Roma, tra Storia, Arte e Spiritualità. Nelle docusèrie del Vicariato di Roma, le profonde trasformazioni della città che divenne “eterna”.

di Francesca SARACENO

Pubblichiamo con grande piacere l’ intervista a mons. Andrea Lonardo e a Francesco d’Alfonso che hanno realizzato con vera maestria e rigore una serie di reportage su Roma, sulla sua storia nel corso dei secoli, sull’importanza storica, artistica e religiosa che ha avuto e che la rende unica esaltandone l’eternità.

Roma è una città innegabilmente piena di contraddizioni, eppure la sua realtà sembra prescindere da esse; l’Urbe vola più alto, sospinta da una storia che è la storia del mondo, sorretta da una bellezza che non ha eguali, forte della certezza di essere “eterna”.

Secondo Carlo Verdone, “Roma è una grande madre che abbraccia, perdona e consola.”[1]

La storia millenaria di questa “grande madre” ce la raccontano oggi mons. Andrea Lonardo e Francesco d’Alfonso (figg. 1-2), valorosi artefici di una docuserie nella quale ne ricostruiscono le origini con rigore storico e grande efficacia comunicativa. In quei giorni divenne eterna. Roma, città degli opposti vangeli [2] e “Quindi arrivammo a Roma”. La seconda nascita della città eterna [3] sono i titoli dei due docufilm prodotti da Valerio Ciampicacigli per Ulalà Film & co., con l’eccellente regia di Alessandro Galluzzi, diffusi sul canale YouTube Romartecultura, a cura dell’Ufficio per l’Università e dell’Ufficio per la Pastorale del Tempo libero, del Turismo e dello Sport, diretto da don Francesco Indelicato.

Si tratta di due piccole “perle” nel panorama della moderna comunicazione culturale, frutto di un grande lavoro di ricerca, alla cui produzione hanno contribuito nomi importanti della cultura italiana, come Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, l’amatissimo attore e regista Carlo Verdone, e Alfonsina Russo direttrice del Parco archeologico del Colosseo.

In poco più di mezz’ora per ciascun docufilm, si condensano l’incontro e poi la commistione, tra due diverse culture: quella pagana, ormai in declino, e quella cristiana foriera di una “rivoluzione” ideologica e spirituale che avrebbe cambiato la storia di Roma, e del mondo.

Mons. Lonardo e Francesco d’Alfonso sono stati creatori anche di una precedente docuserie, intitolata “Di chiaro e di scuro. Controstoria del Caravaggio romano”, prodotta dal Vicariato di Roma attraverso l’Ufficio per l’Università e l’Ufficio per la Pastorale del Tempo libero, del Turismo e dello Sport (riprese di Annalisa Maria Ceravolo; riprese e montaggio di don Francesco Indelicato). Questo lavoro ha visto protagonista uno dei più grandi geni della pittura, lombardo di nascita ma romano per “vocazione”; personaggio – anche lui – “eterno” che con le sue opere straordinarie ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’Urbe. Una vicenda, la sua, che si innesta profondamente nel percorso storico e religioso della città, e che dunque da estimatrice – ancor più in questa sede – non potevo escludere dalla dissertazione.

Mons. Andrea Lonardo, teologo, docente presso l’Istituto di Scienze Religiose “Ecclesia Mater”, nonché direttore dell’Ufficio per l’Università del Vicariato di Roma, è stato ideatore e preziosa guida lungo il percorso descrittivo di entrambe le docuserie; mentre Francesco d’Alfonso, coordinatore dell’area AFAM-Alta Formazione artistica, musicale e coreutica presso l’Ufficio per l’Università del Vicariato di Roma, autore e regista di diverse opere teatrali, nonché redattore di rubriche giornalistiche di arte e cultura, ne ha curato la direzione artistica, la regia teatrale e le musiche.

