Continua fino al 24 Giugno presso la Galleria d’Arte Marchetti di Roma la mostra Notargiacomo – Asdrubali. Dittico,

redazione

Alla Galleria d’Arte Marchetti di Roma in corso la mostra NOTARGIACOMO – ASDRUBALI . Dittico, aperta fino al  24 giugno.

Fra i primissimi artisti a cui la Galleria Marchetti dedicò una mostra personale, nel 1998, pochi mesi dopo la sua apertura, Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945) e Gianni Asdrubali (Tuscania, Viterbo, 1955), legati da una lunga amicizia e dalla condivisione di alcune esperienze di ricerca, si confrontano in una doppia personale, con opere dagli anni ’80 ad oggi.

Catalogo Edizioni Grafiche Turato, a cura di Silvia Pegoraro

E’ una lunga amicizia quella che lega Gianfranco Notargiacomo e Gianni Asdrubali, che li ha anche portati a realizzare insieme –  prima di questa –  due doppie personali: Amici come sempre, alla Galleria Miralli di Viterbo, nel 1990, e Artisti come sempre, alla Galleria Arte e Pensieri di Roma, nel 2005. Un divario generazionale di dieci anni esatti separa il più anziano Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945) dal più giovane Gianni Asdrubali (Tuscania, Viterbo, 1955). Nel 1981 quest’ultimo, ancora agli esordi (quella che è considerata la sua prima opera, Muro magico, è del ’79), contattò, per mostrargli il proprio lavoro, Notargiacomo, artista già affermato, che aveva già partecipato a mostre importanti come Magico Primario (a cura di Flavio Caroli) e lavorava con illustri gallerie romane quali La Tartaruga di Plinio De Martiis e La Salita di Gian Tomaso Liverani.

D’altra parte, la forza e l’originalità della ricerca di quel giovane di Tuscania fecero colpo sull’artista romano, che decise di favorirne i rapporti con il mondo dell’arte e la collaborazione con istituzioni artistiche pubbliche e private, iniziando così a cementare un rapporto  che dura a tutt’oggi, benché i loro percorsi artistici si siano sviluppati secondo direzioni diverse, per tanti versi contrastanti. Si tratta comunque di due grandi out-sider, impegnati negli anni ‘80 a combattere le derive entropiche del postmodernismo, più o meno dominate dall’inclinazione verso il figurativo.

Entrambi percorrono un cammino molto personale, segnato da un’indiscutibile originalità, in una dimensione in cui le caratteristiche individuali prevalgono sull’appartenenza, più o meno coinvolgente, più o meno sostanziale, a tendenze e movimenti (la Post astrazione, per Notargiacomo, l’Astrazione povera, per Asdrubali).

Entrambi – fondamentalmente, profondamente  pittori –  esprimono un pensiero “forte”, che ha le sue radici nel pensiero delle avanguardie moderniste, fondato su una dialettica che origina nel loro lavoro molteplici, feconde tensioni, accompagnate dalla caduta delle barriere tra “astrazione” e “figurazione”, tra pittura e scultura, o opera-ambiente. Ciò conduce la forma e l’immagine a legarsi a una “sostanza conoscitiva” manifestamente plurivoca, animata da un’energia indomabile e irradiante.

Di fronte all’effetto ipnotico delle nuove tecnologie, la loro pittura resiste, caparbia e “inattuale”, oltre la questione dell’astratto e del figurativo, mettendo in scena una materia-forma vivente, le cui componenti fondamentali sono tensione e movimento.

Per vie diverse e secondo modalità diverse, la ricerca artistica di Asdrubali e quella di Notargiacomo garantiscono che permanga nel nostro orizzonte d’esistenza una zona di irresoluzione, una tensione carica di possibilità, che si oppone al naufragio definitivo dell’uomo nella meccanicità e nell’automatismo. Pur nelle naturali differenze generazionali, stilistiche, contestuali, entrambi orientano la propria ricerca sulla programmazione di un impatto sia percettivo che razionale sullo spettatore; studiano l’essenza stessa del fenomeno artistico per scoprire le zone dell’inesprimibile, gli spazi non ancora codificati. Tracciano un percorso problematico e drammatico, decisivo per comprendere i destini dell’arte in un’età di trasformazioni continue e di oscillazioni che paiono sottrarre tutto alla permanenza della forma.

