“Shylock, il giudeo”; al Teatro Arcobaleno una magistrale rilettura della tragicommedia shakespeariana.

di Marco FIORAMANTI

Teatro Arcobaleno. Roma. Via Francesco Redi 1a

Shylock, il giudeo di Giuseppe Manfridi

Regia di Ennio Coltorti

Il pubblico seduto in sala, riempita in ogni ordine di posti nella sera della prima, non sa ancora di essere coinvolto in una variante dell’usuraio ebreo de Il Mercante di Venezia.

Shylock il Giudeo, Adriana Ortolani, Ennio Coltorti, Emiliano Jesus Coltorti

L’incipit sorprende lo spettatore con un gesto di grande maestria. Un giovane uomo, in abiti contemporanei, si affaccia al boccascena a sipario ancora chiuso e fa cenno al tecnico luci di abbassarle. Scopriamo che costui è uno degli attori (un raffinato Emiliano Coltorti) e che lo spettacolo è già cominciato. È il Medium, il narratore, colui che fa da intermediario tra il pubblico e la scena. È lui a raccontarci la trama del già accaduto, accompagnata dalla voce imperiosa – fuori campo – del protagonista (uno Shylock ormai stanco, avviato a una vecchiaia di solitudine, interpretato da Ennio Coltorti, immenso come sempre) il quale urlando chiede, anzi pretende il dovuto, esige vendetta.

Dal mondo della realtà si passa tra a quello della finzione. Siamo alla fine del quarto atto della tragicommedia shakespeariana, e qui s’innesta l’azione drammaturgica di Giuseppe Manfridi (attore anche lui, in costume di scena, nei panni dell’Alter ego, una sorta di ologramma – Shylock l’originale – che ripete le parole scritte da Shakespeare).

A qualcuno non sarà sfuggita all’inizio la sua improvvisa, scomposta entrata in scena – volutamente fuori tempo – prontamente bloccata dal Medium. Vero e proprio coup-de-théâtre, studiato a scardinare la macchina scenica e produrre sottili giochi di teatro nel teatro. Tra i due Shylock s’inserisce la figlia Jessica (ottima Adriana Ortolani) perno emotivo e dialettico dell’intera storia.

Manfridi ci mostra con estrema eleganza l’ingiustizia subita da Shylock, il giudeo

“Poveri carnefici che se la prendono con noi ma verranno poi giudicati dal grande tribunale della storia”

il quale assume su di sé tutto il portato di un popolo destinato alle atrocità future di una tragedia collettiva.

Come auspicio di un’armonia planetaria, “che crollino tutti gli odi”, il regista Ennio Coltorti sceglie quale colpo di scena finale le note Imagine di John Lennon.

Marco FIORAMANTI  Roma 7 Aprile 2024