L’ “Annunciazione” di Lelio Orsi; ricostruito il lungo girovagare del capolavoro di un grande artista

di Massimo PIRONDINI

UN DIPINTO ERRABONDO

Nella recente mostra a Palazzo Barberini, “Michelangelo a colori”, chiusa lo scorso 6 gennaio[1], fra opere di Venusti, Marco Pino e Jacopino del Conte, era esposto anche un piccolo e prezioso dipinto con l’Annunciazione, di Lelio Orsi, proveniente dal Museo Gonzaga di Novellara (fig. 1).

Fig. 1 Lelio Orsi, Annunciazione, Novellara, Museo Gonzaga.

Le vicissitudini di questa Annunciazione (o “Nontiata” come si legge nei documenti antichi) forniscono altresì materiale di grande interesse per la storia del collezionismo.

Siamo quasi certi, infatti, che la raffinata tavoletta fosse stata dipinta dall’Orsi per un Gonzaga di Novellara ed è assai probabile che sia stata in seguito donata da un personaggio di questa corte al cardinale Alessandro d’ Este o al fratello di lui, Cesare, primo duca di Modena e Reggio.

Fig. 2 Artista emiliano XVII sec., ritratto di Monsignor Alfonso Gonzaga, Arcivescovo di
Rodi, Novellara, Museo Gonzaga.

E’ possibile che il Gonzaga in questione sia da identificarsi in Alfonso, a sua volta fratello del conte regnante di Novellara, Camillo II. C’era infatti un precedente: Alfonso Gonzaga, che nel 1616 aveva intrapreso la carriera ecclesiastica (fig. 2), aveva inviato in dono, nel marzo 1618, al duca Cesare due disegni di Lelio Orsi magnificando, nella lettera di accompagnamento, le qualità di questo artista, vanto e lustro di Novellara.

Le doti di Lelio furono senza dubbio apprezzate sia da Cesare, sia dal cardinale Alessandro, magari tanto da indurli a richiedere al Gonzaga altre sue opere; di certo sappiamo che, nel settembre dello stesso 1618, la “Nontiata” in questione, ormai di proprietà estense, viene inviata da Modena a Roma, insieme ad altri dipinti, per la collezione del cardinale nella capitale pontificia; né l’autorità di Alessandro sarà stata forse, in seguito, del tutto estranea alla nomina (1621) del probabile donatore, Alfonso Gonzaga, ad Arcivescovo di Rodi .

Fig. 3 Artista emiliano XVII sec., ritratto del Cardinale Alessandro D’Este (1568-1624), Sassuolo, chiesa di San Francesco.

La prima documentata citazione che riguardi l’Annunciazione di Orsi è dunque la sua presenza in questo gruppo di quadri spediti a Roma in data 8 settembre 1618 al porporato estense[2] (fig. 3), grande collezionista (alla sua morte la sua raccolta contava più di 400 pezzi) e ben conscio che nella capitale pontificia le manovre diplomatiche si giocavano pure su sottili rapporti interpersonali, spesso rinsaldati da comuni interessi per le arti, la musica e la letteratura: la passione per il collezionismo fu, ad esempio, probabilmente all’origine della stretta amicizia di Alessandro con il cardinale Maffeo Barberini, il grande stimatore dei pittori bolognesi, il quale, eletto papa (1623) con il nome di Urbano VIII, volle fosse proprio l’Estense ad incoronarlo, nel corso di una solenne cerimonia in San Giovanni in Laterano.

Alla morte del cardinale Alessandro (1624), la tavoletta dell’Orsi non figurava però né nell’inventario della raccolta né nei lasciti testamentari: probabilmente era stata, nel frattempo, donata dall’estense a qualche illustre personaggio o amico romano.

Qualche decennio dopo, e ancora a Roma, ritroviamo il nostro dipinto in possesso del padre filippino Sebastiano Resta (1635-1714), uno dei maggiori collezionisti di disegni in Europa fra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo[3]. Nato a Milano da nobile famiglia Sebastiano, trasferitosi a Roma (1661) ed entrato nella Congregazione dell’Oratorio, passò il resto della sua vita proprio nella Casa romana dei Filippini, accanto alla Chiesa Nuova.

Fig. 4 Carlo Maratta, Padre Sebastiano Resta (1635 – 1714), Chatsworth, Duke
of Devonshire Collection.

Instancabile e appassionato raccoglitore di pitture e disegni, per la sua riconosciuta competenza nel campo della grafica tenne una posizione di assoluto rilievo nel campo del collezionismo e del mercato del disegno in Italia ed in Europa fra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento (fig. 4). Stando a notizie documentarie pare che nelle sue mani siano, infatti, passati oltre 4000 disegni che egli sistemò in almeno 33 grandi volumi, ciascuno dei quali focalizzava un aspetto o un periodo della Storia dell’Arte. Tali raccolte venivano poi vendute dal padre filippino, che ne traeva proventi per ulteriori acquisti nonché per finanziare numerose opere di beneficenza.

Incollata nel verso della tavola in oggetto ancor oggi si conserva una dichiarazione collettiva (fig. 5),

Fig. 5 Lelio Orsi, Annunciazione. Verso della tavola con perizia del 1679 e
cornice originaria.

datata 5 marzo 1679, ove un folto gruppo di artisti certificava al Resta questa Annunciazione come opera certa ed autentica del Correggio; si tratta dei nomi prestigiosi di pittori, presenti e non sulla piazza romana del tempo, fra cui Beinaschi, Coli e Gherardi, Ciro Ferri, Guglielmo Cortese, Carlo Maratti e Luca Giordano.

