Alessandra IMBELLONE
Transatlantic bridges: Corrado Cagli
Al Center for Italian Modern Art di New York, fondazione pubblica no profit situata in un luminoso loft di SoHo, ha aperto i battenti il 12 ottobre e resterà visibile fino al 24 gennaio 2024 la mostra del Cagli “americano”.
Curata da Raffaele Bedarida, storico dell’arte e professore presso l’università Cooper Union di New York, la mostra mette in luce il periodo dell’esilio di Cagli negli Stati Uniti tra il 1938 e il 1948, un decennio di trasformazione che lo stesso Bedarida, colmando un’importante lacuna storiografica, ha ricostruito e indagato a fondo nella sua monografia del 2018, La pittura, l’esilio, l’America (1938-1947), Roma, Donzelli, 2018.
Di famiglia ebrea, Corrado Cagli (Ancona, 1910 – Roma, 1976) si afferma negli anni Trenta quale figura di spicco della Scuola romana e fra i protagonisti del muralismo (suo è il manifesto Muri ai pittori del 1933); espone nelle maggiori rassegne nazionali e ottiene importanti commissioni pubbliche dal regime fascista. Con l’inasprirsi della politica autoritaria, repressiva e antisemita dello stesso regime, tuttavia, la sua pittura e la sua persona diventano bersaglio di feroci attacchi. Nel 1937 il giornalista Giuseppe Pensabene lo descrive come
“l’ebreo che […] nelle ormai famose tempere del Padiglione di Parigi, [ha] raffigurato in modo ridicolo e ignominioso il Fascismo”.
L’anno seguente Telesio Interlandi, futuro direttore de “La Difesa della razza”, identifica la sua pittura come prototipo di un’arte “straniera, bolscevizzante e giudaica”. La proclamazione delle leggi razziali nell’autunno del 1938 lo esclude dalle commissioni e dalle esposizioni pubbliche, costringendolo all’esilio.
Parlare di identità ebraica per Corrado Cagli è rischioso – avverte Bedarida -, vista la complessità onnivora del suo discorso identitario così come delle sue fonti visive. Piuttosto egli sembra condividere con molti ebrei italiani l’esperienza paradossale di una riflessione coatta sulle proprie radici ebraiche indotta dalla persecuzione antisemita.
Il personaggio di re Davide (fig.2), ad esempio, ricorre più di qualunque altra figura nei lavori prodotti fra il 1937 e il 1940, negli stessi anni in cui la stella di David è segno identificativo e infamante degli ebrei in tanti paesi europei.
Il periodo dell’esilio è per Cagli un decennio nomade: pochi mesi a Losanna, poi a Parigi alla fine del 1938, New York alla fine del ‘39, quindi nel marzo 1941 si arruola volontario nell’esercito americano e per quattro anni segue l’addestramento sui campi militari della West Coast. Prende parte al conflitto mondiale con la Prima Armata Statunitense, effettuando nel 1944 lo sbarco in Normandia (il D-Day) e nel 1945 la liberazione del campo di concentramento di Buchenwald (fig. 3) .
Torna infine a New York nel 1946 per rimanervi fino al ’48. Nonostante i continui spostamenti e gli obblighi militari, riesce a produrre un corpus notevole di opere, soprattutto disegni, ed espone in numerose mostre americane (tiene anche una personale a Londra alla quale non presenzia perché impegnato nello sbarco in Normandia). E’ un decennio trasformativo in cui Cagli svolge un percorso di ricerca identitaria e trasforma il proprio metodo creativo. Segnando una forte cesura rispetto alla continuità degli anni Trenta, l’esilio americano è periodo d’incubazione di quella diramazione multidirezionale, apparentemente schizofrenica, propria della ricerca dell’artista successiva alla guerra.
