Caravaggio e Mario Minniti tra Roma e Siracusa; novità e conferme

di Michele CUPPONE

Il prossimo 3 luglio si terrà nella chiesa di Santa Lucia alla Badia, nella piazza del Duomo di Siracusa,  un importante convegno dal titolo Caravaggio a Siracusa, un itinerario nel Seicento aretuseo, cui prenderà parte, oltre a Michele Cuppone, autore dell’articolo che qui pubblichiamo, Michele Romano, moderati da Ornella Fazzina. Il convegno appare di estremo rilievo anche perchè in parte si collega ad un evento che sta facendo molto discutere e che ha sollevato anche dure polemiche, cioè la concessione al Mart di Rovereto della Pala caravaggesca raffigurante il Seppellimento di Santa Lucia richiesta e a quel che sembra ottenuta da Vittorio Sgarbi, che del Mart è direttore, in cambio di un efficace restauro di cui, in ogni caso, il quadro avrebbe effettivamente estremo bisogno. Il tema iconografico concernente questo capolavoro sarà trattato in termini scientifici da Cuppone, che svolgerà un intervento dal titolo Caravaggio, il Seppellimento e le sue copie, mentre Michele Romano svolgerà un tema relativo al Seicento aretuseo, un itinerario urbano. L’evento si raccomanda per oltre per la qualità dei relatori anche per le molte novità e gli approfondimenti che propone e che sono stati preannunciati in un’agile pubblicazione per i tipi dell’editore Le Fate di Ragusa.

La presenza di Caravaggio a Roma è attestata per la prima volta in alcuni documenti del luglio 1597. Egli è citato nel corso di un processo relativo a un’aggressione notturna, di cui era stato testimone indiretto. Dagli atti sappiamo che l’artista si trovava in città almeno dalla quaresima del 1596, e che a quel tempo lavorava presso la bottega di un certo «mastro Lorenzo»: è dunque questa, non solo la prima traccia dopo la partenza dalla Lombardia, ma anche la sua prima esperienza lavorativa romana documentata. Lo confermerebbe anche il pittore Gaspare Celio secondo cui, da Milano, Caravaggio

«se ne andò a Roma, dove passando poveramente andava facendo per un bottegaro detto Lorenzo ciciliano, alcune teste di santi, per cinque baiocchi l’una, e ne faceva doi, et se ne andava a mangiare»[1].

Il maestro Lorenzo corrisponde pure al «pittore Siciliano, che di opere grossolane tenea bottega», come ricordato dal biografo Giovanni Baglione. Più precisamente, grazie a recenti studi, è possibile identificarlo con Lorenzo Carli, pittore originario di Naso, nel Messinese. Tuttavia poco si conosce della sua biografia, e ancor meno della sua produzione: non gli si può assegnare nemmeno un dipinto, a fronte di un’attività che invece dovette essere anche piuttosto prolifica. Al momento della sua morte, avvenuta intorno al marzo 1597, nella sua abitazione vi erano numerosi quadri, ma non è possibile distinguere quali fossero i propri: le opere sono elencate in un inventario in cui sono specificati i soggetti, ma non gli autori.

Va tenuto in considerazione del resto che Carli era dedito a un’attività di vendita di quadri anche al di fuori della produzione personale e dei propri collaboratori. L’inventario, a ogni modo, contribuisce a delineare e rafforzare l’immagine di un pittore ordinario, alle prese con soggetti convenzionali come quelli devozionali. Ricorrono ritratti, copie e, ancor più, le icone sacre. È interessante peraltro notare come quest’ultime rimandino più volte alla cultura figurativa sacra siciliana, cui il nasitano doveva essere rimasto sempre legato.