Con tali avalli, e come Antonio Allegri, l’opera fu dunque venduta dal padre filippino, il quale solo in seguito, dopo un viaggio in Emilia (1690, con puntate a Correggio e Novellara), e di fronte alla visione diretta dei grandi lavori dell’Orsi, si rese conto dell’errore attributivo: la tavoletta da lui spacciata per Correggio era, in realtà, di Lelio Orsi[4].

A quel tempo però l’opera non era più sua, ma forse già in Inghilterra, nella collezione di John Churchill duca di Marlborough (fig. 6), famoso condottiero delle campagne di guerra contro i francesi nei Paesi Bassi dagli inizi del XVIII secolo in poi. A Blenheim, residenza dei duchi di Marlborough, il dipinto dell’Orsi (non si sa sotto quale nome, probabilmente ancora come Correggio) rimase fin verso la metà dell’Ottocento, quando toccò in eredità a John Winston Spencer Churchill (fig. 7), settimo duca di Marlborough e nonno paterno del più famoso Winston Churchill, primo ministro inglese durante la II guerra mondiale.

 

La sigla “665 W” che era stampigliata nel verso della cornice originale (oggi perduta ma nota attraverso riproduzione fotografica; vedi sopra fig. 5) della Annunciazione di Lelio Orsi corrisponde, appunto, al contrassegno della collezione di John Winston Spencer Churchill (1822-1883); raccolta in buona parte dispersa in due tornate d’asta presso Christie’s di Londra il 24 ed il 31 luglio 1886. L’ Annunciazione però non figurava negli elenchi di queste due giornate d’incanto, ed è presumibile che sia stata oggetto di altra vendita di cui non ci è giunta notizia, magari precedente, dato che il dipinto è pure assente nell’inventario dei quadri, di questo John Winston, del 1851.

Si perdono poi le tracce dell’Annunciazione per circa un secolo, fino al 1950, quando essa compare di nuovo a Roma, sul mercato antiquario e proveniente dall’Inghilterra, con l’attribuzione a Marcello Venusti.

Fig. 8 S. E. Maximo Etchecopar (1912 – 2001).

Qui la vide Federico Zeri che la rese nota[5], finalmente, come opera inconfutabile di Lelio Orsi (1952), prendendo successivamente occasione per individuare nel foglio seicentesco, incollato nel verso della tavoletta, un interessante archetipo delle moderne perizie commerciali[6]. Nel frattempo però l’opera era già stata acquistata da S. E. Maximo Etchecopar, ambasciatore d’Argentina presso la Santa Sede (fig. 8) negli anni intorno alla metà del secolo scorso, e trasferita a Buenos Aires. Qui la collezione dell’ambasciatore, appassionato raccoglitore di dipinti e oggetti d’arte[7], annoverava pezzi egizi, persiani, romani, del medioevo italiano; fra i dipinti, oltre l’Annunciazione di Lelio Orsi, quadri di diverse epoche: da Tiepolo e Casanova fino a Constable e De Chirico.

Dall’Argentina la tavoletta fu in seguito portata a Milano, nel 1988, per essere messa all’asta (asta Finarte 21 aprile). Fu acquistata dalla Galleria Matthiesen e nuovamente trasferita a Londra; rientrata in Italia (1991), venne in proprietà del notaio Carlo Veneri (1931-1991) di Reggio Emilia, la cui famiglia, dopo la sua morte, la cedette (2002) al Comune di Novellara.

Le peregrinazioni dell’Annunciazione dell’Orsi si concludevano dunque, dopo quasi quattro secoli, con un ritorno al punto di partenza.

Massimo PIRONDINI   Reggio Emilia  5 aprile 2020

NOTE

[1] Mostra a cura di Francesca Parrilla e Massimo Pirondini, coordin. scientifico e organizzativo di Yuri Primarosa, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, 11 ottobre 2019-6 gennaio 2020; catalogo Ed. De Luca.
[2] C. Cremonini, Le raccolte d’arte del cardinale Alessandro d’Este, in AA.VV., Sovrane passioni, Studi sul collezionismo estense, Milano, 1998, p. 116.
[3] G. Bora, I disegni del codice Resta, Milano, 1976, p. 273.
[4] Per questa, e altre notizie di seguito non specificate, si veda M. Pirondini, Lelio Orsi, gli acquisti del Museo Gonzaga di Novellara, in Orsi a Novellara: un grande manierista in una piccola corte, Atti della giornata di studi, Novellara, Teatro della Rocca, 19 – 20 novembre 2011, Rimini, 2012, pp. 40-43.
[5] F. Zeri, Lelio Orsi; una Annunciazione, in “Paragone”, 27, 1952, pp. 59-62.
[6] F. Zeri, Un Lelio Orsi trasformato in Correggio, ovvero un archetipo della perizia commerciale, in Diari di lavoro 2, Torino, 1976, pp. 123-131.
[7] L’ambasciatore Etchecopar coltivò, fra l’altro, molteplici interessi culturali: noti sono i suoi stretti rapporti con il famoso filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, per qualche tempo esule in Argentina; come studioso di Storia ispano-americana egli scrisse El fin del nuevo mundo, mentre  fra le altre sue pubblicazioni ricordiamo Breve y varia leccion (1963; aforismi, memorie e considerazioni, anche su temi artistici) e Visto al llegar (1982; memorie ed impressioni dei suoi soggiorni, come diplomatico, al Cairo, Londra e Roma).