La “Sacra famiglia con San Giovannino” di Giulio Mazzoni alla Galleria Spada: quando il restauro svela un ‘altro’ quadro.

di M. Lucrezia VICINI

Giulio MAZZONI (Piacenza, documentato dal 1542-43 al 1589)

Sacra Famiglia con san Giovannino  (olio su tavola, cm 111×85, inv. n. 11)

Inv. 11 prima del restauro

Provenienza: Cardinale Girolamo Capodiferro

Collocazione: Stanza di Enea in Palazzo Spada

Palazzo Spada- Nuovi restauri-Nuove attribuzioni

Si può ritenere con certezza che il dipinto raffigurante Sacra Famiglia con san Giovannino decorasse già le sale di Palazzo Capodiferro quando il Cardinale Bernardino Spada (Brisighella, 1594 – Roma, 1662) acquistò l’edificio nel 1632.

Il restauro cui è stato oggetto nel periodo 1982 – 84, oltre a restituirgli i caratteri iconografici e stilistici suoi, ha svelato il nome del vero autore, Giulio Mazzoni, largamente attivo nel palazzo del Cardinale Girolamo Capodiferro (Roma, 1502-1559), tra il 1549 e il 1552 (1). Il Mazzoni rimane l’artefice di gran parte delle decorazioni in stucco che impreziosiscono la facciata e il cortile interno e di alcune basilari pitture ad olio su muro del piano nobile, riferite in particolare alla Galleria degli stucchi e alla Sala delle quattro stagioni.

Il restauro fu preceduto da un esame a luce radente e da diverse radiografie che scoprirono la tavola completamente ridipinta, con una diversa iconografia nello strato sottostante. Lo stato di cose condusse Roberto Cannatà, direttore dei lavori, ad effettuare un inevitabile confronto tra la versione recuperata e le opere di mano certa del maestro piacentino e a respingere quindi la tradizionale attribuzione a favore di Giuseppe Valeriani (L’Aquila, 1542 – Napoli, 1596) (2), da lui stesso avvalorata  in uno studio precedente (3).

La pulitura esibiva una tavola  in pessime condizioni di conservazione per i drastici interventi subiti. In molte parti lasciava trasparire il disegno preparatorio risultando incompleta, come se fosse stata solo abbozzata e non rifinita, specie nel manto della Vergine e nella figura di San Giuseppe.

Probabilmente fu questo stato precario a spingere a cercare successivamente nuove soluzioni pittoriche. Nella ridipintura venne aggiunto  il San Giovannino così genuflesso, con le mani giunte davanti a Gesù,  non eliminato nella fase dell’ultimo restauro. La presenza del Santo aveva ricoperto parzialmente le colombe esistenti in basso a destra già della prima versione (4).

Non rintracciabile con sicurezza nell’inventario dei beni ereditari del Cardinale Bernardino del 1661, in quanto confuso con altre opere di simile soggetto genericamente descritte, nell’elenco inventariale dei beni mobili della famiglia Spada del 1759 il dipinto è ricordato Nella Galleria dove si va alle stanze delle donne al terzo piano del Palazzo, così descritto:

Un quadro in tela d’Imperatore scarsa, cornice antica liscia dorata rappresenta la Sagra Famiglia dipinta in legno” (5).

Nel Fidecommesso del 1823 va identificato con quello esposto nella prima Sala del Museo, elencato come: Sacra Famiglia, Scuola Fiorentina (6). Con questi stessi dati torna ad essere citato, e sempre tra le opere della prima Sala del Museo, nell’Appendice al Fidecommesso del 1862, nella ricognizione inventariale di Pietro Poncini, amministratore degli Spada, e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 3.000 (7).

Nel 1951, in occasione dei lavori di riassetto del Museo per la sua riapertura al pubblico, fu da Zeri nuovamente trasferito nel Palazzo, ed ora è esposto nella stanza di Enea o anche studio del Presidente del Consiglio di Stato.

In quella occasione Zeri annotava nella scheda di catalogo, le discrete condizioni di conservazione dell’opera, con qualche caduta di colore, e proponeva un’attribuzione al Valeriani del tutto provvisoria per la poca conoscenza che al momento dichiarava di avere del percorso artistico del pittore. Tuttavia, specie in alcuni brani, come nel San Giovannino e nella Vergine, lo studioso vi vedeva somiglianze con i modi delle tavole eseguite dal Valeriani in collaborazione con Scipione Pulzone per la Cappella della Madonna della Strada nella chiesa del Gesù a Roma.

