“Consideravi l’insegnamento come una missione per la causa dell’architettura”.

di Stefania PORTOGHESI TUZI

Ciao zio Paolo,

ancora non mi sembra vero quello che è successo, solo domenica parlavamo ancora di lavori e nuovi progetti. La tua voglia di fare non ti ha mai abbandonato, fino all’ultimo giorno.

Sarà dura senza di te. Per me sei stato un secondo padre oltre che un maestro. Con me sei stato spesso severo, volevi la perfezione e non volevi che fossi favorita solo perché tua nipote. Col tempo poi ho capito che questa severità e questa ricerca di perfezione la riservavi anche a te stesso. Ricordo ancora quando a 15 anni mi hai dato da studiare il De Re Aedificatoria di Leon Battista Alberti dicendomi che così potevo esercitarmi anche in latino o quando, dopo avermi affidato una ricerca d’archivio su S. Ivo alla Sapienza (a patto che non togliessi tempo al lavoro nel tuo studio), alla mia lamentela sul fatto che facevo fatica a lavorare di notte per trascrivere documenti antichi, tu mi hai risposto con la solita aria sorniona: “non ti preoccupare più vai avanti e più ti passa il sonno”. Segno che anche tu non ti sei mai risparmiato nel lavoro.

Oggi mi sento orfana e credo che, con me, si sentano orfani tanti tuoi allievi e studenti che ti hanno conosciuto. Sono tante le generazioni che hai cresciuto in questi anni e a tutti hai lasciato un pezzettino di te. Una sorta di marchio a fuoco che ci accompagnerà per tutta la vita. Non hai idea di quanti studenti mi hanno scritto in questi giorni dicendomi che avevano tutti imparato qualcosa da te. Anche gli studenti del collettivo di architettura ti hanno dedicato un loro omaggio. Cosa rara, segno di quanto hai significato anche per loro. Del resto non poteva essere altrimenti: consideravi l’insegnamento come una missione per la causa dell’architettura. Quando eri presidente della Biennale spostavi qualsiasi riunione, anche importante, se coincideva con le tue lezioni. Dicevi che gli studenti non possono essere abbandonati: e lo hai dimostrato ampiamente continuando a fare lezione fino a 90 anni. Riuscivi a stregare tutti quando facevi lezione, strappando gli applausi degli studenti. Non è da tutti.

Oggi vorrei ringraziarti per tutto quello che hai fatto per noi. Sei stato un grande maestro anche se dicevi di non voler creare una scuola. Le cose più importanti che ci hai insegnato sono l’amore per questo mestiere e l’importanza del muoversi sempre col giusto rispetto. Il rispetto nei confronti degli studenti, degli artigiani e delle maestranze con cui si lavora. Dicevi che anche da un muratore c’è da imparare: noi possiamo avere le idee più belle, ma loro hanno tutta l’esperienza necessaria perché le nostre idee possano essere realizzate. In poche parole, ci hai insegnato anche l’umiltà e la necessità di avvicinarci a questo mestiere senza arroganza. Eri sempre pronto all’ascolto, e ne hai fatto uno dei principi del tuo linguaggio. L’ascolto verso le persone, verso i luoghi in cui intervenire con un progetto, verso la natura.

Hai sempre lavorato per costruire un mondo migliore, in tutti i sensi: per questo, ti consideravi un architetto militante. Eri conscio di quanti danni può produrre l’architettura. Ce lo ripetevi sempre.

Ti ringrazio anche perché ci hai insegnato la libertà e l’indipendenza. Non hai mai sopraffatto le idee di nessuno. Quando gli studenti facevano un progetto non chiedevi che adottassero un linguaggio “portoghesiano”, lasciavi sempre la libertà di espressione purché si lavorasse in modo serio e corretto. Ci hai insegnato a camminare con le nostre gambe, seguendoci con lo sguardo attento perché non cadessimo. Anche questa è virtù rara in un maestro. Eri sempre pronto a riconoscere il nostro lavoro nei progetti e nelle pubblicazioni, e anche questa è una virtù non da tutti.

Una delle cose più importanti che ci hai insegnato è che dobbiamo essere pronti ad aprire le nostre menti. L’architettura non è una professione ma un mestiere che coinvolge ogni aspetto della vita. Quando mi hai chiesto di scrivere un articolo sul giardino di Calcata mi hai dato da studiare tre libri di Heidegger, testi musicali, opere di Michelangelo e opere di storia dell’arte. Perché da tutte queste cose nasceva il tuo progetto. Hai sempre amato il barocco e il tuo Borromini, ma nel fondo dell’animo sei sempre stato un umanista rinascimentale e fondamentalmente un uomo curioso per ogni aspetto della vita. E questo lo hai insegnato anche a chi ha avuto la fortuna di stare al tuo fianco.

Per tutte queste cose ti ringrazio. Mi mancherai, caro zio. A chi mi rivolgerò quando avrò dubbi? A chi racconterò dei miei progetti e chiederò consiglio? La vita sarà più difficile senza di te, ma ti prometto che cercherò di portare avanti gli insegnamenti che mi hai trasmesso. Come te ho seguito le orme di famiglia: nonno Giggi decoratore, zi’ Toto e poi zio Guido architetti, e zio Virgilio, tuo padre, ingegnere. Per te erano punti di riferimento importanti e io non posso certo venir meno a una così lunga tradizione di famiglia a cui tu hai contribuito col tuo infaticabile impegno. Lo so che sarà durissima senza di te. Per favore, dovunque tu sia tienimi la mano sulla testa e ricorda sempre che ti voglio bene per sempre.

Sempre tua Stefania

(ricordo letto da Stefania Portoghesi Tuzi il 31 maggio durante la messa funebre nella chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano di Calcata)