Ancora su Caravaggio e “La Presa di Cristo”; nuove considerazioni sulle due versioni.

di Claudia RENZI

CARAVAGGIO: CONSIDERAZIONI SULLE PRESA DI CRISTO BIGETTI E DUBLINO

Nel 1602 Caravaggio dipinse per Ciriaco Mattei, per il quale aveva già eseguito la Cena in Emmaus (Londra, National Gallery) e il San Giovanni Battista (Roma, Pinacoteca Capitolina), una Presa di Cristo che ebbe enorme fortuna.

Il dipinto risulta saldato al pittore in data 2 gennaio 1603 per il compenso di 125 scudi:

Adì 2 di Genn.o 1603 e pui devono havere sc. cento vinticinque d mo.ta di iulij x sc.o p. tanti pagati à Michel Angelo di Caravaggio p. un quadro con la sua cornice depinta d’un Cristo preso all’orto devo sc. 125[1].

Il dipinto risulta poi protetto da una tendina di taffetà rosso (che, oltre a preservarlo, dà la misura di quanto fosse tenuto in considerazione[2]) appeso in una stanza al pian terreno del Palazzo Mattei di Giove alle Botteghe oscure assieme a una Disputa tra i dottori di Antiveduto Grammatica (coll. priv.) inserita a sua volta in una cornice rabescata e protetta da un’altra tendina stavolta verde[3].

Bellori, confondendo i committenti, scrisse:

Concorsero al diletto del suo pennello altri Signori Romani; e tra questi il Marchese Asdrubale Mattei gli fece dipingere la Presa di Christo. Tiene Giuda la mano alla spalla del maestro, dopo il bacio; intanto un Soldato tutto armato stende il braccio, e la mano di ferro al petto del Signore, il quale si arresta patiente, e humile con le mani incrocicchiate avanti, fuggendo dietro San Giovanni con le braccia aperte. Imitò l’armatura rugginosa di quel soldato coperto il capo, e’ l volto dall’elmo, uscendo alquanto fuori il profilo; e dietro s’innalza una lanterna, seguitando altre due teste d’armati.[4].

La Presa di Cristo conservata a Dublino (1602, National Gallery of Ireland) (Fig. 1), che vidi anni fa qui a Roma nella grande mostra al Quirinale, è ritenuta dalla maggior parte degli studiosi di Caravaggio il prototipo originale, anche per la sua qualità indiscutibile.

Fig. 1. Caravaggio Presa di-Cristo Dublino, National Gallery of Ireland

Nella recente mostra in corso ad Ariccia, Palazzo Chigi, Caravaggio. La Presa di Cristo dalla collezione Ruffo viene esposta, dopo attento restauro, la versione già Sannini-Ruffo ora in collezione Bigetti (Fig. 2): essa costituisce un unicum tra le oltre 15 versioni attualmente note, Dublino compresa, per via delle sue più ampie misure e pone inevitabilmente dei quesiti, il primo dei quali verte sulla sua totale o meno autografia.

Fig. 2, Caravaggio (e aiuto ?), Presa di Cristo, coll. Bigetti

Non mi addentrerò nel ginepraio della questione documentale, del resto ampiamente (e anche animatamente) dibattuta da studiosi ai cui contributi, anche recentissimi, rimando[5]: mi limiterò a considerazioni di carattere prevalentemente artistico-iconografico.

Durante la visita alla mostra in essere a Palazzo Chigi ad Ariccia ho avuto la fortuna e il piacere di imbattermi nel Prof. Francesco Petrucci, che avevo già incrociato anni fa nella biblioteca del palazzo mentre consultavo un inventario per la mia tesi di laurea specialistica e, come allora, il professore ha avuto la squisitezza di intrattenersi con me per diversi minuti, concedendomi di fatto una lezione ad personam a pochi passi dal dipinto che, dopo quasi settant’anni, torna ad essere esposto al pubblico.

Il tema del dipinto Bigetti, così come per quello a Dublino, è riconducibile all’arresto di Gesù nel giardino dei Getsemani narrato nei Vangeli al momento in cui Giuda, con il segnale convenuto, consente ai soldati di individuare il ricercato Gesù: come un sasso lanciato nello stagno, l’azione irradia dal bacio di Giuda che, tradito il maestro, si ritrae.