A mons. Lonardo e a Francesco, che ringrazio di cuore per la disponibilità e la cortesia con cui hanno accettato l’invito a questa conversazione, ho voluto rivolgere alcune domande per comprendere meglio il senso e il valore culturale di queste particolari esperienze narrative, realizzate come un fantastico viaggio nel tempo e nella storia – pubblica, spirituale e artistica – della città che divenne “eterna”.

D: Mons. Lonardo, anzitutto complimenti per queste bellissime docuserie e per il suo ruolo da guida “illuminata” e “illuminante”.  Com’è nata l’idea di queste produzioni?

R: Io ho imparato ad amare il rapporto fra la storia e i luoghi, cioè come i luoghi “parlano”. L’ho imparato innanzitutto in Israele, dove ho avuto la fortuna di studiare per sei mesi e mezzo. Mi ha colpito come, sia lo stato ebraico, sia la Chiesa, sia il popolo palestinese raccontassero la storia della Scrittura, la storia della vita, attraverso i luoghi. Cosa che esiste in Italia ad Assisi. Il paradosso di Roma è che a Roma si usa la città per parlarne male, per distruggere la sua enorme storia. E allora, amando tanto Roma, ho maturato in me ancora di più questo amore per la città, e da qui l’idea di domandarsi: ma qual è l’identità propria di Roma? Cioè, che cosa un turista deve assolutamente conoscere, prima di andare via? Non certo mettere la mano nella “Bocca della verità”, oppure sapere due stupide cose su questa o quella amante di qualche pontefice. Cosa deve aver capito? Ecco, da questo nasce la scoperta, il desiderio di raccontare la vera storia della città.

D: Francesco, davvero eccellenti la sua direzione artistica e la regia teatrale. Considerando la diffusione sul canale You Tube, immagino le due docuserie si rivolgano a un particolare genere di pubblico; in che modo la sua direzione artistica è stata “funzionale” alla platea cui sono destinate?

R: Il format delle due docuserie è stato concepito per un pubblico ampio ed eterogeneo quale è quello di internet, che spesso si trova a fruire di un determinato contenuto anche senza averlo esplicitamente cercato. I molteplici e trasversali linguaggi dell’arte sono certamente il veicolo perfetto affinché un messaggio – insieme a una precisa visione culturale – possa arrivare in modo chiaro a chiunque, a prescindere dal livello di istruzione o della confessione religiosa. Proprio come in una sinfonia – dove un brano orchestrale è “creato” dalla pluralità armonica di tutte le famiglie di strumenti – nei nostri docufilm la narrazione, le arti figurative, il teatro, il cinema e la musica concorrono, tutti insieme, a toccare non solo le menti, ma anche i cuori di chi si approccia per la prima volta o in modo consapevole alla storia e all’arte.

Bene. Iniziamo adesso il nostro approfondimento cominciando dalle produzioni più recenti, quelle che riguardano la storia di Roma e del suo incontro con il cristianesimo. 

D: Mons. Lonardo, Romolo e Remo affidati al Tevere, sono stati i primi fondatori della città; Pietro e Paolo l’hanno “rifondata”, e hanno trasformato il grande fiume in un nuovo Giordano. Dunque Roma è nata due volte…

R: Si. Con i nostri video proviamo proprio a mostrare questo. Roma è una città fondata da due coppie. La prima, Romolo e Remo, rappresenta simbolicamente tutto il mondo classico, la fecondazione della poesia, del diritto. Però poi, tutto questo è stato come immerso nel Cristianesimo, e se non ci fossero stati dopo Pietro e Paolo, Roma oggi sarebbe una città provinciale. Realmente è un connubio, e questo è bellissimo perché si conserva l’eredità classica. Il Cristianesimo ha salvato i grandi autori antichi, ha salvato la domanda sulla verità, la ricerca di ciò che è giusto. Quindi non ha disprezzato ma amato il passato; e di questo c’è bisogno, di un vero apprezzamento dei classici, che sono ciò che resiste al tempo, all’usura del tempo. Ciò che è nato come aristocratico ma poi diventa di tutti. Ma insieme c’è questo “bagno”; e nel primo video lo abbiamo rappresentato nel Battesimo, il Tevere, dove si battezzava. Tutta questa cultura viene come vista a una luce nuova, sfrondata da cose orrende come i giochi gladiatori (di cui resta la Corrida in Spagna); dall’idea che uomini si mettessero insieme per veder morire altri uomini mangiati dalle bestie, o uomini che lottavano. Si è liberata di questo, si è liberata dal politeismo, perché la verità spingeva verso una carità e una giustizia. E in questo Cristo è stato decisivo.

