo, la cui iscrizione [in]vece egli giace infame e sulle sue ceneri passerà la maledizione del traditore della patria si riferisce alla scena scolpita ed è tratta da Ettore Fieramosca, il romanzo storico di Massimo D’Azeglio del 1833 sui fatti della Disfida di Barletta. I personaggi, realizzati con solchi che da lievi diventano a tutto tondo, creano chiaroscuri necessari alla resa drammatica della narrazione (Fig. 16).

16. Autore della Sicilia orientale, Chiave posteriore con maledizione del traditore, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

Raro è rintracciare su una chiave di carretto la raffigurazione della Fuga del Negus (Fig. 17) che racconta la storia di Hailé Selassié, ultimo imperatore d’Etiopia.

17. Autore di ambito palermitano, Chiave posteriore con fuga del Negus, legno intagliato, scolpito e dipinto, 1942

Quando nel 1936 l’Impero fu occupato dall’Italia fascista, il Negus scelse l’esilio volontario. Poté rientrare in patria solo nel 1941 quando le potenze alleate liberarono il suo regno. Al centro, un baldacchino incornicia un trono lasciato vacante proprio dal Negus che, accompagnato da un uomo di colore con orecchino al lobo e gonnellino di paglia, si allontana con la valigia in mano, spinto via da un babuino e da un coccodrillo con le fauci spalancate. A sinistra, un soldato si appoggia al fascio littorio e due uomini di colore si prostrano in adorazione.

La chiave scolpita con l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme (Fig. 18) è decurtata ai lati e la curvatura in basso è segnata dalle rocce che incorniciano la scena.

18. Autore siciliano, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, legno intagliato, scolpito e dipinto, prima metà XX secolo.

Il manufatto narra l’evento della vita di Cristo descritto da tutti Vangeli che precede di alcuni giorni l’inizio della Passione. Gesù benedicente entra nella Città Santa in groppa ad un asino ed è accompagnato da una folla festante che lo acclama e che si prostra al Suo passaggio. A sinistra sono le alte mura fortificate e l’ingresso turrito di Gerusalemme; alle estremità, due alberi segnano i limiti della scena. Scrive Antonio Daneu che le immagini che illustrano episodi del Vangelo

“non hanno alcun riscontro con qualsiasi pittura aulica o popolare che sia, del tempo, e bisogna veramente domandarsi, dato che un’arte esercitata da molte mani, che pure hanno qualcosa in comune, non può nascere dal nulla quale preparazione avessero questi pittori[19].

In collezione sono anche una serie di sponde o parti di esse, decurtate e rifilate, già fianchi laterali del carretto e per questo destinati ad ospitare la pittura di maggior rilievo. Generalmente circondate dalla pizziata, ovvero dai segni ripetuti e affiancati sul legno realizzati con la sgorbia, le sponde sono completate da intagli e dai pioli, barruna pure pizziati, scolpiti e torniti, che raccordano il pannello al pianale del carro.

Dall’analisi dei manufatti Daneu Tschinke non è difficile ipotizzare che alcune parti di sponde siano compatibili tra loro e facessero parte della stessa fiancata o, al più, dello stesso carretto. È il caso della parte di sponda con scena di battaglia, realizzata a metà del Novecento da Domenico Ducato, figlio di Michele, con uno scontro bellico dipinto, simile al disegno preparatorio per sponda realizzato da Emilio Murdolo[20] (Fig. 19 a-b).

19a. Domenico Ducato, Parte di sponda con scena di battaglia, legno intagliato e dipinto, metà XX secolo.
19 b Emilio Murdolo, Scena di battaglia, matita su carta, s.d., Bagheria, collezione privata.

Tale pannello parrebbe essere parte complementare di un’altra parte di sponda della collezione istoriata con la Battaglia di Legnano, tratta dall’omonima opera di Amos Cassioli, realizzata nel 1860 e custodita presso la Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze. Tra i due elementi si riscontrano, infatti, affinità cromatiche, pittoriche, di intaglio e di fratture del legno (Fig. 20 a-b).