Giuda sembra non vedere già più il Messia, ma fissare piuttosto il vuoto del futuro che lo aspetta; nei suoi occhi sgranati c’è un certo sgomento dovuto forse all’udire le parole del maestro “Giuda, tradisci il Figlio dell’uomo con un bacio?” (Luca, 22: 48), quasi abbia preso consapevolezza di ciò che ha fatto, che lo porterà a voler restituire i 30 denari e finire la sua corsa appeso a un ramo come quello visibile, perpendicolare alla sua testa, nella sola versione di Dublino.

La sua mano si aggrappa allora al braccio di Gesù che, a differenza degli altri personaggi, sembra immobile, perno del turbinio che vortica tutt’intorno. Le sue mani intrecciate, anticipatrici di quelle del diacono nel Seppellimento di Santa Lucia (1608, Siracusa, Santuario di Santa Lucia al Sepolcro)[6], esprimono tutta l’ineluttabilità del momento. Sulla sx del dipinto, alle spalle di Gesù, il giovane citato da Marco 14: 50,52:

Un giovane lo seguiva coperto soltanto con un lenzuolo; e lo afferrarono, ma egli, lasciato andare il lenzuolo, se ne fuggì nudo.”.

Il giovane caravaggesco non è nudo, ma abbigliato con veste verde e manto rosso: questi colori, convenzionalmente attribuiti a san Giovanni evangelista, e le parole di Bellori, hanno indotto molti a identificare la figura come Giovanni, che pure è il discepolo più giovane e più amato nonché l’unico (Giovanni, 18: 3) a citare le lanterne e a dare la collocazione esatta del giardino (Gv, 18: 1).

Parte del pallio rosso del giovane, afferrato a due mani dal sodato barbuto, si gonfia a disegnare un arco che incastona i volti suoi, di Gesù e di Giuda in un arcobaleno di emozioni cangiante dallo sgomento all’accettazione al pentimento. Sul lato dx del dipinto, l’irruzione dei soldati in armature contemporanee a Caravaggio evidenzia, come già accaduto nei laterali Contarelli, quanto la prevaricazione di un innocente sia attuale in ogni tempo; la loro freddezza metallica, in contrasto ai toni caldi pur presenti nel quadro, accentua l’indifferenza del male.

All’estremità opposta del giovane fuggiasco, Caravaggio si è autoritratto con una lanterna in mano, testimone fuori dal tempo (la lanterna, infatti, non serve a illuminare la scena) eppure in esso per sempre.

La Presa di Cristo oggi in collezione Bigetti misura cm 142 x 218,5; la Presa di Cristo a Dublino, dalla quale dipendono tutte le repliche note, misura cm 133,5 x 169,5.

Il dipinto Bigetti fu preso in considerazione già da Roberto Longhi nel 1943 [7] e proposto alla grande mostra milanese del 1951 come copia da originale perduto (Longhi non poteva infatti conoscere la versione di Dublino, rintracciata nel 1990[8]).

Francesco Petrucci sostiene la provenienza della tela Bigetti dalla collezione Mattei identificando l’opera con l’originale pagato a Caravaggio da Ciriaco nel 1603[9], al quale poi lo stesso Ciriaco avrebbe affiancato un “doppio” di misure minori che andrebbe identificato invece nel dipinto ritrovato nel 1990 da Sergio Benedetti [10]. Dunque per Petrucci quella di Dublino sarebbe una seconda versione autografa della Presa di Cristo, mentre l’autografo originale, il prototipo realizzato per Ciriaco Mattei nel 1602 con la “cornice depinta”, andrebbe riconosciuto nella tela Bigetti [11].

Senz’altro il dipinto Bigetti presenta, a differenza di tutte le altre versioni note, una superficie pittorica più ampia e, di conseguenza, qualcosa che nelle altre manca: una maggior porzione delle braccia del giovane “Giovanni”; un maggior apprezzamento di come è abbigliato Caravaggio; lo sfondo pressoché totalmente nero convoglia l’attenzione sui personaggi, sebbene dalle radiografie siano emerse interessanti sorprese: le analisi radiografiche hanno infatti rivelato la presenza di un altro soldato, che spunta alle spalle di Caravaggio (Fig. 3).