D: La parola “Vangelo” compare per la prima volta nella comunicazione di propaganda dell’imperatore Augusto; ci spiega meglio il concetto di Roma come “città degli opposti Vangeli”?

R: Si. È interessante che, al plurale, la parola Vangelo – Vangeli – compaia nella “Iscrizione di Priene”. Priene è una città oggi in Turchia, ma all’epoca era l’antica Grecia allargata; tutto il Mediterraneo era un mare greco, e nel mondo Greco compare proprio questa cosa. Augusto arriva a dire, e veramente fa sorridere: “La mia nascita pone fine al pentimento di essere nati”. Cioè tutti i cittadini dell’impero erano tristi per la loro vita, ma quando nasce Augusto tutti diventano felici. Ecco, lui dice proprio questo; la mia nascita è l’inizio dei “vangeli”, cioè di tutti i lieti annunzi. Addirittura Augusto si definisce “archè” delle cose, ovvero: come nell’Antico Testamento Dio è il Creatore, Augusto dice “tutto comincia con me”. Ecco, proprio in quel tempo – probabilmente anche in maniera polemica, in senso buono – Gesù dice: “il Vangelo è la mia vita”; questo Gesù che non era conosciuto. Forse – lo raccontiamo nei video – nei censimenti riportati sull’Ara Pacis (figg. 3 e 4), che Augusto faceva per conoscere tutti i cittadini dell’Impero, per averne le tasse, erano conservati anticamente anche i nomi degli abitanti della Giudea. Ma ad Augusto sfugge questo “Vangelo”, cioè il fatto che ci sia invece un bambino, mandato da Dio, che porta il senso della vita, il perdono dei peccati, la resurrezione. Che porta una vita nuova.

Fig. 3. Mons. Lonardo presso l’Ara Pacis
Fig. 4.  Res Gestae Divi Augusti, Museo dell’Aara Pacis, Roma

D: Dal culto dei greci agli dei pagani di Roma antica, l’arte sacra è sempre stata espressione di un anelito connaturato nell’uomo verso qualcosa di “elevato”, che desse significato e valore alla natura e all’uomo. L’avvento del cristianesimo ha arricchito questa tensione “verticale” di un senso nuovo e dunque di una nuova spiritualità: come, il cristianesimo, ha cambiato l’espressione artistica del pensiero religioso?

