Viviana Farina ripercorre la vicenda della “Carità romana” di Artemisia Gentileschi recuperata dai Carabinieri. ” Dipinto di grande rilievo, lo esposi io stessa a Conversano; più che bizzarra la concessione della esportazione”

P d L

Varie agenzie ed organi di stampa hanno riportato la notizia del recupero, da parte dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, di un dipinto raffigurante la Carità Romana di Artemisia Gentileschi, esportato in Austria per essere esitato presso la casa d’Aste Dorotheum (che evidentemente non ha alcuna responsabilità nel caso si dovessero riscontrare difetti o manchevolezze nell’uscita del prestigioso dipinto dall’Italia); comunque About Art ha ritenuto di dover sentire il parere della casa d’aste attraverso una nota di chiarimento senza ottenere risposta; invece abbiamo ritenuto opportuno chiedere alla Prof.sa Viviana Farina, che aveva esposto il dipinto nella mostra tenutasi nel 2018 a Conversano, un da storica dell’arte non sul ‘caso’ bensì sull’importanza del quadro.

Viviana Farina è docente di I^ fascia di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli

-Professoressa Viviana Farina certamente hai saputo del recupero in Austria da parte dei Carabinieri del Nucleo Patrimonio Artistico, presso una nota casa d’aste, del dipinto raffigurante la “Carità Romana” di Artemisia Gentileschi. Tu il quadro lo conosci molto bene, mi pare, quindi puoi chiarire per About Art innanzitutto se è del tutto corretta e condivisa l’attribuzione alla mano della pittrice e, se è così, vuoi ricostruirne per noi la vicenda collezionistica?

Artemisia Gentileschi, Carità Romana (fonte Ansa)

R: Ho appreso le notizie più precise dalla conferenza stampa che si è tenuta ieri a Bari. La locale Procura della Repubblica ha alacremente lavorato sul caso, con la fondamentale collaborazione della Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bari e di Beatrice Bentivoglio Ravasio, già Dirigente della DG ABAP-Servizio IV del MiC, e, come ricordi tu sopra, caro Direttore, di più di un nucleo del Gruppo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale.

Andrò subito al punto che ti interessa: l’attribuzione. È indubbio che la Caritas Romana sia un pezzo formidabile della piena maturità di Artemisia Gentileschi, che ho avuto lungamente modo di studiare al tempo in cui sono stata co-curatrice, insieme con Giacomo Lanzillotta, coadiuvati da Nicola Cleopazzo, di una mostra dal titolo Artemisia e i pittori del conte. La collezione di Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona a Conversano promossa dalla società di servizi Armida di Conversano con il grande sostegno della Regione Puglia. L’evento ha avuto luogo nel Castello aragonese della città di Conversano – vale a dire esattamente nella sede per cui nacque il dipinto che ci interessa – e nella vicina chiesa di San Giuseppe (14 aprile – 30 settembre 2018).  Si tratta dell’edificio che costituisce oggi la sede della Pinacoteca Comunale – lo spieghiamo a chi sia del tutto ignaro dell’argomento – in cui, dopo un’altra rocambolesca vicenda, si conserva anche l’eccezionale ciclo illustrativo della Gerusalemme liberata del Tasso, richiesto da Giangirolamo II, allora proprietario del castello, a Paolo Finoglio (all’incirca tra il 1635 ed il 1643), il pittore di casa Acquaviva d’Aragona.

Non credo si sbagli ad affermare che la Caritas Romana rappresenti una traccia fondamentale di uno dei capitoli più brillanti della storia dell’arte in Puglia in età moderna, in quanto parte della originariamente ricca collezione del conte di Conversano e duca di Nardò e di sua moglie Isabella Filomarino della Rocca. La coppia si distinse per l’intenso mecenatismo culturale, operato su vasta scala e indirizzato all’intero campo delle arti, con la chiara ambizione di dare al feudo prescelto il volto preciso di una quasi autonoma signoria. I conti lasciarono in quanto residenza fissa il palazzo di Napoli e, nell’ambito di una politica culturale neo-feudale allora in voga, si dedicarono alla valorizzazione di Conversano.