SCHEDA TECNICA

Mostra:   NOTARGIACOMO – ASDRUBALI . DITTICO                                        

Artisti presenti:  Gianfranco Notargiacomo , Gianni Asdrubali

A cura di: Silvia Pegoraro

Galleria d’Arte Marchetti, Via Margutta 8, 00187 Roma  fino al 24 giugno 2023 

Ingresso: libero  

Catalogo : Grafiche Turato Edizioni, Padova  

Orari: LU 16.30-19.30 ; MAR-SA  10.30-13.00 / 16.30-19.30                                               Informazioni: tel. 06 3204863;  www.artemarchetti.it , info@artemarchetti.it

Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945), folgorato all’età di dieci anni dai dipinti di Burri e Vedova visti alla Quadriennale di Roma, ne assimilerà e metabolizzerà, nel progredire del suo percorso artistico, tutta la tragica potenza, non senza filtrarla attraverso una personalissima vena ironica e una forte componente riflessiva e cognitiva. Questa lo porterà – oltre che a laurearsi alla Sapienza in filosofia estetica con Emilio Garroni – ad approfondire costantemente il versante “mentale”, concettuale dell’arte, seppure rifiutando sempre cerebralismi e concettualismi. La sua intera opera è una riflessione sul senso stesso del fare arte, che dal pensiero filosofico si allarga al versante espressivo e gestuale, indagando senza posa da molti decenni, con affascinante lucidità, le infinite problematiche relative alla superficie pittorica e alla sua “corporeità”, al suo espandersi nello spazio.  “…pensavo a un quadro e lo consideravo fatto. Il resto era lavoro”: basilare affermazione di “poetica” dell’artista, che ne fa comprendere l’instancabile progettazione e sperimentazione, basate sulla priorità del momento progettuale e creativo. Dopo le prime opere degli anni ’60, legate al clima Pop di quegli anni, negli anni ’70, nel pieno di quell’era concettuale in cui era stata pronunciata la condanna a morte della pittura, Notargiacomo è già un out sider: innovatore e precursore, sempre controcorrente. Nel 1971, la celebre installazione  Le nostre divergenze – che costituì la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis – con duecento omini in plastilina colorata (ripresa nel 2009 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ) è un’operazione concettuale quanto mai raffinata, e insieme decisamente contrastante rispetto al gelido cerebralismo di certe derive del concettuale.

Gianfranco Notargiacomo

Già nel ’73, con gli Autoritratti esposti alla Galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani, nella doppia personale con Sandro Chia, riprende possesso della pittura, in deciso contrasto col clima dell’epoca (è significativo che all’inaugurazione non si presentasse nessuno). Il ritorno alla pittura è decisamente confermato nel ‘74, con i ritratti dei filosofi nella mostra Storia privata della filosofia (alla Tartaruga). Nel ’79, poi, quando la temperie artistica che lo circonda comincia a dare segni di avvicinamento ad una pittura figurativa, compie un gesto rivoluzionario che lo porterà a diventare protagonista della cosiddetta Post-astrazione: inventa quella particolarissima concrezione pittorica nello spazio, quel corpo vibrante della pittura che è Takète, strutture-sculture che sono in realtà pittura che prende corpo nello spazio, dilata, frammenta e moltiplica le superfici trasformandole in volumi, palpita e si proietta nell’ambiente circostante . Takète diventerà una sorta di figura matrice di tutto il lavoro di Notargiacomo.

Nel ciclo Tempesta e Assalto, presentato per la prima volta alla Galleria La Salita di Roma nel 1980, il linguaggio dell’artista si orienta verso un’impetuosa astrazione gestuale che lo vede tra i protagonisti della Post-astrazione, nel momento in cui è dominante, nelle varie accezioni di “ritorno alla pittura”, l’interesse per il figurativo. Il carattere di Tempesta e Assalto – traduzione letterale dell’espressione Sturm Und Drang, che designa il movimento pre-romantico tedesco – è mirabilmente sintetizzato nella formula espressa da Flavio Caroli in un testo del 1981: “Turner incontra Boccioni che incontra Pollock, che incontra l’impotente lucidità dei nostri giorni.”. Questa gestualità “neo-informale” è per il grande critico la declinazione assunta nel lavoro di Notargiacomo da ciò che lui teorizza come “Magico Primario” (a cui è dedicata una celebre mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1980), finalizzato “alla ricerca di entità archetipiche annidate da sempre nel cuore dell’uomo” .

Gianfranco Notargiacomo, In Rosso

Caroli ritorna sulla definizione di Notargiacomo come “neo-informale” nel recente libro I sette pilastri dell’arte di oggi (2021) :

“L’antesignano di una nuova avventura informale fu Gianfranco Notargiacomo, il quale concepì dapprima delle battaglie fantastiche e quasi giocose, poi intuì le possibilità di un Action Painting per così dire di terza generazione, dopo quello di Pollock e quello di Vedova.”                                                                                     

Nel corso dei primi anni ’90, queste turbinose Tempeste segnico-materiche generano ancora esemplari eccelsi, come Tempesta 1 (1992) per poi andare a placarsi, lasciando il passo a composizioni che esprimono, con un’essenzialità che non abbandona la sensualità, la sintesi tra potenza del gesto e lucidità del pensiero, come nel ciclo dedicato alla Storia astratta della filosofia, dove compaiono particolarissimi segni-oggetto dai cromatismi intensi e profondi, e la composizione è improntata a una geometria “imperfetta”, ammantata del fascino di un vissuto esistenziale.  

