21 aprile, Natale di Roma. La fondazione della Città Eterna tra mito, arte e poesia

di Nica FIORI

Roma – secondo le antiche carte, / che narran pure come e perché, – / venne fondata, grazie al dio Marte, / nel 753 (avanti Cristo, naturalmente): / data che tutti sappiamo a mente. / Fu Enea, fuggito dai patrii lari / dopo aver visto l’incendio d’Ilio / (per più diffusi particolari / consulterete Livio e Virgilio), / o meglio, furon due suoi rampolli / a fondar l’urbe sui Sette Colli ”.

Come ricorda Alberto Cavaliere nella sua divertente Storia romana in versi (edizione definitiva del 1961), la fondazione di Roma è stata fissata (in età repubblicana, secondo calcoli fatti da Varrone) al 753 a.C., un anno che gli storici moderni hanno ritenuto a lungo improbabile, mentre le ultime ricerche archeologiche sul Palatino sembrano proprio confermare la nascita della città intorno alla metà dell’VIII secolo a.C.

In realtà i misteri relativi alla fondazione e ai primi secoli di Roma sono così fitti e ingarbugliati che già i primi storici facevano non poca fatica nel cercare la verità tra le numerosissime leggende che si erano sovrapposte negli anni, leggende che spesso sembrano comuni ad altre mitologie. Il mito che si è imposto maggiormente è quello relativo ai due gemelli Romolo e Remo, che, secondo la tradizione, sarebbero nati da Rea Silvia, discendente di Iulo (detto anche Ascanio) figlio di Enea, e dal dio Marte (foto 1).

1 P.P. Rubens, Marte e Rea Silvia, Liechtenstein Museum,Vienna

Rea Silvia era figlia del re di Albalonga Numitore, che era stato spodestato da Amulio, il quale, dopo aver ucciso i figli maschi del re, aveva imposto a Rea, che era ancora bambina, di diventare vestale.  Come ricorda con il suo piglio ironico Alberto Cavaliere:

Così chiamavansi certe donzelle, / dannate ad essere sempre zitelle, / col sacro incarico di tener desta / la fiamma mistica della dea Vesta. / Ma un dì la vergine dal bianco manto / due rosei pargoli si vide accanto, / dei quali narrano le antiche carte / che dal ciel piovere li fece Marte”.
2. A. Carracci, Romolo e Remo allattati dalla lupa, part., Palazzo Magnani, Bologna

Amulio decise di far uccidere i due nipoti, nei quali evidentemente vedeva una futura minaccia al suo potere, ma la persona incaricata di eseguire tale nefandezza non se la sentì e preferì abbandonare i neonati in una cesta sulla riva del Tevere. Fu una lupa a prestare i primi soccorsi ai piccoli e a nutrirli sotto il fico Ruminale (foto 2). Sempre secondo Cavaliere: “Sui loro gemiti la notte cupa / piomba; dai gelidi boschi una lupa / scesa, dei miseri bimbi s’accorge / e lor le turgide mammelle porge“.

La leggenda sembra rielaborata da una più antica riferita da Plutarco, secondo la quale il crudele re degli Albani Tarchezio avrebbe ordinato di uccidere i gemelli nati da una schiava della figlia e da un misterioso fallo che era apparso all’improvviso nella casa.

Ovviamente i gemelli si salvarono e spodestarono il re. Romolo e Remo potrebbero anche essere accostati ai Lari, figli della ninfa Lara e di Marte, che erano anch’essi gemelli e adorati nelle case romane come protettori della famiglia.

3 Particolare della Lupa Capitolina

Ma, ritornando alla lupa, animale simbolo di Roma, si potrebbe pensare che la leggenda sia stata creata ispirandosi al simulacro della Lupa Capitolina, che è stata a lungo identificata con la bellissima scultura bronzea, conservata ora nei Musei Capitolini. La scultura, che in epoca medievale era collocata nel Laterano, venne donata nel 1471 alla città di Roma con gli altri bronzi lateranensi da papa Sisto IV, venendo a costituire il primo nucleo dei Musei Capitolini.  Ritenuta un tempo del V secolo a.C. e di fattura etrusca, è stata ultimamente datata, pur con qualche perplessità, al Medioevo e più esattamente al XII secolo (foto 3 e 4).