Sull’inventario dei beni di Carli, un’ultima cosa da dire riguarda la presenza di una «Madonna con il figlio che dorme sopra di un cusino et San Giovanni, Santo Iseppe et Santa Isabetta». È un’iconografia per certi versi simile a quella che appare, dalle radiografie, al di sotto della Buona Ventura oggi ai Musei Capitolini, appunto dipinta su una tela di reimpiego. Tanto che si è adombrata la possibilità che Caravaggio abbia riutilizzato, per il quadro capitolino, un primo lavoro da lui stesso eseguito, proprio nella bottega del siciliano[2]. L’ipotesi, non direttamente verificabile, resta di grande suggestione e testimonia in ogni caso il grande interesse che gli specialisti hanno dedicato agli esordi romani di Merisi e, nello specifico, al periodo trascorso presso Carli.

Caravaggio deve aver collaborato presso il «bottegaro» nei primi mesi del 1596. Nello stesso ambiente avrebbe conosciuto il pittore siracusano Mario Minniti, se si dà credito a quanto racconta Francesco Susinno nel 1724[3], e se è a Carli che questi si riferisce quando, a proposito dell’arrivo a Roma di Minniti, scrive:

«accomodossi con un siciliano pittore, che vendeva quadri a dozzina, e nella stessa bottega strinse amistà col Caravaggio, ambi giornalieri di quel grossolano artiere».

Il condizionale è d’obbligo, per quanto la notizia sia circostanziata e trovi riscontri anche nella descrizione della provenienza geografica e della professionalità di Carli, e del ruolo poco gratificante svolto dai suoi collaboratori. Susinno infatti è un autore che, per di più scrivendo oltre un secolo dallo svolgimento dei fatti, nel suo testo presenta particolari originali e dal sapore aneddotico. Da documenti noti, peraltro, sembra evincersi che la casa-bottega di Carli, ubicata a Roma presso la chiesa di Sant’Agostino, fosse piuttosto piccola e non idonea a ospitare più di un apprendista-aiutante. Nulla comunque vieta di pensare che almeno uno fra i due giovani, agli inizi del 1596, si limitasse a una collaborazione “alla giornata” con Carli, disponendo già di un alloggio autonomo.

Risulta molto più arduo confermare la veridicità di un altro passaggio delle biografie di Susinno, secondo cui i due esordienti «di mala voglia dimoravano in quella bottega».

«Risoluti perciò allontanarsi dalle goffagini di un tal maestro, si risolvettero far coabitazione ed unitamente al necessario colle fatighe delle loro prime opere».

Ciò ha portato qualcuno a supporre che Caravaggio e Minniti avessero dimorato assieme a Palazzo Madama, dove il primo fu ospitato a partire dal 1597 dal cardinale del Monte, suo mecenate.

Ci si è spinti addirittura a riconoscere in Minniti un modello utilizzato da Merisi nei quadri di quel periodo – tra cui il Ragazzo con canestra di frutta e il Suonatore di liuto –, sulla base delle fattezze del siracusano così come raffigurato in una raccolta di biografie del 1821[4].

 

Tale ipotesi risulta però inconsistente. Anzitutto, a quella data così tarda e in assenza di altri ritratti noti di Minniti, quest’unico potrebbe benissimo essere di invenzione. Ma soprattutto, i tratti somatici riprodotti sono piuttosto vaghi e, pertanto, è molto opinabile il confronto con i modelli caravaggeschi[5]. Infine, una supposta convivenza di Caravaggio e Minniti ha offerto la sponda a quanti sostengono l’omosessualità del primo. La conclusione, che naturalmente non aggiunge né toglie nulla al valore del grande lombardo, non è a ogni modo suffragata dai documenti, da cui si evincono comunque le frequentazioni femminili sia dell’uno sia dell’altro.

