Vittorio Sgarbi: “Le creazioni di Portoghesi sono l’espressione più alta di una concezione divina dell’uomo”.

di Vittorio SGARBI

Un grande successo ha ottenuto lo Speciale dedicato lo scorso mercoledì alla figura e all’opera del grande architetto e studioso Paolo Portoghesi, ricordato dalla nipote Portoghesi Tuzi, da Franco Purini, Claudio Strinati, Tod  Narder e Marcello Fagiolo oltre che dai numerosi amici del Centro Studi Cultura e Immagine. Con qualche giorno di ritardo ci è pervenuto il ricordo di Vittorio Sgarbi, amico e spesso sodale di Portoghesi in varie circostanze, che pubblichiamo con molto piacere.

La notizia mi arriva da una telefonata di un pittore felice, Luigi Frappi: il nostro grande amico non è più fra noi. E’ partito. Sarà’ difficile raggiungerlo.

Ci vorrebbe una convenzione con il paradiso, un protocollo d’intesa perché gli immortali, come convenzionalmente si chiamano gli artisti e le persone di valore riconosciute, non morissero mai, fossero veramente immortali come alberi centenari, querce millenarie, che si ritrovano dove sono, dove sono sempre state e dove sempre saranno.

Per Paolo Portoghesi quel luogo era Calcata, una città perfetta, nella valle del Tevere, in Tuscia .

Dalla casa inerpicata sulla collina, dalla pianta spiraliforme, come un labirinto, Portoghesi dominava Calcata Vecchia. Davanti ai suoi occhi il borgo raccolto aveva la forma del suo cuore, e a tal punto la città era dentro di lui che egli aveva voluto estenderla, allargarla, creando un giardino letterario che porta il suo nome e quello della moglie Giovanna, Massobrio: una risposta orgogliosa all’impresa di Vicino Orsini nel Bosco Sacro di Bomarzo. In quel luogo potevano convivere due sogni: il sogno barocco e il sogno liberty, le cui consonanze nessuno aveva riconosciuto come lui. Nei suoi sogni e nei suoi studi, che coincidono, a Calcata rimane testimonianza della biblioteca e dei giardini, degli animali e dei giochi d’acqua che la sua fantasia ha animato.

Giovanna Massobrio, Paolo Portoghesi, Vittorio Sgarbi, Paolo Marconi e Francesco Moschini (ph. Accademia di San Luca).

Portoghesi ha scelto il sito e progettato i giardini come spazio dei ricordi, lasciando che fosse la natura ha suggerire l’architettura. Dopo un grande uovo all’ingresso, simbolo della vita e del suo rinnovamento cosmico, si apre il parco , ricco di alberi, fra cui gli ulivi centenari e gli antichi alberi da frutto, arbusti, fiori. Un centinaio di leggii distribuiti in diversi punti accolgono testi letterari e filosofici. Al centro, un tempietto circolare, circondato da un canale e da un piccolo bosco di lecci. Fra i vari elementi architettonici presenti, anche la Biblioteca dell’Angelo, all’interno di una piccola casa preesistente di Calcata, dove sono custoditi i preziosi volumi e immagini e manifeste trovati in giro per il mondo.Presenza importante del luogo sono gli animali, alcuni salvati da morte certa : moltissimi uccelli acquatici, rare anatre, oche delle Hawaii e persino due pellicani nei pressi del laghetto; fenicotteri, ibis, cicogne, pappagalli e varie specie di gru, ospitati in ampie gabbie, un gufo addomesticato e molti altri uccelli,che vivono liberi nel parco; e poi capre, lama ed asini, fra cui gli amiatini e i bianchi dell’Asinara: Giovanna ha un allevamento di animali anche in via di estinzione. Da mesi Giovanna mi chiamava per dirmi delle condizioni di salute di Paolo, e io sono andato a salutarlo quindici giorni fa, trovandolo vigile e pieno di progetti, neppure affaticato.

Ci conoscevamo dal ‘78, quando lui arrivò a Venezia ,prima direttore poi presidente della Biennale di Venezia.

Nel 1979 incaricò Aldo Rossi di costruire il Teatro del Mondo su un natante ormeggiato nel bacino di San Marco, che veleggerà poi fino a Ragusa. Nel 1980 porto’ a La Biennale la Strada Novissima in cui venti architetti riconosciuti, tra cui Frank Gehry, Rem Koolhaas, Charles Moore, Hans Hollein e Franco Purini, disegnarono venti facciate contigue, ognuna di 7 metri di larghezza, con un’altezza che poteva variare da un minimo di 7,20 metri ad un massimo di 9,50 metri. L’invenzione fece clamore e divenne il manifesto italiano dell’Architettura postmoderna, di cui Portoghesi fu il principale esponente in Italia negli anni Ottanta.

A Roma, con Giovanna, diede vita all’attività della Galleria Apollodoro che all’architettura affiancò l’impresa di artisti ispirati alla pittura rinascimentale e barocca, pittori e scultori colti, “citazionisti”, fra i quali Bruno D’Arcevia , Alberto Abate, Marco Rossati, Paolo Borghi, Luigi Frappi. Frappi ha dipinto in tutte le stanze della casa di Portoghesi a Calcata. Ed e’ stato tra il dolente lamento di Giovanna negli ultimi mesi, con una sofferenza che era impossibile non sentire motivata, e la telefonata proprio di Frappi, amico che si manifesta di rado, sempre affettuosissimo, che ho capito che il dialogo in vita con Portoghesi si era interrotto. Egli aveva portato la sua immortalità altrove. È difficile immaginare Calcata senza il suo corpo , senza la sua danza con le gru ,in un rapporto con la natura senza precedenti perché, alla fine, nulla era più lontano dalla sua cultura cittadina di quel rifugio felice e remoto nella Tuscia: dalla Roma barocca di Bernini e Borromini Portoghesi aveva trovato la vertigine del suo pensiero e il centro della sua vita in Tuscia, a Calcata, dove consumava i giorni e le notti nel pensiero di Dio. Scriveva in questi giorni un trattato sulla bellezza, per mia sorella, per La nave di Teseo.

Penso alla malinconia di Giovanna che non potrà mai consolarsi dall’aver perso lo stimolo a una vita di arte e di fantasia. Paolo non era soltanto il più grande storico dell’architettura barocca e del liberty italiano: era il creatore di un paradiso dell’arte e dell’architettura come espressioni della divinità dell’uomo. Questo gli artisti fanno, questo ci insegnano, per questo non possono morire. Le creazioni di Portoghesi sono l’espressione più alta di una concezione divina dell’uomo. In questo Portoghesi era anche un poeta. E ne era consapevole. Perché insieme a Vitruvio, Sebastiano Serlio, a Palladio, a Borromini, a Guarini, così come a Hoffman, a Morris, a Loos e a Le Corbusier, Portoghesi aveva tenuto vicini i poeti. E ce lo ha ricordato:

“I poeti mi hanno influenzato più degli architetti, perché la poesia insegna a contenere idee ed emozioni all’interno di strutture rigorose. E poi i poeti aprono il proprio cuore nelle loro opere, gli architetti no, o molto meno. Io ho tre grandi punti di riferimento: Borromini, Leopardi e Rimbaud. Due su tre sono poeti. Ma poi ci sarebbero anche Rilke, Hölderlin. La biblioteca di casa mia ha una grande maggioranza di libri di architettura, ma la mia biblioteca mentale è dominata dai poeti”.

Con loro parla ,con loro vive ,con loro e’ immortale.
Leggendo Rilke parleremo con lui

Vittorio SGARBI  Roma  Giugno 2023