Carlo Antonio Tavella, cultura arcadica e alchemica in un dipinto conservato presso il Museo Diocesano di Milano.

di Fabio OBERTELLI

Il dipinto in questione Paesaggio con figura femminile, pastore e gregge (Milano, Museo Diocesano inv. MD 2001.025.026) raffigura un crepuscolare paesaggio agreste nel quale sono inseriti, su differenti piani, animali e figure in pacifica comunione con l’ambiente circostante.

In primo piano è possibile notare una giovane donna dolcemente adagiata su di un masso intenta a dialogare con un pastore, il tutto attorniato da un mansueto gregge di pecore. In secondo piano è possibile scorgere una figura maschile suonante uno strumento a fiato in presenza di armenti. La calda luce del tramonto percola su tutto il fondale naturalistico dei dolci clivi ammantanti di nuances pastello e sugli edifici civili che con esso si fondono, donando allo stesso una luminescenza aranciata-rosacea che investe la composizione in primo piano. La metà sinistra della tela è occupata, invece, da una selva dai toni fortemente scuri e nettamente contrastanti con il resto del dipinto.

L’opera dimorava presso la collezione del cardinale Giuseppe Pozzobonelli (1696-1783), arcivescovo di Milano dal 1743 fino alla sua morte, avvenuta in odore di santità, personalità di spicco della Milano del XVIII secolo e raffinatissimo collezionista di tele sei-settecentesche aventi tutte come soggetto il medesimo tema pastorale-arcadico. Alla sua morte la raccolta pittorica confluì nelle collezioni arcivescovili, dove rimase fino alla parziale esposizione del nucleo presso il Museo Diocesano di Milano (Biscottini, Righi, Venturelli 2001, pp. 73-75). La tela di Tavella viene esplicitamente menzionata nell’inventario Appiani-Belinzaghi del 1802 insieme all’opera del medesimo autore Paesaggio con pescatori esposta nella stessa sede museale (Franchini Guelfi 1977, pp. 25-26). Tutta la collezione Pozzobonelli è attraversata da un fil rouge che lega tra loro le opere. La raccolta nasce con un’idea di organicità (Biscottini, Righi, Venturelli 2001, pp. 73-75), come rappresentazione della florida cultura dell’Arcadia, diffusasi a Milano nel XVIII secolo.

Lo stesso cardinale era autore di sonetti che venivano recitati durante le riunioni degli arcadi e la sua inclinazione collezionistica va dunque letta in un’ottica d’evasione culturale rispetto alla razionale politica attuata dall’alto prelato milanese. Come riporta egli medesimo nei propri scritti testamentari (Franchini Guelfi 1977, p. 25) “fatta la raccolta di molte Pitture, di celebri pittori moderni (…) e considerando io essere detti pezzetti fatti e disposti in misura si giusta e precisa, che se avessero a rimuoversi, o vendersi, perderebbero molto del loro pregio” la concezione d’unitarietà è condizione per l’apprezzamento delle opere stesse che infatti sono state concepite come variazioni della stessa tematica pastorale. Tale ultimo fattore d’analisi è fondamentale per concepire come la critica non si sia spesa in dibattiti iconografici, ma per lo più in vicende attribuzionistiche.

Per quanto concerne la presente tela, la corretta assegnazione alla mano di Tavella si deve a Franchini Guelfi (1977), che, nel suo volume dedicato ad Alessandro Magnasco, ha analizzato il florido sodalizio esistente tra i due pittori liguri. Fino alla puntualizzazione della studiosa, accolta in seguito anche da Bona Castellotti (1991), la tela veniva citata come opera di Pieter Mulier detto Cavalier Tempesta (difatti così appariva nell’inventario Appiani-Belinzaghi del 1802) a causa dell’assonanza compositiva con le altre opere di tale artista e della stretta frequentazione intercorsa tra i due pittori. Sulla cronologia dell’opera, la critica è concorde nell’assegnarla alla fase matura di Tavella. Bianchi (1999) ha proposto una datazione attorno al terzo decennio del Settecento, considerando le affinità con opere come Paesaggio Pastorale di Palazzo Rosso a Genova e Paesaggio con figure e Paesaggio con San Giovanni Battista dell’Accademia Ligustica di Genova, tutti dipinti realizzati da Tavella nel periodo della sua maturità artistica tra il 1720 e il 1730. Roethlisberger Bianco, all’interno del suo volume dedicato a Pieter Mulier, tratta alcune opere del nostro pittore a lui note. Tra queste ultime è possibile individuare la tela Paesaggio (Roethlisberger Bianco 1970, p. 124, tav. 385) conservata in collezione privata genovese, che condivide con il dipinto in esame numerose assonanze stilistiche, quali per esempio una maggior delicatezza nella rappresentazione dello sfondo scenico selvico. Per quest’opera Roethlisberger Bianco propone una “esecuzione tarda”.