Gianfranco Notargiacomo
Gianfranco Notargiacomo, Tondo saturnino

Questa ricerca si protrae nelle “Pitture estreme”: estreme per le cromie squillanti e decise, talora dissonanti; estreme per l’essenzialità della concezione geometrica, fondata su bande dalle tinte forti, alternate, spesso con inserti in legno o in metallo.

Negli ultimi anni, queste geometrie lasciano il campo a una nuova fase materico-gestuale, evidente nei grandi Tondi e nei Polittici, pervasi da un trionfo di rossi incandescenti. Placate le tempeste e gli assalti di un tempo, la ricerca sul corpo della pittura si assesta su un livello di intensa emozionalità, dove azione e contemplazione fanno tutt’uno.

Già in quella che è considerata la prima opera di GIANNI ASDRUBALI (Tuscania, Viterbo, 1955), cioè Muro magico, del 1979, è presente una dialettica gesto-vuoto-spazio su cui si fonderà tutta la sua ricerca futura: in una stanza vuota, il vuoto stesso determina una tensione che porta l’artista a un’azione, un gesto che genera uno spazio.

“L’azione non è primaria ma consequenziale a questo stato di assenza – afferma l’artista –  In definitiva il vuoto è il motore assoluto.” 
Gianni Asdrubali, Zeimekke studio-2 (da Arte Fiera Bologna)

Una chiave tematica dell’opera di Asdrubali è dunque la dialettica del tratto, impresso da un movimento carico di energia pulsionale, con il vuoto, in cui l’energia del segno guizza impennandosi in vertiginosi fugati, in intrecci complessi di segni che in-formano il vuoto, dando origine allo spazio. In tutto ciò ha un ruolo fondamentale l’impossibile sintesi tra gli opposti, come il bianco e il nero, sui quali si gioca tutta la partita espressiva del primo Asdrubali : il bianco e il nero in tutta la loro capacità di generare tensioni, contrasti, ma anche di richiamarsi come per reciproca necessità.

Sin dall’inizio Asdrubali si impegna, come lui stesso scrive, nella “Massima concentrazione e massima costrizione di tutte le forze in gioco”, una concentrazione che mira a “raggiungere un unicum contraddittorio (…) nella sintesi di tutte le forze in gioco”.  Ma la sintesi di Asdrubali è ambigua e paradossale, perché le forze opposte e contrarie che si affrontano nel suo lavoro non si pacificano né si conciliano mai: l’energia condensata nelle sue opere è sempre originata da forze in conflitto ed elementi contrapposti.  Già Filiberto Menna, ideatore nei primi anni ’80 del movimento “Astrazione povera” – a cui lo stesso Asdrubali aveva aderito –  analizzando sia le opere che le dichiarazioni di poetica dell’artista :

La pittura di Asdrubali disegna una mappa di accadimenti conflittuali, è costellata di luoghi di contraddizione, di scontri tra forze sospinte da opposte sollecitazioni. L’artista non si sottrae alla loro azione, piuttosto si fa consapevolmente agire da esse, dà loro libero varco, accogliendole come momenti di feconda germinazione poetica.”
Gianni Asdrubali 2021, Zakeusse

L’energia che si sprigiona dalla pittura-spazio di Asdrubali è dunque la risultante della messa in scena di una materia-forma perpetuamente interessata da tensioni differenziali aggreganti-disgreganti, nell’ambito di questa dialettica degli opposti: dall’emozionante disseminazione del Tromboloide del 1992 (che il critico Lorenzo Mango  attribuisce a “…un’attitudine mentale che esce definitivamente dal Novecento e dagli stili”)  all’impulso centripeto di aggregazioni segniche in opere come Tetratronico (1995-2001) o Zoide giallo (2001), all’illimitata espansione reticolare dei recentissimi Zacheus o Gomasse (2022). Le immagini rinviano l’una all’altra secondo diversi vettori: l’importante è lo spazio aperto sul vuoto. Il vuoto è insomma rinvenuto direttamente nell’esperienza del reale, e l’artista lo conduce ad assumere il volto della forma ambigua – Figura – che da esso scaturisce, e che paradossalmente ne testimonia la natura, pur trascinandola a trasgredirsi. In questo modo Asdrubali sovverte anche ogni definizione di “astrazione” o “figurazione”.

La violenta espansività della pittura gestuale di Asdrubali esprime una ininterrotta auto-interrogazione, nell’esercizio costante della sperimentazione: attraverso infinite varianti volte a scardinare le consuete coordinate spazio-temporali dello spettatore, l’artista lo proietta in un non-luogo generato dall’energia  inarginabile del vuoto.

Roma  4 Giugno 2023