R: Proprio in questi giorni stiamo preparando un nuovo video sul Campidoglio; quel colle che, proprio perché è alto, proprio perché raggiungibile solo tramite la Via Sacra che saliva in alto, rappresenta questo desiderio di guardare “oltre”. Ovidio dice che mentre gli animali guardano sempre a testa bassa, in realtà l’uomo è l’unico che solleva la testa e guarda le stelle. Ecco, nel mondo pagano c’è questo grande sguardo che si rivolge all’infinito, ma proprio nei tempi del cristianesimo il paganesimo entra in crisi; per questo si diffondono insieme sia i culti misterici sia il cristianesimo, perché il paganesimo non convince più. Gli dei pagani non convincono più. Nel Museo Palatino – lo abbiamo presentato nel nostro video – c’è l’Altare al Dio ignoto; i romani dicono: “sive deus, sive deivae”, ovvero: sia che tu sia un dio, o che tu sia una dea. Non so neanche se sei un dio, o se sei una dea. Questa era l’ignoranza, ormai: il romano dei primi secoli dopo Cristo, dell’età ellenistica, sapeva bene di non sapere più esattamente chi fosse Dio, e che gli dei non erano certamente gli imperatori né gli dei pagani. E allora, il cristianesimo porta “l’immagine di Dio”: una cosa fortissima. Non un libro, ma una persona. Un bambino, un crocifisso; non violento, che non chiede sacrifici, ma anzi “offre” la presenza di Dio. È bellissimo che, sempre nel Museo Palatino – lo abbiamo presentato nel nostro video – è rappresentato il famoso “crocifisso blasfemo” (fig. 5): probabilmente un paggio imperiale che prende in giro un altro paggio cristiano, Alexamenos. C’è un crocifisso con un asino e sotto è scritto: “Alexamenos adora il suo Dio”. Come dire: il Dio dei cristiani è un asino perché muore. E invece, è proprio la novità di uno sguardo diverso sul mondo che cambia la storia.

Fig. 5.  Graffito con “crocifisso blasfemo”. Dal Pedagogio (scavi 1856). Già al Museo Kircheriano, poi al Museo Nazionale Romano. Tornato al Palatino nel 1946. Distaccato e collocato su supporto.

D: Francesco, veniamo a lei. Credo che quella del teatro si sia rivelata la formula perfetta per raccontare al pubblico la storia senza tempo di una città come Roma che, per le stratificazioni architettoniche, per i palazzi nobiliari e i monumenti, è essa stessa un “palcoscenico” naturale. È così che l’ha “vista” quando ha concepito l’idea della sua regia?

R: Roma è certamente una città spettacolare, una città – se pensiamo all’etimologia della parola spettacolo – dove la gente di tutto il mondo, da secoli, viene ad ammirare bellezze costruite su altre bellezze (fig. 6). Non a caso nel Seicento si parlava di Roma come del “gran teatro del mondo”. È così che ancora oggi ci appare: una città scenografica, fastosa e decadente insieme, dal fascino struggente, senza tempo, profondamente teatrale. Proprio per queste ragioni, ci è sembrato che il teatro fosse il veicolo di comunicazione più adatto a raccontare in modo efficace e coinvolgente frammenti di una storia che dall’antichità è arrivata intatta ai giorni nostri.

Fig. 6.  Roma, veduta aerea della zona del Vaticano.

D: Francesco, in questi due docufilm su Roma tutto il “recitato” è straordinariamente efficace e coinvolgente per lo spettatore: dalla “passio” delle sante Perpetua e Felicita (fig. 7), alla vicenda di Giovanni Battista (fig. 8), passando per i versi di Virgilio. Una sinergia virtuosa – e direi vincente – tra il grandissimo talento degli attori e l’indirizzo recitativo da lei richiesto, immagino…

Fig. 7.  Attrici diplomate all’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio d’Amico” interpretano la Passio delle sante Perpetua e Felicita.
Fig. 8.  Attori e attrici diplomati all’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio d’Amico” interpretano una scena della storia di San Giovanni Battista.

R: Proprio per sottolineare che la storia di questa città è eterna, nei due docufilm ho voluto che le scene teatrali non avessero una precisa collocazione temporale e “geografica”: in esse le fonti prendono vita attraverso voci e corpi umani, emergono dal nero della scatola teatrale materializzandosi in forma di figure evanescenti, oniriche, che pure danno corpo a ciò che è stato scritto nella Bibbia, nelle antiche cronache e in Virgilio, ma anche nelle pagine di autori moderni e contemporanei come Wilde e Schmitt. È come se la semplicità stilizzata e geometrica delle scene compensasse la grandiosità di una città che è stata palcoscenico di vicende immortali. Con gli attori – tutti diplomati all’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio d’Amico” – abbiamo lavorato proprio in questa direzione: far sì che i ruderi, le antiche iscrizioni e i classici non fossero lettera muta, ma tornassero a parlare attraverso adattamenti drammaturgici e messe in scena in grado di rivolgersi al mondo contemporaneo. La voce e il corpo umano possono ancora infondere linfa vitale alle pietre che sembrano sopite da millenni.