Fig. 3, Caravaggio, Presa di Cristo, coll. priv. Bigetti (partic. radiografia)

Mettendo a confronto i due dipinti – probabilmente, a diverso titolo, entrambi autografi – emergono sia divergenze che similitudini.

Estremamente simili in entrambe le versioni sono le armature dei soldati, finanche nei dettagli, specialmente quella del soldato centrale che è debitrice a sua volta della Presa di Cristo incisione di Dürer [12] facente parte della cd. Piccola Passione (Fig. 4);

Fig. 4, Albrecht Durer, Presa di Cristo nell’orto, incisione dalla Piccola Passione

la lanterna e la mano che la sorregge, e il volto di Giuda (Fig. 5).

Fig. 5, Presa di Cristo Bigetti (sx)  e Dublino (dx), partic. cfr volto di Giuda

L’enfasi del gesto del giovane fuggiasco è accentuata nella versione Bigetti, quasi un movimento teatrale, sebbene il suo volto, e il sembiante in generale, sembri più spento rispetto alla versione di Dublino (Fig. 6); decisamente più striminzito il viso del soldato barbuto, reso quasi con un certo impaccio; più edulcorato anche il volto dello stesso pittore.

Fig. 6, Presa di Cristo Bigetti (sx) e Dublino (dx), partic. cfr giovane fuggiasco

Differente è il colore blu del manto di Gesù, che in Dublino è brillante, mentre in Bigetti è più cupo, avendo il pittore usato lo

smaltino, colore piuttosto inusuale, ottenuto macinando un materiale vetroso pigmentato [… e che] ossida sensibilmente girando verso il bruno[13].
Fig. 7, Cena in Emmaus, Londra National Gallery, Presa di Cristo Bigetti e Dublino, partic. ciocche

Le ciocche dei capelli del Maestro nel dipinto Bigetti, arricciate a cavatappi, sono dipinte per “velatura” analogamente alla Presa di Dublino, e ricordano anche le ciocche sempre di Gesù nella Cena in Emmaus (1601, Londra, National Gallery, anch’esso appartenuto a Ciriaco Mattei – Fig.7).

Soprattutto differente, però, sembra il volto del Gesù Bigetti, che il Prof. Petrucci ha definito, nella nostra conversazione, un “volto sindonico”.

L’osservazione mi ha colpito abbastanza da voler approfondire, facendo emergere elementi che possono essere valide, comunque, anche per il dipinto di Dublino.

Il volto di Gesù nel dipinto Bigetti è scarno, cereo, emaciato, e costituisce la parte più debole del dipinto, rispetto alla versione di Dublino, sebbene ugualmente che in quella Gesù è pervaso da rassegnazione e dolore: è già l’Agnello, è già l’Ecce homo, è già impresso nella Sindone (Fig. 8).

Fig. 8, Elaborazione volto Gesù Presa Bigetti e Sacra Sindone

Difficilmente Caravaggio può aver visto di persona la Sacra Sindone custodita a Torino, ma a Roma c’era un’altra sacra immagine, gemella di quella, che invece potrebbe avere visto.

Nel 1602 era papa Clemente VIII Aldobrandini. Da secoli a Roma si venerava la Veronica, brano di stoffa pietosamente offerto a Gesù da una donna che, da allora, tutti chiamano con lo stesso nome, col quale si riteneva che Egli si fosse deterso il viso durante la salita al Calvario, ma più sicuramente uno dei teli [14] con cui si usava coprire il volto del defunto una volta posto nel sepolcro. La reliquia, giunta a Roma a inizio 700[15] e custodita in Vaticano, attirava talmente tanti pellegrini da costituire “il vero palladium della città santa [16], soprattutto in occasione del Giubileo.

L’ultima volta che essa fu mostrata al pubblico fu in occasione dell’ostensione giubilare del 1600 [17]. Poco dopo se ne sarebbero perse le tracce: in un momento imprecisato tra il 1606, ultima volta in cui papa Paolo V l’ha avuta per le mani [18] e il 1616, quando lo stesso Paolo V si rende conto che la reliquia è stata trafugata durante i lavori da lui ordinati per il rifacimento della basilica di San Pietro; ne proibirà da allora la richiesta di visione speciale lasciando la gatta da pelare al successore che avrebbe dovuto inaugurare il successivo Giubileo, nel 1625.