4 Lupa Capitolina

Certo in epoca romana esisteva una lupa sul Campidoglio, i cui gemelli che la completavano erano stati ideati nel 296 a.C. per simboleggiare l’eguaglianza appena raggiunta tra plebei e patrizi, ma vennero distrutti da un fulmine nel 65 a.C., come ricorda Cicerone.

I gemelli che, invece, completano la lupa dei Musei Capitolini sono stati aggiunti in epoca rinascimentale da Antonio Pollaiolo, che dovrebbe averli realizzati mentre lavorava al monumento funebre di Sisto IV.

5 Ara da Ostia antica, Roma, Museo Nazionale Romano

Non sappiamo quante lupe di bronzo ci fossero a Roma. Oltre a quella, cui fa riferimento Cicerone, che stava in Campidoglio, ci doveva essere un’altra lupa con gemelli nella grotta del Lupercale all’epoca di Augusto, come ricorda Dionigi d’Alicarnasso. Nelle pagine di Livio compare una terza lupa, realizzata con i soldi degli usurai e collocata presso il fico Ruminale, che era stato trasferito dal Lupercale presso l’area del Comizio.

Questo simbolo, divenuto iconico, è stato poi riprodotto innumerevoli volte anche in altre città romane (ad esempio in un’ara proveniente da Ostia antica conservata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo), spesso associato con la figura del dio Tiberino, ovvero il Tevere, come nella statua proveniente dalle Terme di Costantino e collocata in piazza del Campidoglio, addossata al Palazzo Senatorio (foto 5 e 6).

6 Statua delTevere, in piazza del Campidoglio
7 Ercole ritrova Telefo allattato da una cerva, affresco da Ercolano, MANN, Napoli

Ilmito di un animale che allatta un bambino non è certo un unicum (pensiamo alla capra Amaltea che allatta Zeus, alla cerva che allatta Telefo, il figlio di Ercole fondatore di Pergamo (foto 7), e ancora alla cagna che allatta Ciro il Grande, fondatore dell’impero persiano), ma a Roma si è imposto come animale totemico una lupa, forse perché il lupo era sacro a Marte, padre di Romolo e Remo.

Sul Palatino ritroviamo il lupo insieme al capro, simbolo del dio Fauno, in una strana associazione, il Lupercus, a simboleggiare la fusione di due tradizioni diverse. Ma vediamo come uno studioso di simboli come Alfredo Cattabiani in “Simboli, miti e misteri di Roma” (1990) interpreta tutta la leggenda:

I due gemelli vengono esposti alle acque, ovvero attraversano simbolicamente il mare del divenire, dell’impermanente, e giungono sotto un fico, simbolo dell’Albero del Cosmo, dell’asse che unisce cieli, terra ed inferi: ovvero penetrano nella dimensione del divino, dell’eterno; e vengono nutriti infine dalla ruma, dalla poppa di una lupa che offre loro il suo latte. L’animale li nutre trasformandoli in Luperci, in lupi-capri, a somiglianza della divinità che regna in quel luogo …”.

Per ricordare quel loro essere Luperci, a Roma verrà poi istituita la festa dei Lupercali, che si celebrava a febbraio sul Palatino ( Cfr. https://www.aboutartonline.com/upercali-miti-e-leggende-della-roma-di-romolo-e-remo/ ) (foto 8 e 9).