In questa Roma così controversa eppure così “segnata” dalla presenza di Cristo, attraverso Pietro primo pontefice e poi i suoi successori, l’arte vide fiorire i più grandi ingegni che operarono primariamente proprio al servizio della Chiesa. Tra questi, un gigante – come la stessa città – altrettanto eterno e altrettanto controverso, fu Michelangelo Merisi da Caravaggio, che mons. Andrea Lonardo e Francesco d’Alfonso hanno splendidamente raccontato nella docuserie intitolata “Di chiaro e di scuro. Controstoria del Caravaggio romano”[4]. I sei contributi sulla vita del grande maestro lombardo sono stati un altro importante progetto di comunicazione culturale al quale, anche in questo caso, hanno contribuito grandi studiosi e accademici, tra cui Stefania Macioce, Patrizia Cavazzini, Sara Magister, Maria Beatrice De Ruggieri. Personalmente ho apprezzato moltissimo l’accuratezza nella ricerca filologica e la volontà dichiarata di raccontare – per l’appunto – una “contro-storia”, che smontasse molti degli stereotipi che accompagnano la figura di questo grande artista, fin troppo radicati e reiterati da certa divulgazione massificata e “tendenziosa”.

D: Don Andrea, trovo particolarmente indicativo che sia stato proprio un sacerdote a voler raccontare una storia “alternativa” e decisamente più verosimile, di un artista da troppo (e da troppi) indicato come turbolento, ateo, in perenne contrasto con la Chiesa, in una parola: “maledetto…”. Ma non era esattamente così, giusto?

R: Diciamo che la violenza, la sessualità fa parte, in qualche modo – lo diciamo in maniera esagerata – di tutto il mondo pittorico, di allora e di sempre. Non si è mai scelta come modella una contessa, o una baronessa, nella storia. Ecco, Caravaggio viene scioccamente definito – ma in questo momento non è neanche più “rivoluzionario” dirlo – un rissoso, un donnaiolo. Erano così tutti i pittori dell’epoca; quella è una visione molto conformista, molto “borghese”. Come se un pittore fosse interessante solo perché “trasgressivo”; ma erano tutti trasgressivi, e in ciò non c’è niente di particolarmente interessante. La cosa incredibile è che la Chiesa del tempo amasse questi pittori. Pensiamo al Cavalier d’Arpino, che aveva le armi in casa. Pensiamo alla povera Artemisia Gentileschi che venne violentata da un pittore amico del padre, e il padre neanche la difese. Era un mondo estremamente complesso. La cosa meravigliosa, con Caravaggio – e abbiamo intitolato i video “Di chiaro e di scuro” – è che in lui c’è il senso delle tenebre, del male, della morte, ma Caravaggio piace – a noi moderni – perché, in questo mondo dove esiste la difficoltà a orientarsi nella vita, lui fa penetrare una luce. C’è sempre un taglio di luce, c’è sempre qualcosa che illumina, qualcosa che apre a un mondo diverso.

D: Mons. Lonardo, quando ho visto la prima volta la meravigliosa Madonna di Loreto in Sant’Agostino (fig. 9), per prima cosa è stato istintivo farmi il segno della croce (…e dopo ho pianto). L’arte del Caravaggio fu quasi esclusivamente arte sacra, prodotta per uno scopo ben preciso. Dunque le chiedo: se davanti a quel dipinto ancora oggi viene naturale compiere quel gesto cristiano, vuol dire che Caravaggio aveva “fatto centro”?