Negli Stati Uniti Cagli si trova a condividere l’esperienza dell’esilio con individui che appartengono a culture artistiche di vario tipo, dai surrealisti in fuga da Parigi ai russi “bianchi” protagonisti del mondo del balletto. Approfondisce la tecnica della pittura murale confrontandosi con la scuola messicana (decorò con dei murali le caserme dei suoi campi di addestramento); i disegni di guerra acquistati da importanti musei quali il MoMA e il Whitney gli procurano nel 1946 la Guggenheim Fellowship, il prestigioso premio e finanziamento concesso a chi “ha dimostrato capacità eccezionali nella produzione culturale o eccezionali capacità creative nelle arti”; collabora come scenografo per la neonata Ballet Society di George Balanchine, coreografo e danzatore georgiano naturalizzato statunitense (fig. 4).
Vicino alla rivista «View» e al suo ambiente surrealista, porta avanti una ricerca spaziale che lo condurrà ai disegni astratti sulla “quarta dimensione”. Nella sua opera, similmente al ruolo svolto dall’iconografia ebraica, la componente omoerotica (Cagli era omosessuale) agisce come parte integrante della nuova tradizione di cui l’artista vuole farsi fondatore. Nei due anni a New York dell’immediato dopoguerra è parte attiva di un ambiente culturale che ha gettato le basi della controcultura gay newyorchese.
La mostra apre con opere precedenti all’esilio quali Il neofita (fig. 5) e I neofiti (fig. 6), due scene d’iniziazione rituale che sono esempi di quella “poetica del primordio” con la quale Cagli voleva fondare un nuovo vocabolario per la nuova era della civiltà identificata con il Fascismo.
I progetti per la Fontana dello Zodiaco (fig.7) realizzata a Terni in collaborazione con l’architetto Mario Ridolfi mostrano quella visione di modernità radicata nel passato che l’artista propone nelle sue commissioni pubbliche.
Il bellissimo Partita a carte (fig. 8) racconta del ruolo di Cagli nella promozione dell’arte contemporanea italiana negli Stati Uniti da parte del regime fascista.
L’artista lo espose alla Comet Gallery di New York nel novembre 1937, quando attraversò per la prima volta l’oceano per l’inaugurazione della galleria e scrisse con entusiasmo al suo sodale e amante Libero De Libero “New York è un miracolo”.
“In arte una sola logica è dannosa”, sosteneva già nel 1933, sviluppando poi quest’idea negli anni dell’esilio in cui adotta l’assenza di sistematicità e la frammentazione come espressioni stilistiche di straniamento. Nel collage dadaista New York (fig. 9), donato all’architetto Bruno Zevi, anch’egli in esilio perché ebreo, Cagli utilizza dei ritagli di giornale, la pubblicità con loghi di marchi e carta colorata per evocare la verticalità e le luci della metropoli, mentre in lavori contemporanei adotta una varietà di altri idiomi ispirati alle avanguardie, quali la frammentazione cubista, l’automatismo surrealista e gli stili di disegno rinascimentali e barocchi (nel 1938 a New York si era avvicinato a De Chirico).
La sua ricerca matura attraverso percorsi paralleli e una molteplicità di linguaggi e contenuti in un eclettismo che corrisponde anzitutto a una straordinaria complessità. Questa lo rende tutt’oggi un artista difficile da comprendere e costituisce la ragione profonda dell’ostracismo da lui subito al suo ritorno in patria, quando l’inaugurazione della sua mostra alla galleria Studio d’arte Palma di Roma nel 1947 finisce in una scazzottata tra i suoi sostenitori (Afro, Mirko, Guttuso e Antonello Trombadori che nel catalogo gli attribuisce retrospettivamente un improbabile antifascismo) e i giovani astrattisti e marxisti del Gruppo Forma 1 (Perilli, Consagra, Guerrini, Accardi, Sanfilippo, Maugeri e Mirabella sono quelli coinvolti nella rissa), che lo contestano per il suo passato di pittore fascista e non hanno intenzione di riconoscergli alcun ruolo di guida.
Alessandra IMBELLONE 12 Novembre 2023