Il Sacro Volto di Manoppello (Fig. 9) è pacificamente identificato con la Veronica custodita a Roma e trafugata da San Pietro[19], e “Sovrapposti uno all’altro, i tratti del Cristo della Sindone e di quello di Manoppello combaciano perfettamente.”[20].

Fig. 9, Sacro Volto di Manoppello

La sua particolarità, rispetto alla Sindone di Torino, è che il Volto, pur mostrando numerose ferite (del tutto compatibili con quelle sul Volto della Sindone), ha gli occhi aperti: “Si tratta del volto guarito[21]. Così scrisse la beata Giuliana di Norwich, vissuta nel XIV sec.: “Il Volto impresso sul Velo della Veronica, che si trova a Roma, muta di colore e aspetto, apparendo talvolta vivido e consolante, talaltra più afflitto e come morto, secondo che tutti possono vedere.”[22] [grassetto mio].

Il volto di Gesù nella versione Bigetti, si è detto, è emaciato; il volto nella versione di Dublino, pur essendo ritratto lo stesso modello, è più florido. Pensando al Volto di Manoppello ho voluto fare un esperimento constatando quanto il volto di Gesù nella Presa di Cristo di Dublino combaci (Fig. 10), persino per quel che riguarda la bocca schiusa!

Fig. 10, Elaborazione volto Gesù Presa di Cristo Dublino e Sacro Volto di Manoppelo

Dunque si può dire che anche la Presa di Cristo di Dublino raffiguri un Cristo dal volto sindonico. Nell’autoritratto di Caravaggio nella Presa di Cristo Maurizio Marini colse un riferimento a una possibile allegoria di Diogene che cercava l’Uomo con una lanterna, da cui Caravaggio-Diogene “cerca Cristo[23]; non è da escludere, allora, a questo punto, un forse ancor più calzante riferimento al “Il tuo volto, Signore, io cerco” del Salmo 26.

Tale cura nell’inserire riferimenti sorprendentemente colti nelle sue opere, tipica di Caravaggio, concorre a far ritenere che la Presa di Cristo di Dublino sia un dipinto del tutto autografo. I punti di contatto, ma anche le differenze, tra la Presa di Cristo a Dublino e la Presa di Cristo Bigetti fanno propendere d’altro canto per una effettiva, almeno in origine, autografia della tela Bigetti nella quale va riconosciuto, per le dimensioni, il prototipo.

Il dipinto Bigetti è, come già visto, la versione più ampia della Presa di Cristo caravaggesca: se un copista avesse dovuto eseguire una replica da questo supposto prototipo, non si sarebbe preso la libertà di variare tanto sensibilmente dal modello circa misure, personaggi, accessori, ecc.; mentre la “secchezza” del dipinto ammette l’intervento di una seconda mano.

La presenza, percepibile grazie alle radiografie, di una testa di soldato all’estrema dx, dietro l’autoritratto, poi coperta dalla mestica e non più visibile quindi nel dipinto “finale”, è significativa: somiglia molto a uno di quei “ripensamenti” già visti in Caravaggio (es. prima e seconda stesura del Martirio di Matteo, stesure che sono oggi note soltanto grazie alle radiografie) ed è quindi compatibile con l’ipotesi di un’autografia quantomeno iniziale.

Che Caravaggio licenziasse repliche autografe, se ciò gli chiedevano i committenti, è non soltanto plausibile ma certo, e coerente con il lavoro di un pittore nel suo caso divenuto (dopo le tele Contarelli) molto richiesto.

Si può in definitiva ipotizzare, con un certo grado di ragionevolezza, che la versione Bigetti sia stata iniziata da Caravaggio, e quindi da lui inventata, nelle sue parti fondamentali e originarie (personaggi, impostazione, dinamica) – ciò spiegherebbe l’iniziale presenza di un ulteriore soldato dietro Caravaggio all’estrema sx, poi ricoperto – e poi però abbandonata, seppur quasi finita, per motivi ignoti (es. perché soltanto una “prova”, come la Medusa Murtola rispetto alla Medusa oggi agli Uffizi, o a causa di misure sbagliate) e rifatta totalmente, riportando il disegno sulla nuova tela (Dublino) approntata nelle nuove, giuste misure: ecco allora sparire, nella versione di Dublino, la testa del soldato dietro Caravaggio, rimpiazzata dalle più evocative e meno ingombranti lance, poste a suggerire comunque la presenza di altri soldati nella porzione (ormai ridotta) all’estrema dx.