Fig. 9.  Caravaggio, Madonna di Loreto, 1604-1605 ca. Basilica di S. Agostino in Campo Marzio, Roma.
Fig. 10.  Caravaggio Deposizione di Cristo 1603 ca. Piancoteca Vaticana, Città del Vaticano.

R: Si. Il dramma è che noi vediamo le opere non più nel loro contesto naturale, con le candele, con l’incenso, con le preghiere. Pensiamo per esempio alla famosa “Deposizione” (fig. 10): noi la troviamo adesso in un museo perché i soldati francesi illuministi portarono via le opere. Francesco d’Alfonso è un esperto nel rivolgere in opera teatrale, in recitazione, i testi che io ho scelto su questo argomento, e c’è l’elenco di tutte le opere che Napoleone fece portare via verso Parigi. E noi vediamo adesso quell’opera (la “Deposizione” del Caravaggio n.d.a.) dentro i Musei Vaticani. Non la vediamo dentro una cappella. Invece quelle opere erano volutamente pensate per far rivolgere il cuore – veramente – a uno sguardo di fede; ma anche per chi non fosse stato credente, a farlo riflettere sul senso della vita. Pensiamo che, proprio contemporanea alla Madonna di Loreto – che non è una Madonna dei Pellegrini ma è proprio DI Loreto, poiché è raffigurato il Santuario e il pellegrinaggio – Annibale Carracci dipinge la Madonna di Loreto nella sua forma abituale, stratificata nei secoli: una Madonna su una casa, quella che da Nazareth vola a Loreto, portata dagli angeli, seduta tranquilla con il Bambino in braccio. Caravaggio è geniale: fa vedere la Madonna che atterra con la sua casa, mentre arrivano due pellegrini, con i piedi sporchi, con i loro abiti dipinti con terre e ocre. Lei arriva con i piedi pulitissimi. Nessuno nota i piedi della Madonna, raffigurati in una postura che nessuna donna potrebbe avere in una danza, in punta di piedi. Ma è proprio una Madonna che atterra e offre il suo Bambino ai pellegrini. È quindi un’opera rivoluzionaria, perché mai era stata dipinta così la Madonna di Loreto, ovvero nel momento dell’atterraggio, ma sempre in volo. É un incontro fra la luce, gli abiti, lo splendore delle carni, della Madonna e del Bambino e la “sporcizia” dell’uomo, di Caravaggio e di tutti quanti noi.

D: Francesco, la sua regia teatrale si rivela più che appropriata anche nel caso della serie sul Caravaggio; artista che proprio della mise en scene aveva fatto la sostanza stessa delle sue composizioni pittoriche. Bellissima, nel docufilm sulla Morte della Vergine (fig. 11),

Fig. 11.  Caravaggio, Morte della Vergine 1605-1606 ca. Museo del Louvre, Parigi.

la scena in cui i maggiori biografi dell’artista si ritrovano seduti a un tavolo a conversare davanti a un caffè (fig. 12): ricordano un po’ la scena della Vocazione di san Matteo.

Fig. 12.  Scena della docuserie Di chiaro e di scuro girata nella “Sala Scipione 2” all’interno del Caffè-Ristorante “Atelier Canova Tadolini” di Roma.

Sono tutti in abiti e atteggiamenti “contemporanei”, ma… hanno alle spalle diverse statue antiche. Praticamente il pensiero artistico del Merisi: assolutamente “moderno” ma con salde radici nel passato. Il maestro sarebbe stato fiero di lei! Quale criterio ha seguito nel concepire le varie performance degli attori (davvero strepitosi!) rispetto al taglio colloquiale della sceneggiatura?