20a. Domenico Ducato (attr.), Parte di sponda con Battaglia di Legnano, legno intagliato e dipinto, metà XX secolo.
20b Amos Cassioli, Battaglia di Legnano, olio su tela, 1860, Firenze, Palazzo Pitti

Un’altra parte di sponda, rifilata su tutti i lati per essere trasformata in pannello da parete, è invece istoriata con un momento della guerra franco-prussiana intitolato Batteria, appena leggibile in basso. Alte mura, edifici e boschi fanno da cornice alla scena in cui decine di soldati, tra fanteria e cavalleria, muovono in battaglia con l’ausilio di cannoni. Scrive Antonio Daneu

“in alto nel cielo, (…) circondata da convenzionali anelli ondulati (…) che qui assumono (…) funzione di aureola, appare la vittoria, anzi la ‘La Gloire’ che regge in una mano la spada e nell’altra il serto di alloro”[21].

L’iconografia, identica a quella riscontrata su un disegno di Emilio Murdolo[22], è tratta dalle diffuse stampe colorate di qualche serie popolare non meglio identificata di images d’Epinal (Fig. 21 a-b).

21a. Autore siciliano, Parte di sponda con guerra franco-prussiana Batteria, legno dipinto, metà XX secolo.
21b. Emilio Murdolo, Scena da guerra franco-prussiana, matita su carta, s.d., Bagheria, collezione privata.

Pure questo manufatto potrebbe essere letto en pendant con una parte di sponda della collezione, istoriata con un’altra scena della guerra franco-prussiana. Qui, annota ancora Daneu, “nuvole multicolori, a ondulazioni concentriche, simboleggiano gli scoppi degli shrapnells sopra le teste dei soldati, ridotte a serrati e imperturbabili ranghi di rossi quadratini, dalle pupille a testa di spillo, e dai baffi di fil di ferro”[23]. Anche in questo caso, l’iconografia è comparabile con una coppia di disegni realizzati da Emilio Murdolo[24] (Fig. 22 a-b).

 22a. Autore siciliano, Parte di sponda con guerra franco-prussiana, legno dipinto, metà XX secolo.
22b Emilio Murdolo, En batterie. Guerra franco-prussiana, matita su carta, s.d., Bagheria, collezione privata.

La porzione di sponda decorata con l’Adorazione dei Magi per affinità cromatiche, tematiche e iconografiche potrebbe fare coppia con la parte di sponda presente in collezione Daneu Tschinke dipinta con Gesù tra i Dottori del tempio. A proposito dello stato conservativo dei materiali, mediocre nei manufatti appena citati, scrive Antonio Billeci:

“Il carrettiere cura il carro fino a quando non interviene il suo brutale modo di agire e lo usa come la sua mentalità di primitivo gli suggerisce. Spesso lo lava abbondantemente con l’acqua della fontana servendosi di una catinella. Il tempo poi agisce per suo conto, dando sovente al dipinto un valore che all’origine non aveva il colore screpolato dà ad una ‘prussiana’ (…) la preziosità di un mosaico. L’uso fa scomparire alcuni colori e mette in evidenza il disegno, dando sovente al quadro un aspetto bizantineggiante. Scompaiono alcuni colori e altri, nel quasi grigiore dello sfondo, assumono tonalità tutte particolari. Spesso la materia del colore si impreziosisce[25].

Allo stesso modo, le due sponde istoriate con quattro scene tratte da eventi della guerra russo-giapponese, entrambe dipinte da Francesco Arnao nel 1928 presso la sua bottega di Santa Flavia, potrebbero essere fiancate dello stesso carretto (Fig. 23 a-b).

23. Francesco Arnao, Sponde con Guerra russo-giapponese, legno intagliato e dipinto, 1928.

La collezione Daneu Tschinke conta anche un pannello, di forma trapezoidale e completato alle estremità da pioli scolpiti e pizziati a emulazione di una sponda di carretto, istoriato con la Battaglia di Ponte Ammiraglio ispirata alla grande tela di Renato Guttuso, realizzata tra il 1951 e il 1952 e custodita agli Uffizi (Fig. 24).

24. Bottega Ducato, Pannello con Battaglia di Ponte Ammiraglio di Renato Guttuso, legno intagliato, scolpito e dipinto, 1954.