Condividendo con la critica il fatto che la tela in questione costituisca una chiara produzione matura dell’artista, mi sento di proporre per essa una datazione sì matura, ma non così tarda come potrebbe essere il terzo decennio del XVIII secolo. Personalmente credo che l’opera, come cercherò di argomentare, possa essere stata realizzata intorno al 1710. Innanzitutto bisogna sottolineare come la figura maschile in secondo piano, intenta a suonare uno strumento a fiato, sia la derivazione di un’invenzione di Magnasco. Come esplicitato da Franchini Guelfi, Magnasco e Tavella erano uniti da uno stretto legame di collaborazione artistica. Come ricordato da Ratti nelle sue biografie, poiché il Tavellanon era pittor di figure”, Magnasco era solito passargli i suoi disegni di figure da copiare e da inserire nei suoi paesaggi (Soprani, Ratti 1768, pp. 198-207). Tra le varie “macchiette” (così vengono chiamati i disegni di piccole figure realizzati da Magnasco da inserire in qualunque contesto paesistico) pubblicate da Franchini Guelfi spiccano Boscaiolo che trasporta un tronco e Viandante seduto (Franchini Guelfi 1999, pp. 97, 99, tavv. 6, 8), datate entrambe agli inizi del Settecento.

Queste ultime macchiette sono state utilizzate dal Tavella nei suoi dipinti, ma è importante sottolineare come la seconda figura condivida le fattezze, la posizione, i vestimenti e gli attributi che contraddistinguono il suonatore presente in secondo piano nel dipinto del Museo Diocesano. Un altro particolare che mi porta a sostenere una non così tarda esecuzione dell’opera è la scelta cromatica delle vesti della figura femminile posta in primo piano. L’accostamento nell’abbigliamento femminile del blu e del bianco non è un fatto puramente casuale. È importante evidenziare, infatti, come figurette sì vestite fossero una cifra stilistica tipica di un preciso milieu culturale: la Schildersbent. Con questo termine si indica un’associazione di pittori, principalmente olandesi e fiamminghi, che operò a Roma dal 1620 al 1720 opponendosi ai dettami artistici e ordinamentali dell’Accademia di San Luca. I membri della Schildersbent venivano chiamati Bentvueghels e fra questi vi erano numerosi artisti paesaggisti specializzati nella produzione di opere italianates, ovvero paesaggi ispirati alle produzioni pittoriche italiane qui rivisitate aggiungendo motivi e rovine classiche oppure scene agresti dal sapore arcadico. Numerosi sono i lavori di eccellenti Bentvueghels che presentano in primo piano figurette femminili vestite con la bicromia bianca e blu. Ne sono esempi: Un paesaggio italiano con viaggiatori al ruscello di Jan Asselijn (Christie’s 2019, lotto 10), Persone al lavoro presso una scala di Thomas Wyck (Dorotheum 2017, lotto 398), Paesaggio con donna sul mulo di Jan Both (Parigi, Museo del Louvre, inv. n. 1065).

È interessante notare come già Nicolas Poussin avesse sperimentato questa orchestrazione cromatica nell’abbigliamento delle arcadi in composizioni come I pastori d’arcadia (Chatsworth House, Devonshire Collection) e il trionfo di Flora (Dresda, Gemaldegalerie, inv. n. 719). Le opere italianates si presentano dunque come una particolare fusione di elementi estetici propri del classicismo pittorico di Poussin e di Lorrain (per quanto concerne la costruzione paesaggistica) e di poetica sociale para-bambocciante con scene tratte anche dall’umile quotidianità contadina. La rappresentazione arcadica diventa in questa soluzione, dunque, l’evoluzione delle scene pastorali proprie della collettività rurale.