Giangirolamo II fu un uomo straordinario: con macchie ma senza paura, guerriero indefesso, personalità ardita, pericoloso sollevatore dei malumori contro il viceré di Napoli duca di Medina de las Torres, ma pure, nel corso dei moti rivoluzionari del 1647, repressore con fervore di Masaniello, protagonista della politica nazionale e internazionale, fino a comparire nella corrispondenza francese quale possibile alleato contro la corona spagnola. E in carcere finirà infine per accusa gravissima di alto tradimento contro Felipe IV. Il ritratto che ne esce – e che ripercorro nel mio saggio introduttivo al catalogo – è degno dei Promessi sposi manzoniani. Le notizie di questi giorni tacciono dunque alcuni aspetti fondamentali della vicenda.

-Come Giangirolamo II entrò in contatto con Artemisia Gentileschi? Ebbe egli altri quadri della celebre maestra nella sua raccolta personale?

Alla prima domanda non sono stata in grado di rispondere, ma di certo la fama napoletana della pittrice, soprattutto dopo gli incarichi per il Duomo di Pozzuoli, era del tutto acclarata. Quanto alla durata della relazione professionale tra l’Acquaviva e la Gentileschi, voglio ricordare che nel medesimo castello di Conversano figurava anche una Betsabea al bagno che è certamente il dipinto di Artemisia ceduto nel 1939, insieme con le Storie del Tasso di Finoglio, dall’allora proprietario dell’immobile, Domenico Ramunni, al conte Ettore Manzolini di Roma. La tela – in cui mi sembra giusto riconoscere l’intervento della bottega e che mostra uno stile più tardivo rispetto a quello della Caritas Romana – è stata rivenduta nel 1978 presso Franco Semenzato e poi riapparsa sul mercato dell’arte nel 2011, quando fu offerta anche al Comune di Conversano, purtroppo allora non in grado di coprire la cifra necessaria all’acquisizione. I curatori della mostra intitolata ad Artemisia Gentileschi a Parigi nel 2012 – Roberto Contini e Francesco Solinas – l’hanno comunque individuata in una collezione privata. L’inventario di Giangirolamo del 1666 menziona infine anche una terza opera, una «Madonna» riferita sempre ad Artemisia, di cui si ignorano le sorti.

-Il ‘nostro’ quadro era dunque inedito e in collezione privata. A te spetta il merito di averlo scovato, puoi raccontarci come avvenne e come riuscisti a presentarlo in mostra a Conversano nel 2018?

R: È più esatto dire che il quadro era fino al 2018 inedito così come da me presentato, ovvero come opera interamente autografa di Artemisia Gentileschi. E che prima della mostra non era mai stato esposto o studiato nel dettaglio. Altrettanto inesatto è che sia io l’autrice materiale del ritrovamento. L’opera è stata sottoposta alla mia attenzione tra la fine del 2016 e il principio del 2017 dagli organizzatori della mostra, la Cooperativa Armida di Conversano, nella persona di Carlo Mansueto, presente il proprietario e il primo comitato tecnico-scientifico del futuro evento espositivo. Ebbi così modo di giudicare la tela dal vero e stabilire che si trattasse di un manufatto di altissima levatura attorno al quale avrei costruito la mostra. Vi era, infatti, fin da allora certezza che il dipinto si trovasse da molti anni custodito in un castello di famiglia, che seppur costruito in era successiva all’esistenza del committente, era pur sempre luogo legato alla diretta discendenza di Giangirolamo II. Roberto Contini, facente parte del comitato scientifico della mostra e indiscusso conoscitore dell’artista, espresse da subito il suo entusiasmo per questa importante aggiunta al tempo napoletano di Artemisia. Lo ha scritto nel suo saggio di catalogo e lo ha ribadito davanti l’opera, in occasione della presentazione al pubblico dello stesso volume nel Castello di Conversano.

– Vuoi spiegare se e quale importanza riveste il dipinto e come si deve collocare nel cammino artistico di Artemisia Gentileschi?

R: Direttore, come ho già accennato, il quadro è del momento napoletano della maestra. Per una serie di circostanze storiche che mi sembrano più che verosimili, ho proposto una datazione al periodo 1640/1645, con la possibilità di circostanziare maggiormente la cronologia ad un momento successivo a quattordici mesi del biennio 1643-1644. Consentimi di suggerire, a chi fosse particolarmente interessato, di compulsare direttamente il mio testo in catalogo per rintracciare le argomentazioni alla base di tale ipotesi. Posso aggiungere oggi, grazie alle immagini che mi è riuscito di recuperare in rete, che mi sembra che l’opera sia stata sottoposta ad una leggera pulitura successiva al tempo in cui l’ho studiata. L’autografia mi appare ulteriormente confermata dalla qualità altissima delle tinte, nonché dalla possibilità di apprezzare ancora meglio la raffinatezza dei giochi delle pieghe e dei passaggi chiaroscurali del torso ignudo di Cimone.