R: Anche per la docuserie “Di chiaro è di scuro” abbiamo utilizzato lo stesso criterio: le fonti su Caravaggio, citate da mons. Lonardo quale fondamento scientifico della sua appassionata e competente narrazione, prendono vita e sono interpretate dagli attori. Dopo uno studio approfondito dei testi che l’Autore mi ha fornito, ho creato delle brevi drammaturgie che potessero far meglio comprendere ciò che del Merisi e delle sue opere romane si scrisse all’epoca. Ho scelto quindi di non contestualizzare storicamente le varie scene, ma ho lavorato con gli attori cercando di conciliare uno stile recitativo – per così dire – colloquiale con l’italiano del Cinque-Seicento, come se i dialoghi e i monologhi avvenissero ai nostri giorni, ambientandoli in luoghi che sono in qualche modo in relazione con la storia che viene raccontata. Niente scene in costume, dunque: tutto avviene “qui e ora”, al fine di rendere Caravaggio nostro contemporaneo.

Fig. 13. Attori diplomati all’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio d’Amico” interpretano versi di Virgilio tratti dalla Ecloga IV

D: Francesco, nei due docufilm su Roma ovviamente Caravaggio non c’è; ma torna prepotentemente, quasi come un impulso primordiale, nell’uso sapiente e scenografico delle luci che – letteralmente – tirano fuori gli attori dal buio (fig. 13), quasi con la stessa incidenza osservabile nei dipinti del maestro. Le chiedo: quanto può essere “segnante” l’incontro con un genio come Caravaggio, soprattutto per chi – come lei – opera in ambito artistico, ma non solo?

R: Se è vero – come ha scritto André Malraux – che il cinema non è altro che l’aspetto più progredito del realismo plastico che parte dal Rinascimento e culmina nella pittura barocca, allora si può senz’altro affermare che Caravaggio è un precursore dell’illuminazione cinematografica e teatrale. Non c’è nulla di stucchevole nelle sue opere, né nulla di falso: le luci, i colori, le pose, la scenografia, gli oggetti, tutto ha un significato profondo che rimanda all’essenza stessa della narrazione. Caravaggio dipinge ma, come fosse un drammaturgo o un regista; racconta delle storie mettendole in scena, e parla a un pubblico che da quattrocento anni lo applaude o lo critica.  È questa la “ferita” – di cui parlava Guttuso – che l’uomo moderno sente riaprirsi quando entra in San Luigi dei Francesi e ammira il ciclo di San Matteo! A maggior ragione, chiunque faccia arte non può non confrontarsi con la sua opera sempre così viva e attuale.

D: Francesco, il taglio teatrale impresso alle due docuserie, le ha dato modo di spaziare tra varie forme d’arte: il teatro principalmente, come abbiamo visto, ma anche il cinema e la musica; quest’ultima splendidamente eseguita dal vivo con strumenti inconsueti, le partiture di composizioni d’epoca, i cori (figg. 14 e 15). Quanto è importante nella comunicazione culturale la “forma” espressiva con cui si veicolano o si accompagnano i concetti?

Fig. 14.  Musiche e canti eseguiti per la docuserie Di chiaro e di scuro, all’interno della Basilica di S. Agostino in Campo Marzio, Roma.
Fig. 15.  Il coro Musicanova all’interno del Carcere Mamertino, Foro Romano, Roma.

R: Innanzitutto credo che le varie forme d’arte, in un determinato momento storico, non possano prescindere le une dalle altre, ma respirino all’unisono. Se oggi si tende a settorializzare l’arte, in passato spesso un pittore era anche poeta, musicista, scultore, attore: era, insomma, un artista completo, sebbene eccellesse in una determinata disciplina che l’ha reso più o meno “famoso”. L’intento della docuserie non era parlare di Caravaggio come personaggio isolato e descrivere le sue opere romane in maniera didascalica, piuttosto raccontare un artista, perfettamente inserito nella temperie culturale del suo tempo, che però ha saputo genialmente tracciare una via nuova nell’arte, mai esplorata prima. Oggi, attraverso i social media, i contenuti online sono fruibili globalmente e in tempo reale: ecco perché per noi era fondamentale compiere un’operazione culturale tout court, scientificamente fondata ma allo stesso tempo divulgativa, in grado di parlare non solo agli esperti o agli studiosi, ma a chiunque desideri avvicinarsi alla bellezza attraverso le tante vie che l’arte offre.