Si può in conclusione ammettere la coesistenza di due dipinti tecnicamente originali di cui però il maestro ha eseguito completamente, dall’inizio alla fine, soltanto uno, ovvero la versione di Dublino, che risulta concepita con quel preciso formato: Benedetti, che scoprì la Presa di Cristo oggi a Dublino, scrisse infatti che

Il dipinto ha un supporto formato da una singola tela di canapa, la cui tramatura, per numero di fili, appare identica, a un confronto radiografico, a quella del San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina. I lati della stessa appaiono rifilati in passato, poco sopra la linea dei chiodi d’ancoraggio al telaio originale. Ciò è constatabile ancora attraverso l’esame delle radiografie, che mostrano intatte le arcature provocate dalla iniziale tensione dei bordi. Pertanto, l’area dipinta della tela non ha subito alcuna riduzione o alterazione di proporzioni.”[24].

In altre parole il disegno deve essere stato riportato sulla nuova superficie pittorica disponibile “centrando” la scena, quindi elementi non indispensabili (le braccia del giovane a sx, un altro soldato a dx) sono stati cassati e non c’è stato alcun decurtamento[25].

Che un’altra mano abbia finito il lavoro iniziato dal maestro, cioè la versione Bigetti, può anche spiegare l’assenza qui, evidenziata da Vodret[26], della mestica scura solitamente lasciata a vista da Caravaggio per delimitare i profili delle sagome e, a volte, anche per fungere da sfondo.

Inoltre, la mano di Giuda nella versione Bigetti presenta una sorta di pomfo che non compare poi più né nella Presa di Cristo a Dublino né nelle repliche da quella generate[27]: il dettaglio è conciliabile con l’esistenza di un collaboratore che, portando a termine il dipinto, ha calcato su quel punto credendo fosse da evidenziare non avendo, a contrario di Caravaggio, il modello fisicamente davanti (nella Presa di Cristo a Dublino, infatti, la turgescenza non c’è né le fonti agiografiche riportano che Giuda avesse particolari segni sulle mani, quindi non è Caravaggio che ha dipinto un “segno” sulla mano di Giuda nella versione Bigetti).

Chi potrebbe essere questo ignoto collaboratore, all’epoca tanto amico di Caravaggio da poter mettere mano e terminare un suo dipinto lasciato incompiuto?

Giovanni Baglione, in merito a Prospero Orsi detto Prosperino delle Grottesche, scrive:

Diedesi l’Orsi a far delle grottesche, & eccellentemente le conduceva, onde n’hebbe il sopranome; e da tutti Prosperino dalle grottesche era chiamato, & hora per l’Uno, hora per l’altro andava prendendo opere, e formando pitture; e da difformi e varie parti ne componeva[28]

ovvero testimonia che Prosperino, “turcimanno di Michelangelo[29], era anche pittore di una certa manualità, e impiegava tra l’altro la stessa tecnica del collage o “patchwork” usata abitualmente da Caravaggio[30]. Il turcimanno è una sorta di promotore-impresario, sebbene per alcuni studiosi il termine “turcimanno” significherebbe anche “interprete/copista autorizzato”.

 In questo senso, già Marini[31] propose il nome di Prosperino quale collaboratore a quattro mani con Caravaggio per la versione della Presa di Cristo oggi a Odessa[32] (Odessa, Museo di Arte Occidentale e Orientale); in altre occasioni lo studioso propose quello di Mario Minniti[33], amico e forse collaboratore e modello del maestro, che però nel 1602 non pare essere documentato assieme a Caravaggio (i due si ritroveranno in Sicilia nel 1608) e dunque difficilmente può averlo assistito per la Presa di Cristo.

In mancanza di certezze, il misterioso aiutante rimane per ora anonimo ma ad ogni modo la Presa di Cristo Bigetti, se considerata iniziata da Caravaggio e abbandonata, potrebbe essere stata portata a termine da altra mano, certo meno talentuosa di quella del maestro: un compromesso salomonico forse è la spiegazione che può dare al dipinto il giusto riconoscimento.