Gli unici due documenti romani riferibili con certezza a Minniti, peraltro, sono relativi alla sua convivenza (1600) e matrimonio (2 febbraio 1601) con Alessandra Bertoldi[6]. Purtroppo gli archivi capitolini non hanno restituito nessun altro dato biografico di interesse, tale anche da corroborare il racconto di Susinno. Una traccia importante tuttavia riaffiora ad agosto-settembre del 1603, negli atti del processo intentato da Giovanni Baglione, che a suo dire era stato diffamato da Merisi e altri. Uno dei testimoni menziona, senza attribuirgli un ruolo particolare nella vicenda, «un certo Mario», pittore, abitante presso via del Corso[7]. Caravaggio che, quando interrogato, è solitamente sfuggente alle domande o comunque vago, e spesso le sue parole sono pure in contrasto con altre testimonianze, prende le distanze dal citato Mario. Ne riconosce una certa frequentazione se non proprio una temporanea convivenza, che dà per interrotte da tre anni e dunque nel 1600: «stava una volta con me et è tre anni che se ne partì et non gl’ho più parlato».

Ci sono buoni motivi per pensare che il pittore Mario «che sta sul Corso» sia lo stesso Minniti che peraltro, dal 1600 in cui già vive con la futura sposa (e con il fratello Andrea, anch’egli pittore), non aveva modo di frequentare e coabitare più con Merisi. Se quest’ultimo sostiene di non rivolgere più la parola da tempo all’altro, è forse anche per tenerlo (utilmente) fuori dal processo in corso, cui di fatto non verrà chiamato a testimoniare. E, in qualche modo, la deposizione di Caravaggio nel 1603 e i due documenti su Minniti del 1600-1601 danno sostegno ancora una volta a Susinno, quando narra che il siracusano

«stabilì prender moglie per poter più quietamente vivere, perché alquanto infastidivalo la torbidezza dell’amico»[8].

L’antica amicizia fra i due, avrà comunque modo di manifestarsi nuovamente nell’ottobre 1608, quando si ritroveranno a Siracusa dopo l’evasione del lombardo da Malta.

Si può anzi immaginare che un primo loro incontro a distanza di anni fosse già avvenuto, nel luglio 1607. Sappiamo infatti che la flotta di cinque galere su cui, a quanto pare, Caravaggio si imbarcò nel viaggio da Napoli a Malta, sostò prima del 6 luglio a Messina ed entro l’11 a Siracusa[9]. Con entrambe le città della Sicilia orientale egli avrebbe avuto così un primo approccio, prima di tornarci e soggiornare per alcuni mesi e, pur senza avere idea di dover preparare il terreno per questo, avrebbe potuto avviare già dei contatti che sarebbero poi tornati utili.

Per concludere, pubblichiamo notizie inedite attestanti in qualche modo, in un’epoca precoce a Siracusa, come potesse essere legato l’interesse tanto per la pittura di Merisi quanto per quella di Minniti.

È il 22 marzo 1639 quando risultano infatti presenti in una collezione aretusea una copia dal primo e due originali del secondo. Nell’inventario allegato al testamento di don Pietro Alagona, arcidiacono della Cattedrale, tra gli altri dipinti figurano:

«Un Crocifisso mezzano incorniciato di mano di Minnitti […] Una madonna di mano di detto Minniti con li cornici deaurati / Una copia del quatro di S. Lucia del martirio senza cornice […] Uno della decollazione di S. Gio. senza cornice / Un altro quatro della decollazione copia di Caravagg[10].

Michele CUPPONE   Roma 28 giugno 2020

NOTE

[1] R.Gandolfi 2019, p. 137. Più specificamente sul rapporto tra Lorenzo Carli e Caravaggio, cfr. Curti 2011.
[2] G.Leone 2016.
[3] F.Susinno 1724, ed. 1960, pp. 107, 117.
[4] S.Ebert-Schifferer 2010, pp. 59-62 e, da ultimo, Roio 2018, p. 290.
[5] Da notare peraltro una sorta di neo che, assente nei modelli caravaggeschi, compare invece sulla guancia sinistra nel ‘ritratto’ di Minniti del 1821.
[6] R.Vodret 2011, pp. 74-75.
[7] I documenti. Il processo 2011, p. 103.
[8] La questione dell’attendibilità di Susinno su Minniti, in relazione ai dati documentari disponibili, è stata affrontata più di recente in Roio 2017. La posizione più scettica fra tutti, nei confronti del racconto del biografo messinese, è in Papa 2017, che rilancia peraltro l’ipotesi di una committenza di Vincenzo Mirabella per il Seppellimento.
[9] K.Sciberras 2002, p. 229; Denunzio 2005, p. 186.
[10] Siracusa, Archivio di Stato, notaio Domenico Presterà, vol. 10998, f. 138. Per le copie note della maltese Decollazione di san Giovanni Battista, cfr. Scaletti 2017, pp. 208-210 e De Castro 2018. Si ringrazia Luigi Lombardo per la segnalazione del documento e Francesca Curti per un confronto sullo stesso.