Roma, Chiesa del Gesù, Cappella della Madonna della Strada

Inoltre una certa conferma all’attribuzione gli sembrava scaturire dal seguente passo del Baglione, biografo del pittore che cosi recita

..credo che quest’uomo volesse imitare la maniera di F. Bastiano del Piombo Veneziano, quando dipingeva oscuro; voleva che le sue pitture dessero nel grande con figure assai maggiori del naturale, non far loro grandi teste, mani ampie, e smisurati piedi sì, che restavano  tozze più tosto, che svelte… (8).

Indicazioni che gli risultavano calzanti per il quadro, specie in merito alla gamma cromatica e alla strana caratterizzazione del gigantesco San Giuseppe, incombente sulla rimanente composizione. Pertanto di lì a poco scioglieva ogni dubbio attributivo e assegnava il dipinto definitivamente al Valeriani, accostandolo alla Sacra Famiglia di Sebastiano del Piombo della National Gallery di Londra (9), riferimento respinto da  padre Pirri (10), ma confermato da Calì (11) e dallo stesso Cannatà che reputava opera giovanile del Valeriani, coeva ad una Annunciazione del Museo Nazionale de L’Aquila, proprio da lui restituita al pittore aquilano (12).

Non poche sono le differenze che separano la tavola ridipinta da quella originale. L’ambientazione oscura che ospita i personaggi ridipinti, si rischiara nell’iconografia mazzoniana attraverso la luce proveniente dalla finestra che si apre nel fondo, riemersa dopo vari strati di ridipintura che, se da un lato hanno in parte preservato i bagliori di un’alba o di un tramonto, dall’altro hanno cancellato la vegetazione, di cui rimangono solo apparenze. La Vergine, raddolcita nei lineamenti del volto e del corpo, rientrando in quel tipo fisionomico che contraddistingue le Madonne del Valeriani, ha il capo coperto da un velo trasparente che scende a coprire le nudità del Bambino posto sul suo grembo in una articolata torsione.

Nella versione originaria tutto questo si vanifica. La Vergine molto più dotata plasticamente, riappare priva del velo, con in testa un caratteristico copricapo di epoca. Il bambino riacquisisce la nudità e i veri tratti del volto con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, mentre si appresta ad allattare da un seno che rimane comunque coperto, secondo i dettami del Concilio di Trento che aveva proibito la nudità nella raffigurazione dei personaggi sacri.

Inv. 11 dopo il restauro 1981

Le tre figure disposte obliquamente in ordine di età, ribadiscono il concetto gesuitico che Gesù, Giuseppe e Maria formano insieme una Trinità terrena corrispondente alla Trinità celeste di Padre, Figlio e Spirito Santo.

Eraclito, da Raffaello, La Scuola di Atene, Roma, Musei Vaticani

La posizione di San Giuseppe che poggia la mano sul volto, rimanda al personaggio identificato in Eraclito nelle sembianze di Michelangelo, raffigurato in primo piano in atto di scrivere e di meditare nella Scuola di Atene di Raffaello, aggiunto dal pittore nel 1511 ad affresco finito, quale omaggio al maestro che in questo anno scopriva la prima metà della volta della Cappella Sistina. Altro rimando è il San Pietro a figura intera, in posa meditativa, posto in un lato della Flagellazione di Cristo di Sebastiano del Piombo del 1519, nella Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio.

Ma le tre dita della mano che il nostro San Giuseppe mantiene aperte, e che lo diversificano dagli altri due personaggi, vogliono alludere proprio al mistero della Trinità, che nel suo arcano consiglio aveva stabilito ab eterno l’incarnazione del figlio. Simbolo di Trinità sono le  colombe ai suoi piedi, anch’esse riapparse dopo il restauro e semicoperte dalla figura di San Giovannino, successivamente aggiunto

Giulio Mazzoni fu scultore, stuccatore e pittore. Il Vasari, nel tratteggiare la vita di Daniele da Volterra riferisce che l’artista ricevette da lui a Firenze i primi insegnamenti dell’arte e lo seguì poi a Napoli quando si recò a dipingere nel convento di Monteoliveto e nella chiesa di San Giovanni a Carbonara fra il 1543 e il 1545. A Napoli, nella cappella Piccolomini della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi resta di questo primo  periodo di attività, una Crocifissione in marmo, firmata.