8 Ara Pacis, Scena del Lupercale in una ricostruzione a colori colorata
9 Frammento di rilievo con Luperci, Museo Nazionale Romano

Solo dopo un po’ di giorni i due neonati furono raccolti dal pastore Faustolo (un porcaro di Amulio) e allevati da sua moglie Acca Larenzia, che aveva appena perso il suo dodicesimo figlio. È questa una figura di nutrice che potrebbe essere avvicinata a quelle delle grandi dee madri mediterranee. Pensiamo in particolare alla misteriosa dea Dia, le cui pratiche rituali saranno poi svolte dal collegio degli Arvali, costituito da Romolo con i suoi undici fratelli adottivi. Ma su Acca Larenzia sono sorte anche leggende triviali, come quella riportata da Livio, secondo cui la donna sarebbe stata chiamata Lupa, per aver prostituito il suo corpo tra i pastori. “Lupa” in latino vuol dire prostituta, mentre lupanare è il luogo dove viene esercitato il mestiere. La storiella della lupa in questo caso sarebbe stata solo un’invenzione per nascondere la vergognosa attività della nutrice di Romolo e Remo.

10 P.P. Rubens, Ritrovamento di Romolo e Remo, Roma, Musei Capitolini

Sul ritrovamento da parte di Faustolo, voglio ricordare uno straordinario dipinto di Pieter Paul Rubens, “Il ritrovamento di Romolo e Remo” (1612), conservato nei Musei Capitolini, che evidenzia come nella cultura del Seicento il mito di Roma è fortemente sentito. Se da un lato Rubens segue alla lettera la tradizione antica con la raffigurazione del dio Tiberino e del fico Ruminale, alla cui ombra venivano allattati i gemelli divini da una lupa, dall’altra aggiunge un picchio, l’altro animale sacro a Marte, che porta ai gemelli tre ciliegie, interpretate come simbolo della passione di Cristo e insieme della Trinità (foto 10).

11 Pietro da Cortona, Romolo e Remo raccolti da Faustolo, 1634, Louvre

Un altro dipinto degno di nota è quello di Pietro da Cortona, conservato al Louvre: raffigura Faustolo che porta uno dei gemelli ad Acca Larenzia, mentre l’altro è ancora accanto alla lupa (foto 11).

Passarono gli anni e Faustolo svelò ai giovani il segreto della loro nascita. I due fratelli con una schiera di amici coraggiosi riuscirono a uccidere Amulio e a rimettere sul trono il nonno Numitore, che concesse ai nipoti di fondare una nuova città per regnarvi. Ed ecco ancora i versi di Cavaliere:

Già intorno all’opera ferve il lavoro, / quando una disputa scoppia tra loro: / che nome scegliere? Ecco il problema: / «Roma», vuol Romolo, Remo vuol  «Rema»”.

Romolo e Remo decisero di affidarsi alla pratica degli Auguri (i sacerdoti etruschi che traevano presagi dal volo degli uccelli) per stabilire chi dei due dovesse dare il nome alla città e governarla (foto 12).

12 Auguri, Tomba degli Auguri, Tarquinia

Remo sull’Aventino avvistò per primo sei avvoltoi, ma poi Romolo ne vide dodici sul Palatino, sicché toccò a quest’ultimo il compito di “inaugurare” la città. Il colle, indicato dagli uccelli divinatori per la fondazione, era lo stesso che aveva visto i primi giorni di vita dei due gemelli, quello ai cui piedi si apriva la grotta del Lupercale con il vicino fico Ruminale.

Sul Palatino le popolazioni laziali celebravano da tempo immemorabile il 21 aprile le Paliliae, ovvero le feste in onore della divinità Pales (di genere incerto), che dovevano propiziare la fertilità. I riti compiuti dai pastori, come quello di lavare e purificare gli ovili e di accendere fuochi davanti alle capanne e di superare gli stessi con un balzo, non erano casuali e anzi racchiudevano un preciso significato magico. Il salto, per esempio, alludeva al passar oltre, al rinnovamento della natura e della vita.

13 J.B. Suvée, Festa di Pales

Ed è proprio quel giorno del 753 a.C. che sarebbe stato scelto per fondare Roma, così che da quel momento la festa coincise con il Natale di Roma, proprio come in seguito la Pasqua di Resurrezione verrà a coincidere con la Pasqua ebraica.  Un dipinto del 1783 del neoclassico belga Joseph-Benoît Suvée (Rouen, Musée des Beaux-Arts) raffigura la Festa di Pales, con il nome della divinità scritto in caratteri greci al di sotto di una statua di fantasia (foto 13).