Nella piana di Ponte dell’Ammiraglio a Palermo, il cui ampio golfo fa da sfondo al dipinto, irrompe a cavallo di un destriero, in camicia rossa, poncho al collo, bandiera tricolore e spada sguainata, Giuseppe Garibaldi al comando di uno scelto drappello di impavidi soldati. Il pannello, datato 1954, fu realizzato dalla bottega dei Fratelli Ducato a Bagheria, i quali più volte si cimenteranno in questa raffigurazione tanto da invogliare lo stesso Guttuso a firmare una delle sponde di carretto dipinta con la celebre scena risorgimentale, conservata presso la collezione Domenico Galioto di Bagheria[26].

Lisa SCIORTINO  Catania 3 Marzo 2024

NOTE

[1] A. Daneu, Pinacoteca ambulante per il popolo. Le pitture dei carretti siciliani, in “Sicilia del popolo”, 26 marzo 1950.
[2] G. de Nervo, Un tour en Sicile, Parigi 1834; E. Reclus, La Sicilia e l’eruzione dell’Etna nel 1865, in F. Bourquelot, E. Reclus, La Sicilia, Milano 1873; G. de Maupassant, La Vie Errante, Parigi 1890.
[3] R. Guttuso, Premessa, in Forma e colore del carretto siciliano: i Fratelli Ducato, Bagheria 1978, p. 3.
[4] L. Sciortino, Emilio Murdolo. Temi iconografici nell’arte popolare siciliana, Palermo 2022.
[5] Nota indirizzata al Sindaco di Bagheria prot. n 140 del 03/01/2022. Ringrazio i collezionisti per l’invito a patrocinare questo importante progetto.
[6] A. Lavagnino, I Daneu. Una famiglia di antiquari, Palermo 2003, p. 74.
[7] A. Lavagnino, I Daneu…, 2003, pp. 131-133.
[8] A. Lavagnino, I Daneu…, 2003, p. 170.
[9] “Dopo la grande guerra, il cliente doveva pagare una ‘tassa oggetti di lusso’ del 10%; e nei libri troviamo: carrettini a lire 5, pezzi di carretto a 15 e 25 lire”, A. Lavagnino, I Daneu…, 2003, p. 136.
[10] Cfr. L. Sciortino, La raffigurazione dalla Virgo Lactans al Museo Diocesano di Monreale, in Rivista settimanale “AboutArt online” diretta da P. Di Loreto, marzo 2024.
[11] G. Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Palermo 1900, pp. 6-7.
[12] Cfr. L. Sciortino, Il carretto siciliano nella collezione di Domenico Galioto, in corso di stampa.
[13] A. Daneu, Pittura e scultura nel carretto siciliano, in “Le Vie d’Italia”, LVII, 3, 1951 p. 334. Cfr. pure A. Cusumano, I temi, in Arte popolare in Sicilia le tecniche i temi i simboli, catalogo della mostra a cura di G. D’Agostino, Palermo 1991, p. 108.
[14] A. Buttitta, La pittura su vetro, Palermo 1972, pp. 55-59-60.
[15] A. Buttitta, La pittura…, 1972, p. 58.
[16] S. Lo Presti, Il carretto, Palermo 1959, pp. 30-31; E. Maganuco, La decorazione dei carri e delle barche in Sicilia, con aggiunte varie sull’arte popolaresca, Catania 1944, p. 16.
[17] L. Sciortino, Emilio Murdolo…, 2022, p. 60.
[18] G. Pitrè, Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo 1889, vol. II, p. 287 e sgg.
[19] A. Daneu, Pinacoteca…, in “Sicilia del popolo”, 26 marzo 1950.
[20] L. Sciortino, Emilio Murdolo…, 2022, p. 93.
[21] A. Daneu, Pinacoteca…, in “Sicilia del popolo”, 26 marzo 1950.
[22]L. Sciortino, Emilio Murdolo…, 2022, p. 265.
[23] A. Daneu, Pinacoteca…, in “Sicilia del popolo”, 26 marzo 1950.
[24] L. Sciortino, Emilio Murdolo…, 2022, p. 263.
[25]A. Billeci, La pittura dei “masciddara”, Palermo 1964, p. 10.
[26]L. Sciortino, Il carretto…, in corso di stampa.