Sulla motivazione e sul perché di questo preciso accostamento cromatico mi pare meritevole l’interpretazione offerta da Baldini che vede nella scelta del blu e del bianco un preciso riferimento alla cultura alchemica: il blu come simbolo dell’acqua, il bianco come simbolo dell’aria. Queste cromie, sommate alle altre del paesaggio e della luce atmosferica, si prestano a divenire la trasmutazione in chiave simbolica dei quattro elementi naturali. Lo stesso Pieter Mulier inserisce figurette femminili così abbigliate in entrambi i dipinti conservati, anch’essi, presso il Museo Diocesano di Milano: Paesaggio con pastore e pecore che si abbeverano al fiume (inv. n. MD 2001.025.023) e Paesaggio con pastori (inv. n. MD 2001.025.024). La diffusione di questa cromia bianco-blu trova ulteriore impiego in ambiente genovese-romano. Il ligure Baciccio ci offre infatti diversi esempi di fanciulle bibliche e divinità pagane similmente abbigliate (Petrucci 2009, pp. 615, 629): ne sono esempi Lot e le figlie (Greenville, Bob Jones University) e Diana cacciatrice (Minneapolis, The Minneapolis Institute of Arts) che colpiscono per l’intensità cromatica del ceruleo intenso smorzato dal nitore delle tuniche bianche.

Entrambi i dipinti di Baciccio, dalla critica assegnati agli anni Novanta del XVII secolo, presentano inoltre assonanze con la posa della figura femminile del dipinto di Tavella: corpi mollemente adagiati, quasi profilati, con le spalle discinte. Per tutti questi spunti sono più propenso a suggerire una datazione per la tela in questione attorno al 1710. Un periodo dove Tavella matura una sensibilità più autonoma rispetto alle suggestioni di Mulier, anche se le stesse costituiscono, per alcuni aspetti, un riferimento cardinale per il nostro pittore. È d’altronde evidente l’omogeneità del dipinto di Tavella con le altre opere del Mulier collezionate da Pozzobonelli ed esposte nella stessa sede museale. La resa luministica s’ammorbidisce e si declina in cangianti tinte dal tono rosa amaranto che si placano nel cupo ventre selvico per creare questa interessante variazione dove Tavella medita su Dughet, Lorrain e il Cavalier Tempesta.

Fabio OBERTELLI    Piacenza 122 ottobre 2019

Bibliografia:

– F. Franchini Guelfi, Alessandro Magnasco, Milano 1977
– M. Bona Castellotti, La collezione del cardinale Giuseppe Pozzobonelli, in Collezionisti a Milano nel Settecento: Giovanni Battista Visconti, Gian Matteo Pertusati e Giuseppe Pozzobonelli, Firenze 1991, pp. 91-111
– E. Bianchi, in Quadreria dell’Arcivescovado, a cura di M. Bona Castellotti, Milano 1999, p. 263, fig. 275
– P. Biscottini, N. Righi, P. Venturelli, Il Museo Diocesano di Milano. Guida, Milano 2001
– P. Biscottini, Museo Diocesano di Milano, Milano 2005
– A. Devitini, La pittura di paesaggio nella Collezione Pozzobonelli, in Lo sguardo sulla natura. Luce e paesaggio da Lorrain a Turner, Milano Museo Diocesano (14/10/2008 – 11/01/2009), catalogo della mostra a cura di P. Biscottini, E. Bianchi, Milano 2008, pp. 63-73
– Righi, in Museo Diocesano, a cura di P. Biscottini, Milano 2011, p. 42
– R. Soprani, C. G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, Genova 1768, ed. cons. ris. anast. Bologna 1969
– M. Roethlisberger-Bianco, Cavalier Pietro Tempesta and his time, Newark 1970
– M. Marini, Caravaggio e il naturalismo internazionale, in Storia dell’arte italiana, a cura di F. Zeri, vol. II,Torino 1981
– M. C. Galassi, Carlo Antonio Tavella, in La Pittura a Genova e in Liguria, a cura di C. Bozzo Dufour et al., vol. II, Genova 19872, p. 324
– E. Gavazza, F. Lamera, L. Magnani, La pittura in Liguria: il secondo Seicento, Genova 1990
– F. Franchini Guelfi, Alessandro Magnasco: i disegni, Genova 1999
– F. Baldini, Et in arcadia ego: semantiche mito-ermetiche in Guercino e Poussin, in “Episteme – An International Journal of Science, History and Philosophy”, vol. 5, 2001
– F. Petrucci, Baciccio: Giovan Battista Gaulli 1693-1709