I romani usavano il verbo condere per designare la fondazione, verbo che significa anche nascondere. Il fondatore, conditor, potrebbe essere colui che nasconde o anche colui che è nascosto. Il colle di fondazione (una delle sommità del Palatino) prese il nome di Cermalus, ma non ci è dato sapere cosa vi sarebbe stato nascosto.

14 A. Carracci, Romolo fonda Roma, Palazzo Magnani Bologna

Plutarco racconta che Romolo scavò una fossa rotonda, nella quale furono interrate le primizie e in genere le cose utili alla vita. I rappresentanti dei popoli vicini portarono ognuno una manciata di terra che gettarono nel fosso tra le primizie. Poi attorno al fosso, chiamato mundus, disegnarono il perimetro della città, spargendovi sopra della farina bianca, simbolo di purezza. Romolo con un vomere di bronzo tracciò un solco muovendosi in senso antiorario. L’aratro era trainato da un bue posto all’esterno e da una mucca all’interno (foto 14 e 15).

15 Bartolomeo Pinelli, Romolo traccia con l’aratro i confini di Roma

Lo seguiva un gruppo di uomini che avevano il compito di rovesciare all’interno le zolle di terra che venivano via via sollevate. Lungo quel tracciato sarebbe stata costruita la prima cinta di mura. Ovidio nei Fasti precisa che sul mundus venne poi eretto un altare sul quale venne acceso il fuoco sacro, il primitivo focolare di Roma.

Il rito di fondazione prevedeva una serie di operazioni rituali che l’Augure, in questo caso lo stesso Romolo, eseguiva con il lituo (da litare, che significa ottenere presagi favorevoli), un bastone ricurvo simile a un pastorale, che era cavo all’interno, con un’imboccatura per soffiare. Il bastone non doveva avere nodi, perché al suo interno s’incanalava la potenza divina. Dopo l’inauguratio Romolo soffiò nel lituo e proferì i nomi della città: prima quello di copertura, cioè Roma, e dopo quello segreto.

Il solco primitivo tracciato da Romolo doveva essere forse circolare, una sorta di cerchio magico protettivo, ma altre tradizioni parlano di una Roma “quadrata”, probabilmente perché in un secondo tempo la cerchia originaria venne sostituita da un perimetro quadrangolare, così come le prime capanne a pianta tonda cedettero il posto ad abitazioni rettangolari.

La fondazione della città è stata collegata al rituale usato in Grecia e in Etruria per simboleggiare l’unione dei tre regni del cosmo: il solco tracciato con l’aratro conduce agli inferi, la pianta tracciata sul terreno simboleggia la terra (ovvero i quattro punti cardinali se si tratta di un quadrato), mentre l’altare costruito in un secondo momento sul mundus simboleggia l’unione con il cielo. La mucca e il bue aggiogati all’aratro simboleggiano la prima la fertilità femminile, il secondo la potenza virile che difende la città dagli assalti esterni.

Il solco primigenio era sacro e quindi inviolabile: ecco perché Remo venne ucciso quando osò varcare il recinto, deridendolo con le parole “His populus tutus erit!” (con queste (mura) il popolo dovrebbe essere sicuro!), come riporta Ovidio nei Fasti. Secondo una versione meno nota della leggenda riportata per primo da Valerio Anziate e ripresa da Ovidio, non sarebbe stato Romolo a uccidere Remo, ma il suo aiutante Celere (dal cui nome forse deriverebbero i celeres, un corpo di guardia personale istituito dallo stesso Romolo). Romolo, dopo aver trattenuto le lacrime per dimostrare il proprio diritto-dovere di difendere la neonata città, avrebbe poi pianto il fratello al momento delle esequie dicendo: “Invito frater adempte, vale” (Addio fratello ucciso mio malgrado!)”.

Nel mito della fondazione è interessante notare che Romolo era in realtà il secondogenito dei due gemelli, tanto che aveva il nominativo di altellus  (piccolo alter, un piccolo altro, in quanto uscito dal ventre materno per secondo). In base agli usi dell’epoca il diritto a fondare una città sarebbe spettato al primogenito e quindi a Remo, ma nei miti è il secondogenito che fa l’impresa (come del resto nella Bibbia, tra Esaù e Giacobbe, è Giacobbe, che è il secondogenito, a prevalere su Esaù).