BIBLIOGRAFIA

F.Curti, Sugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario, in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, catalogo della mostra (Roma, 11 febbraio-15 maggio 2011), a cura di M. Di Sivo, O. Verdi, Roma 2011, pp. 65-72.
E.De Castro, Una copia della Decollazione del Battista dai depositi di Palazzo Abatellis e alcuni pittori attivi a Malta nel secolo XVII, in Suggestioni caravaggesche dai depositi di Palazzo Abatellis. Una storia non semplice, catalogo della mostra (Palermo, 13 maggio-17 settembre 2017), a cura di G. Barbera, E. De Castro, Palermo 2018, pp. 47-51.
A.E. Denunzio, Per due committenti di Caravaggio a Napoli: Nicolò Radolovich e il viceré VIII conte-duca di Benavente (1603-1610), in España y Nápoles. Coleccionismo y mecenazgo virreinales en el siglo XVII, a cura di J.L. Colomer, Madrid 2005, pp. 175-193.
S.Ebert-Schifferer, Caravaggio e la cortigiana: aspetti sociologici e problemi artistici, in Le Caravage aujourd’hui et autres études, Deauville 2010 (“Bulletin de l’association des historiens de l’Art italien”, 15-16, 2009-2010), pp. 59-74.
R.Gandolfi, La biografia di Michelangelo da Caravaggio nelle Vite di Gaspare Celio, in “Storia dell’Arte”, 151-152, 2019, pp. 137-151.
I documenti. Il processo. La trascrizione integrale, a cura di M. Di Sivo, in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, catalogo della mostra (Roma, 11 febbraio-15 maggio 2011), a cura di M. Di Sivo, O. Verdi, Roma 2011, pp. 97-108.
G.Leone, Nella bottega di Lorenzo Carli: precisazioni, riflessioni e una notarella su Caravaggio giovane, in Caravaggio. Opere a Roma. Tecnica e stile, a cura di R. Vodret, G. Leone, M. Cardinali, M.B. De Ruggieri, G.S. Ghia, Cinisello Balsamo 2016, vol. I, pp. 184-209.
E.Papa, Nuove ipotesi sul “Seppellimento di Santa Lucia” di Caravaggio, in “Incontri”, 20, 2017, pp. 9-14.
N.Roio, Caravaggio, il problema del “Maestro della natura morta di Hartford” e il possibile ruolo dei siciliani Mario Minniti e Pietro d’Asaro, in L’Arte di vivere l’Arte. Scritti in onore di Claudio Strinati, a cura di P. di Loreto, Roma-Foligno 2018, pp. 383-394.
F.Scaletti, Caravaggio. Catalogo ragionato delle opere autografe, attribuite e controverse, Napoli 2017.
K.Sciberras, ‘Frater Michael Angelus in tumultu’: the cause of Caravaggio’s imprisonment in Malta, in “The Burlington Magazine”, 1189, 2002, pp. 229-232.
F.Susinno, Le Vite de’ Pittori Messinesi e di Altri che fiorirono in Messina, ms. Messina 1724, ed. Firenze 1960.
R.Vodret, Notes on Caravaggio’s Early Followers Recorded in Roman Parish Registers from 1600 to 1630, in Caravaggio and his Followers in Rome, catalogo della mostra (Ottawa, 17 giugno-11 settembre 2011, Fort Worth, 9 ottobre 2011-8 gennaio 2012), a cura di D. Franklin, S. Schütze, New Haven-London 2011, pp. 72-101.