Il Ciclo della Vita: una mostra medico-archeologica al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

di Nica FIORI (Foto di Francesca Licordari)

“Come la vite al palo, /mi appoggio al mio bastone. Ecco, mi chiama / nell’Ade la morte…”

Non c’è vita senza morte, come ha mirabilmente espresso Leonida di Taranto nei versi di un suo epigramma, eppure la trasmissione della vita, che si realizza con la riproduzione, n on è poi così dissimile dall’idea dell’immortalità, intesa come continuità della specie. La vita con i suoi passaggi basilari, dalla nascita alla sua conclusione, e allo stesso tempo l’aspirazione a una rinascita sono sempre stati al centro delle considerazioni filosofiche e sociali dell’umanità. Mentre i Greci e i Romani ci hanno lasciato vari scritti sull’argomento, non è così per gli Etruschi, ma i ritrovamenti archeologici testimoniano l’importanza che veniva data ai momenti di transizione fisiologica nell’uomo e nella donna, che erano posti sotto una tutela divina e sanciti da riti e cerimonie. Questo tema di grande interesse scientifico, storico e archeologico viene trattato nella mostra “Il ciclo della vita. Nascere e rinascere in Etruria” ospitata nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, diretto da Valentino Nizzo, dal 13 giugno al 6 ottobre 2019.

A distanza di un anno dall’interessante mostra sulla sirenomelia e altre malformazioni nel mondo antico (v. https://www.aboutartonline.com/indagine-sulla-sirena-medicina-archeologia-e-mito-al-museo-etrusco-di-villa-giulia-in-una-mostra-sulle-misteriose-creature-narrate-da-omero/) , la Fondazione “San Camillo – Forlanini”di Roma, e il Polo Museale de la Sapienza – Università di Roma hanno collaborato con il museo ospitante per realizzare questa esposizione interdisciplinare, che mette insieme materiali archeologici conservati a Villa Giulia con strumenti tecnici e didattici del Museo di Storia della Medicina della Sapienza. L’intento è quello di evidenziare i passaggi da una fase all’altra della vita e le diversità di approccio tra il mondo antico e quello moderno, fino alla contemporaneità, che si prefigge un allungamento, forse esagerato, della vita.

Di grande aiuto, per una maggiore comprensione degli argomenti trattati, sono i grandi cartelloni, in italiano e inglese, con immagini che si aggiungono ai reperti in mostra.

Nella prima sala espositiva (quella cinquecentesca dei Sette Colli) vediamo come il passaggio dall’infanzia all’età adulta è scandito nel mondo antico da riti che preparano i giovani di entrambi i sessi ad assumere il ruolo di adulti. Per le donne il primo momento importante è quello del menarca, cui seguirà dopo qualche anno il matrimonio, ovvero la vita sessuale e il parto. Riguardo alle mestruazioni, scopriamo che erano definite in greco katarsis, che vuol dire purificazione, perché si riteneva che il corpo femminile, una volta giunto a maturità, espellesse all’esterno gli eccessi dell’umidità accumulata, consentendo così al corpo stesso di mantenersi in equilibrio. In Grecia è Artemide Limnatis (dea delle paludi) che presiede al momento di trasformazione in donna e nel mondo etrusco-italico Luna o un’altra divinità lunare (per via della stessa durata del ciclo mensile e di quello lunare): a queste dee le fanciulle portavano in dono le loro bambole, prima di affidarsi alla protezione di Afrodite, Era, e Persefone, che presiedevano invece alla loro vita come mogli e madri.

Testa di fanciulla con taglio rituale dei capelli.

 

Al momento del matrimonio era previsto un particolare taglio di capelli, come si può vedere in una testa del III secolo a.C., di probabile area sabina, prestata dal Museo di Antichità Etrusche e Italiche della Sapienza.

La maternità era protetta in tutte le fasi, dal concepimento alla crescita dei figli. Ce lo dimostrano innumerevoli ex voto offerti alle divinità (in Etruria soprattutto a Minerva), tra i quali appaiono interessantissimi alcuni uteri in terracotta,

Vetrina con uteri in terracotta e altri ex voto

raffigurati come un sacco con una sorta di bocca che si apre per ricevere il seme maschile e poi si chiude per tenere al caldo l’embrione che deve crescere, o addirittura “cuocere” come avviene in un forno. Nel cartellone didattico ci colpisce la riproduzione di un amuleto egiziano del I-II secolo d.C. (conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna), che mostra un utero all’interno di un uroboro (il serpente che si mangia la coda), simbolo del fluire ciclico della vita e dell’eterno ritorno. La particolarità è che sotto l’utero c’è una chiave, che doveva servire simbolicamente a chiudere o ad aprire l’importante organo femminile.

Sono esposti anche membri maschili (in terracotta), fondamentali per il concepimento dei figli. Ed è ovvio che nel matrimonio era molto importante anche l’aspetto erotico, per avere una maggiore possibilità di procreazione.

Vetrina con modellino di utero gravido e strumenti medici

Un bel modellino in cartapesta di un utero con dentro un feto è sistemato in una vetrina, insieme a strumenti chirurgici di epoca moderna che hanno a che fare con il parto e con l’allattamento (tiralatte di vetro), tutti provenienti dal Museo di Storia della Medicina.