© Claudia Renzi, Roma, novembre 2023

PS

Una parola va spesa infine per l’allestimento della sala espositiva. Pregevole la proposta di ricostruzione del tavolo da lavoro di Caravaggio con i colori da macinare, i medium, i solventi, cui c’è da aggiungere soltanto una cosa: un lapis.

NOTE

[1] Francesca Cappelletti, Laura Testa, Il trattenimento di virtuosi. Le collezioni secentesche di quadri nei palazzi Mattei di Roma, Roma, 1994, p. 140.
[2] Sembra invece una “fake” quella che vuole Amor Vincitore (1601-1602, Berlino, Staatliche Museum) tenuto protetto, in collezione Giustiniani, da una tendina verde scuro (Joachim von Sadrart, Teutsche Academie der edlen Bau, Bild und Mahlerey-Künste, Norimberga, 1675) poiché gli Inventari Giustiniani, pur menzionando “bandinelle”, non dicono nulla circa questo dipinto, cfr Silvia Danesi Squarzina (a cura di), Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento, Milano, 2001, p. 284.
[3] F. Cappelletti, L. Testa, op. cit., 1994, p. 174, n. 21.
[4] Giovanni Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, p. 254.
[5] Laura Testa, Il Cristo preso all’orto di Caravaggio della Collezione Mattei: un riesame della documentazione, https://www.aboutartonline.com/talking-about-art-caravaggio-la-presa-di-cristo-parlano-gli-esperti-laura-testa/; Rossella Vodret, Prime riflessioni sulla Presa di Cristo Bigetti a Palazzo Chigi di Ariccia, https://www.aboutartonline.com/talking-about-art-caravaggio-la-presa-di-cristo-parlano-gli-esperti-rossella-vodret/; Vittorio Sgarbi, https://www.aboutartonline.com/talking-about-art-caravaggio-la-presa-di-cristo-parlano-gli-esperti-v-sgarbi-conversazione-con-la/; Sergio Rossi Ancora su Caravaggio e i Mattei: addenda, verifiche e messe a punto, https://www.aboutartonline.com/excursus-caravaggesco/, con bibliografia precedente.
[6] Maurizio Marini, Caravaggio «pictor praestantissimus», Roma, 2005, p. 480.
[7] Roberto Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in: «Proporzioni», I, 1943, pp. 53-54.
[8] Sergio Benedetti, Caravaggio. The Master revealed, Dublino, 1993a; S.Benedetti, Caravaggio’s Taking of Christ, a Masterpiece rediscovered, in: «The Burlington Magazine», 135, 1088, 1993b, pp. 731-746.
[9] Francesco Petrucci, La ‘Presa di Cristo’ di Caravaggio dalla Collezione Ruffo, in: Francesco Petrucci (a cura di), Caravaggio. La Presa di Cristo dalla Collezione Ruffo, Roma 2023, pp. 1-92, p. 75.
[10] F. Petrucci, op. cit., p. 64.
[11] F. Petrucci, op. cit., pp. 5-6, 15, 64. L’ipotesi di una duplice redazione è stata avanzata già da Jacopo Curzietti, Un interrogativo sulla “Presa di Cristo” del Caravaggio, in Maria Grazia Bernardini (a cura di), Studi sul Barocco romano. Studi in onore di Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Milano, 2004, pp. 29-37, p. 30; J. Curzietti, La collezione Mattei, in Stefania Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Documenti, fonti e inventari 1513-1875, Roma 2010, pp. 404-405, p. 404. Ipotesi rigettata da Laura Testa, su «About Art online» del 25.10.2023, cit.: “Dal riesame dei documenti e delle fonti storiche, la tesi della originaria appartenenza del dipinto Sannini-Ruffo alla collezione di Ciriaco e Asdrubale Mattei non trova conferme.”.
[12] Come segnalato da Catherine Puglisi, Caravaggio, Londra, 1998, pp. 220-1.
[13] Come evidenzia la restauratrice Carla Mariani nella scheda tecnica, in: Vincenzo Pacelli, Gianluca Forgione (a cura di), Caravaggio: aspetti e problemi della vicenda artistica, in Caravaggio tra arte e scienza, Napoli 2012, pp. 151-152.