16 Specchio di Bolsena, disegno a tratto

Esiste uno straordinario reperto italico, del IV secolo a.C., il cosiddetto Specchio di Bolsena, dove compaiono per la prima volta i gemelli nel Lupercale. In verità la scena appare molto affollata e non tutti sono d’accordo su ciò che rappresenta. Andrea Carandini sostiene che Remo guarda verso il silvestre Fauno (la figura sulla sinistra con una pelle animale legata sotto il collo), mentre Romolo guarda sulla destra il più civile e regale Latino, il fondatore delle stirpi latine, che allunga la mano verso di lui e gli dice che sarà lui il fondatore di Roma (foto 16).

In questa raffigurazione c’è già la rottura della gemellarità e s’individua un predestinato. Il conflitto è già scritto nella storia, perché non ci possono essere due fondatori, ma uno solo. Sarà Romolo il fondatore, cui spettano in realtà, secondo Carandini, tre imprese. La prima è l’inaugurazione della città, con la benedizione del Palatino. La seconda è l’istituzione del Foro con il Campidoglio e l’Arce capitolina. La terza impresa è quella che Cicerone chiama la constitutio Romuli, ovvero  l’ordinamento del tempo (calendario romuleo in dieci mesi), dello spazio e degli uomini.

Ogni 21 aprile la città doveva essere purificata, e ciò per volere di Romolo a partire già dal giorno della fondazione. Scrive Dionigi d’Alicarnasso a questo proposito:

Quando venne il giorno stabilito, egli per primo sacrificò agli dei e comandò agli altri di fare altrettanto; quindi, per prima cosa, prese gli auspici, che furono favorevoli e successivamente, accesi alcuni roghi davanti alle tende, spinse il popolo a saltare sulle fiamme per purificarsi delle proprie colpe”.

La scelta del giorno della festa di Pales per la fondazione della città sembrerebbe indicare una devozione dei due gemelli nei confronti della divinità della pastorizia, perché i due fratelli erano inizialmente dei pastori, in quanto allevati da Faustolo.

17 Tempio di Vesta nel Foro romano

All’esterno della cinta muraria fu prevista da Romolo una striscia di terra, detta “pomerio”, dove era proibito arare, costruire o seppellire, oltre che entrarvi armati. Era in un certo senso un’estensione della sacralità del solco primigenio. L’origine del nome deriva forse da Pomona, la dea dei frutti associata a Flora nella difesa magica della città, ma potrebbe anche derivare da post murum, cioè “oltre il muro”. Mentre le mura, come in tutte le città, dovevano seguire l’andamento del terreno, anche per ragioni difensive, il pomerio segnava il limite della città, stabilito interpretando il volere della divinità. Entro questo limite si trovava anche il tempio di Vesta (il tempio circolare nel Foro Romano, ove si custodiva il fuoco sacro), che era periferico al cuore dell’abitato per evitare pericoli di incendi (foto 17).

Alla stessa Vesta si era appellato Romolo, oltre che a Giove e a Marte, prima di intraprendere la fondazione, come ricorda Ovidio:

Queste le parole del re: «Assistetemi, o Giove nel fondare la città, / e tu, o padre Marte, e tu, o madre Vesta! / Volgete a me la mente voi tutti, o dei, cui è pio rivolgere / l’invocazione! La mia opera sorga con il vostro auspicio. / Duri a lungo la sua potenza sul mondo conquistato, / e siano a lei sottomessi l’Oriente e l’Occidente!»”.

 E, sempre secondo Ovidio, quel 21 aprile Giove si sarebbe manifestato con un tuono e un fulmine a sinistra, presagio favorevole secondo il sistema augurale romano, e quindi:

Sorse così la città – chi allora l’avrebbe creduto? – / che avrebbe posto il piede vittorioso su tutte le terre”.

Nica FIORI   Roma  18 aprile 2021