Statuine votive di bambini di diversa età

La crescita dei bambini è evidenziata, invece, in due vetrine con reperti ritrovati a Vulci. La prima contiene frammenti di ex voto (IV- III secolo a.C.), in particolare due teste di infanti paffuti e una di una donna adulta avvolta in fasce da neonato; l’altra, più ampia, espone statue votive di bambini di diversa età, da uno in fasce ad altri che gattonano, a uno che sta già in piedi. Tutti indossano una collana con la bulla (un contenitore di amuleti) e la deliziosa fanciullina al centro tiene in mano una colomba, che sta beccando un melograno. Ricordiamo che la colomba era sacra ad Afrodite e il melograno a Persefone.

I bambini nel mondo etrusco-italico entravano a far parte del contesto sociale verso i 5-6 anni, perché è solo a partire da quell’età che si ritrovano le loro tombe nelle necropoli degli adulti, mentre, se morivano prima, erano sepolti presso la casa familiare ed erano per lo più “invisibili” nella morte, con l’eccezione di alcuni infanti appartenenti all’aristocrazia dominante.

Il percorso prosegue nella sala di Venere, dove sono affrontati i temi della sconfitta delle malattie, della vecchiaia e della morte, per concludere con la “rinascita”. Il sogno di contrastare le malattie, di prolungare la vita umana, o addirittura dell’immortalità, è antichissimo e lo si ritrova in alcuni miti, raffigurati in Etruria a partire dal VII secolo a. C.

È datata a quel secolo una brocca in bucchero del Museo di Villa Giulia (ritrovata in una ricca tomba di Cerveteri), che raffigura Medea (in etrusco Metaia), la maga sposa di Giasone, mentre immerge in un calderone il corpo del marito per ringiovanirlo.

Vaso in bucchero con Medea

Le sue tecniche per ottenere la giovinezza prevedevano alcuni passaggi traumatici: secondo quanto racconta Ovidio nelle Metamorfosi, la maga aveva tagliato la gola del vecchio suocero Esone per far fuoriuscire tutto il sangue che veniva sostituito da un infuso di erbe portentose, ottenendo così un vistoso ringiovanimento (i capelli si scurivano, le forze ritornavano e sparivano anche le rughe dal volto e dal resto del corpo).

Altri reperti ci raccontano altri miti, come per esempio la disputa di Eracle con Geras (la personificazione della vecchiaia), raffigurata in una rarissima pelike attica a figure rosse datata al 480 a.C. e ritrovata anch’essa a Cerveteri.

Vaso con Eracle e Geras

In questa scena Eracle è visto come l’eroe che, pur riuscendo alla fine della sua vita a raggiungere l’immortalità, non riesce tuttavia a sconfiggere la vecchiaia: la sua robusta figura contrasta non poco con quella del vecchio estremamente magro e curvo.

Se Eracle accede all’Olimpo per i suoi meriti, Arianna ci riesce grazie all’amore di Dioniso, il dio che, giunto nell’isola di Nasso con il suo corteo di satiri, trova la fanciulla addormentata, dopo l’abbandono da parte di Teseo (l’uccisore del Minotauro), se ne innamora e la sposa.  Da Vulci proviene un modellino votivo di tempio (II-I secolo a.C.) con la raffigurazione di Arianna e Dioniso sul frontoncino, da Civita Castellana una coppa a figure rosse con la stessa coppia di sposi, la cui iscrizione in falisco (che si traduce con “oggi berrò il vino, domani farò senza”) invita a godersi la vita finché si può.

Tempietto con Dioniso e Arianna

Gli antichi invocavano le divinità salvifiche per ottenere la guarigione, donavano loro riproduzioni degli organi da proteggere e compivano riti di purificazione, che sembrano attestati a Veio, in località Portonaccio, per la presenza di una piscina antistante al tempio vero e proprio: tempio da cui provengono maestose statue in terracotta policroma, tra cui quella di Apollo, uno dei pezzi più belli del Museo di Villa Giulia, e una frammentaria di Ercole, che potrebbe chiudere questo percorso espositivo (basta scendere al pianterreno nelle sale di Veio).

Se la medicina attuale ha fatto passi da gigante nel contrastare le malattie e fa ora uso di trapianti, di terapie geniche e di cellule staminali, tanto è vero che si parla di “medicina rigenerativa”, come spiegato in mostra, per gli antichi la “rigenerazione” era un fatto mentale e religioso. Solo gli eroi e i sovrani potevano ambire all’apoteosi, ovvero assurgere al cielo come immortali, mentre i pitagorici credevano nella reincarnazione dell’anima.

L’aspirazione alla rinascita, che nei riti d’iniziazione ai culti misterici poteva prevedere una morte simbolica, è presente anche in ambito etrusco, dove le tombe erano concepite come case per l’eternità. Un’urnetta da Cerveteri del VI secolo a.C. ha la forma di una culla ed è decorata da una serie di mammelle, evidentemente per offrire ai resti del defunto incinerito la possibilità di rinascere ed essere nuovamente allattato.

Urnetta con mammelle nella parte sottostante

Un ciclo eterno che – come si legge in mostra – non è da escludere possa idealmente rievocare la parabola stessa di Eracle che grazie al latte di Era e, poi, attraverso il fuoco di una pira, aveva trovato le coordinate per avere accesso all’immortalità”.

Nica FIORI    Roma  giugno 2019

“Il ciclo della vita. Nascere e rinascere in Etruria”

Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia – Piazzale di Villa Giulia, 9  Roma. 13 giugno – 6 ottobre 2019. Orario: 9-20; lunedì chiuso. Biglietto: € 10; ridotto € 2; gratuito per gli aventi diritto e per tutti la prima domenica del mese, il 15 agosto e il 29 settembre. Possibilità di vari abbonamenti

Tel. 06 3226571 http://www.villagiulia.beniculturali.it