[14] Giovanni, 18: 28,7: “[il discepolo amato] vide le fasce per terra e il sudario che era stato sul capo di Gesù non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte.”.
[15] Saverio Gaeta, L’altra sindone. La vera storia del volto di Gesù, Milano, 2005, p. 35.
[16] S. Gaeta, op. cit., p. 51.
[17] S. Gaeta, op. cit., pp. 45-6.
[18] S. Gaeta, op. cit., pp. 50.
[19] Paul Badde, La seconda Sindone. La storia del vero Volto di Cristo nel primo libro dedicato ai misteri del Velo di Manoppello, Roma, 2007, pp. 83 e segg.
[20] P. Badde, op. cit., p 40.
[21] P. Badde, op. cit., p. 216.
[22] Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, Milano, 2003, p. 101.
[23] Maurizio Marini, Caravaggio e il naturalismo internazionale, in: «Storia dell’Arte Italiana», VI, II, Torino, pp. 347-445, p. 368, n. 1.
[24] S. Benedetti, Presa di Cristo nell’orto, in: Rossella Vodret (a cura di), Caravaggio e collezione Mattei, Milano, 1995, pp. 124-127, p. 126.
[25] Come riteneva ad esempio M. Marini, op. cit., 2005, p. 479.
[26] R. Vodret, su «About Art online», cit.
[27] Protuberanza che Sergio Rossi, in «About Art online», cit., ha acutamente collegato con la frase della Lettera di Giuda: “Si sono infiltrati infatti tra voi alcuni individui, i quali sono già stati segnati da tempo per questa condanna”, e con Giuda Iscariota.
[28] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, pp. 299-300 (Vita di Prospero Orsi).
[29] G. Baglione, op. cit., p. 237 (Vita di Michelangelo Merisi).
[30] Rossella Vodret, Caravaggio e la “palestra” della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, in: Marco Cardinali, Maria Beatrice De Ruggeri (a cura di), Caravaggio. La cappella Contarelli, Roma, 2011, pp. 13-23, p. 16, 19: “Le figure sono qui realizzate per sovrapposizione, come se ognuna fosse stata eseguita per intero come elemento singolo […] come un collage, aggiungendo man mano le singole figure.”. Precedentemente Mina Gregori aveva parlato di “patchwork”, cfr. Mina Gregori (scheda), in: AA. VV. Caravaggio e il suo tempo, Napoli, 1985, p. 134.
[31] M. Marini, op. cit., 2005, p. 578.
[32] Il nome di Prospero Orsi come possibile autore di alcuni “doppi” caravaggeschi era stato avanzato da Marini anche prima, cfr Equivoci del caravaggismo 2: A) Appunti sulla tecnica del ‘naturalismo’ secentesco, tra Caravaggio e “Manfrediana methodus” B) Caravaggio e i suoi ‘doppi’. Il problema delle possibili collaborazioni, in: «Artibus et historiae», 8, IV, 1983, pp. 119-154.
[33] M. Marini, op. cit., 2005, p. 320.
BIBLIOGRAFIA
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  • Roberto Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in: «Proporzioni», I, 1943, pp. 53-54
  • Rossella Vodret (a cura di), Caravaggio e collezione Mattei, Milano, 1995
  • Rossella Vodret, Caravaggio e la “palestra” della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, in: Marco Cardinali, Maria Beatrice De Ruggeri (a cura di), La cappella Contarelli, Roma, 2011, pp. 13-23
  • Saverio Gaeta, L’altra sindone. La vera storia del volto di Gesù, Milano, 2005
  • Sergio Benedetti, Caravaggio’s ‘Taking of Christ’, a masterpiece rediscovered,in: «The Burlington Magazine», 135, 1088, 1993b, pp. 731-741
  • Sergio Benedetti, The Master revealed, Dublino, 1993a
  • Sergio Benedetti, Presa di Cristo nell’orto, in: Rossella Vodret (a cura di), Caravaggio e collezione Mattei, Milano, 1995, pp. 124-127
  • Silvia Danesi Squarzina (a cura di), Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento, Milano, 2001
  • Vincenzo Pacelli, Gianluca Forgione (a cura di), Caravaggio: aspetti e problemi della vicenda artistica, in Caravaggio tra arte e scienza, Napoli 2012