-La mostra di Conversano curata da te e da Giacomo Lanzillotta venne anche criticata da un paio di tuoi colleghi; vuoi provare ora a distanza di quattro anni a cercare di capirne le motivazioni?

R: Sinceramente preferisco far parlare il mio lavoro. I giudizi espressi a titolo personale sono, come sempre, opinabili. Si deve sapere controbattere sul piano scientifico quando e se si posseggono gli strumenti e le argomentazioni adeguate. Nell’ambito dell’auspicabile valorizzazione della storia culturale di un territorio ospitante eventi del genere della mostra di Conversano, coglierei piuttosto l’occasione per ricordare che il volume relativo all’evento e di cui sono l’unica curatrice ha ricevuto nel novembre del 2021 il Premio speciale della Giuria del Centro Studi Maria Marangelli –  XXVI Edizione. “Cultura e società nella Puglia di ieri e di oggi”.

Un altro indiretto omaggio al lavoro svolto in occasione della mostra mi sembra l’attuale esposizione al Museo di Capodimonte, nell’ambito della nuova rassegna dedicata a Battistello Caracciolo, di due opere che scelsi per il mio allestimento, allora sconosciute al pubblico italiano se non proprio inedite. Faccio riferimento a Fortitudine pares (Cupido e la Morte), una tela delle collezioni del Museo della Cattedrale di Mdina, lungamente studiata da Roberta Lapucci, e a una Leda e il cigno in collezione privata, documentata parte della raccolta di Giangirolamo Acquaviva d’Aragona. Sebbene Stefano Causa, curatore insieme con Patrizia Piscitello della mostra su Battistello ed io differiamo sulle possibili attribuzioni, mi sembra comunque uno spunto interessante.

– Per concludere ti chiederei un giudizio sul fatto che il dipinto sia stato bloccato dall’autorità giudiziaria; molti – specie nel campo del commercio d’arte – si lamentano di leggi eccessivamente restrittive in Italia; al di là del caso in oggetto, in genere cosa ne pensi?

R: Mi scuserai, ma voglio invece rimanere proprio al caso in oggetto. Adotterò una frase televisiva oramai parte del linguaggio comune e direi di lasciare ora lavorare la magistratura e le forze preposte alla tutela di beni del genere della Caritas Romana di Artemisia. È necessario intanto spiegare ai lettori che il quadro in oggetto si trova per la prima volta registrato nell’inventario post mortem del conte Giangirolamo II. Il documento, del 1666, menziona, senza possibilità di equivoco, l’opera nel soggetto e nell’attribuzione alla Gentileschi figlia. Si tratta per altro di un inventario anch’esso costituente parte del nostro patrimonio pubblico, conservato presso l’Archivio di Stato di Bari. Il volumetto fu esposto in mostra in teca apposita a forte sostegno dell’attribuzione stilistica ad Artemisia della Caritas Romana. Grazie ai numerosi articoli usciti in soli due giorni, inoltre, non è più oramai una notizia privata che l’ultimo discendente della casata, il principe don Fabio Tomacelli Filomarino, aveva ancora con sé il quadro commissionato dal suo antenato al momento del decesso, credo intorno all’anno 2000. Direi, dunque, che dinnanzi ad un pedigree puro come quello del dipinto fuoriuscito da Conversano, sia del tutto esclusa la possibilità di esportazione, visto l’enorme valore storico-artistico ancora prima che economico.

Mi permetto anche di aggiungere che la concessione del permesso di exporting suona in questo caso più che bizzarro. Ogni funzionario preposto sa di dovere operare un controllo personale sulle fonti acquisite dalle mani di chi sollecita tale permesso. Tenuto in conto che Google consente con ogni agilità la ricerca e che la Caritas romana costituiva sia la locandina che la copertina del catalogo della mostra, non si intende minimamente come questo possa essere accaduto. Ad ogni modo, se mai, ad indagine conclusa, lo Stato volesse ancora esercitare il diritto di prelazione, voglio sottolineare che l’opera andrebbe acquisita solo per la sede che l’ha vista ospite alla nascita: il Castello di Conversano, il castello del Guercio delle Puglie.

P d L  Roma 20 Luglio 2022