Al suo rientro a Roma, sullo scorcio degli anni ‘40, rimase nella cerchia del Volterra perfezionando la tecnica dello stucco. Qui realizzò il nucleo maggiore della sua produzione, in buona parte rimasta intatta, rispetto a quella della maturità  eseguita a Piacenza, andata persa.

Oltre agli stucchi e ai dipinti ad olio su muro della Galleria e della Sala delle Quattro Stagioni o dei Quattro elementi in Palazzo Capodiferro Spada, ha lasciato a Roma altre opere sicure, come il busto di Francesco Neri in Santa Maria Sopra Minerva, alcuni dipinti del 1568, attualmente staccati, in San Martino degli Svizzeri, la decorazione della cappella Theodoli in Santa Maria del Popolo e la Caduta degli Angeli in Santa Maria degli Angeli. Al Mazzoni va anche restituito il busto del Vasari conservato ad Arezzo nella casa del pittore biografo.

Nel 1563-64 il Mazzoni risulta iscritto all’Accademia di San Luca (13). Nel 1576 fa ritorno a Piacenza, sua città natale, dove diede inizio ai perduti cicli di affreschi della cappella del Sacramento del Duomo e della chiesa di Santa Maria in Campagna, nella periferia di Piacenza, per i quali rimase impegnato almeno dieci anni, fino alla morte nel 1589.

Ammirato dal Vasari per le sue capacità artistiche, e lodato a suo tempo per i lavori eseguiti in palazzo Capodiferro, il Mazzoni è stato considerato dalla storiografia successiva un imitatore sia di Daniele da Volterra che di Michelangelo. Se si vuole, alla cultura dei due grandi artisti va aggiunta anche quella di Perin del Vaga, Rosso Fiorentino, Sebastiano del Piombo, quella emiliana del Primaticcio e Parmigianino. Ma alle atletiche e serpentinate figure sia di pittura che di scultura riesce a infondere eleganza e leggerezza, secondo una personale caratterizzazione di personaggi e un sapiente accordo di luci e colori  con l’uso della tecnica ad olio su muro.

Nel dipinto i lineamenti della Madonna e di San Giuseppe rimandano in modo inequivocabile alle figure femminili e senili delle decorazioni di palazzo Capodiferro e lo stesso Bambino, ai putti raffigurati nella Crocifissione di Napoli e a un putto dipinto sulla volta della cappella Theodoli in Santa Maria del Popolo(14).

M. Lucrezia VICINI  Roma 12 Novembre 2023

NOTE

1)Cannatà R., Novità su Giulio Mazzoni, Leonardo Sormani, Tommaso Del Bosco e Siciolante da Sermoneta, in “Bollettino d’Arte”, n. 70, 1991, pp. 93-103
2)Cannatà R.,  L’opera di Giulio Mazzoni da Piacenza, pittore e scultore nel Palazzo Capodiferro, in Palazzo Spada, Arte e Storia, 1992., pp. 36-37
3)Cannatà R., Un’”Annunciazione” giovanile di Giuseppe Valeriani, in Ricerche di Storia dell’Arte, n.10,1980, p. 113
4) Cannatà R. op.cit. 1992, pp. 36-37
5) Zeri F. La Galleria Spada in Roma, Firenze 1954,p. 175, n.911; Cannatà R., Vicini M.L., La Galleria di Palazzo Spada. Genesi e Storia di una Collezione, Roma 1991, p.178, n. 911
6)Cannatà R., Vicini M.L. op.cit.1992, p.187
7) Cannatà R., Vicini M.L.op.cit. 1992, pp.189,193,196
8)Baglione G., Le Vite, ed. Napoli 1733, I ed. Roma 1642, p.83
9) Zeri F., Giuseppe Valeriani, in “Paragone”, 1955, p. 39
10)Pirri P., Giuseppe Valeriani S.J- architetto e pittore 1542-1596, Roma 1970, p. 224
11)Calì M., Da Michelangelo all’Escorial Torino 1980, p.285
12)Cannatà R., Un’”Annunciazione” giovanile di Giuseppe Valeriani, in Ricerche di Storia dell’Arte, n.10,1980, p. 113;14) Cannatà,R., op.cit. 1992, p. 37; Cannatà R., Francesco da Montereale e la pittura a L’Aquila, in Storia dell’Arte, n. 41, 1981
13)Zeri F., Pittura e controriforma, Torino 1957(ed.1979), pp.64-65, fig. 57
14) Cannatà R., op. cit.1992, pp.31-38