Per concludere, mons. Lonardo: viviamo un tempo difficile, in cui l’arte – ma direi la cultura in generale – viene depauperata nel suo valore formativo e sociale. Considerando l’estremo bisogno di “buona divulgazione”, in questo particolare momento storico in cui sembra che valga tutto e il contrario di tutto, possiamo sperare in altri vostri lavori nel prossimo futuro? Magari con un auspicabile approdo televisivo, per raggiungere una platea ancora più vasta… 

R: Lei centra bene il problema di oggi: non saper più indicare ciò che vale. Mentre invece le persone semplici, il popolo, i giovani cercano ciò che vale. Noi abbiamo realizzato un ciclo che si chiama “Ascoltando i maestri”, che sono i maestri più diversi; ma il dramma oggi è che una persona non conosce più le grandi figure, i grandi autori, i grandi musicisti. Quindi vale veramente la pena puntare su questo. Noi stiamo lavorando a tutto campo su Roma e, nei limiti del possibile, continueremo. Abbiamo girato anche un video su Napoleone a Roma, un altro su Raffaello, un altro su San Giovanni in Laterano. Il nostro desiderio è di andare al cuore delle cose più belle, più grandi di Roma e presentarle in una forma che unisca il teatro, la musica, la presentazione dei luoghi. Che faccia venir voglia di riappropriarsene. Queste cose sono “nostre”, sono in luoghi pubblici, non chiuse dentro un palazzo privato, come l’opera di un nobile, ma sono proprio messe a nostra disposizione da questi grandi maestri perché noi possiamo, dinnanzi a loro, capire. C’è un’espressione bellissima del famoso Macchiavelli che dice: “io alla sera, quando torno, mi metto le vesti di casa e interrogo gli antichi”. Come avete vissuto, com’è stata la vostra vita? avete trovato la felicità, cosa vale la pena fare? Ecco queste figure devono essere “nostre”, di ognuno di noi, dobbiamo saperle presentare nella loro grandezza e questo noi intendiamo continuare a fare con il nostro lavoro.

(Si ringraziano il Vicariato di Roma e Ulalà Film & co. per la gentile concessione di alcune immagini originali relative al girato delle due docuserie.)

©Francesca SARACENO, Catania 8 ottobre 2023

NOTE

[1] Carlo Verdone in “Quindi arrivammo a Roma. La seconda nascita della città eterna”, https://www.youtube.com/watch?v=fP6pvR1kqB0 , al minuto 24:34.
[2] Il docufilm è disponibile sul seguente canale YouTube Romartecultura: https://www.youtube.com/watch?v=aqTFLKZH3NU
[3] Il docufilm è disponibile sul seguente canale YouTube Romartecultura: https://www.youtube.com/watch?v=fP6pvR1kqB0
[4] Di seguito i link relativi all’intera docuserie “Di chiaro e di scuro. Controstoria del Caravaggio romano”: Caravaggio, Cappella Contarelli, San Matteo: https://www.youtube.com/watch?v=nT70wBa50vU; Caravaggio, l’unico vero rifiuto: La morte della Vergine: https://www.youtube.com/watch?v=NTFsI5tXJasLa Deposizione e Caravaggio, tra storia, arte e spiritualità: https://www.youtube.com/watch?v=kULjH_lqjuc Madonna dei pellegrini o di Loreto? Caravaggio a Sant’Agostino: https://www.youtube.com/watch?v=-PWYTVo_r9cCaravaggio, Crocifissione di Pietro: sensazionale scoperta!: https://www.youtube.com/watch?v=CkLlm0VA6bECaravaggio e la Madonna dei Parafrenieri: https://www.youtube.com/watch?v=kXPTVFa_xyk