E’ il Febbraio dei “Lupercali”, miti e leggende che rimandano alla Roma dei tempi di Romolo e Remo

di Nica FIORI

I Lupercali: gli antichi riti di purificazione di febbraio

La terza aurora dopo le Idi vede i nudi / Luperci, e vengono i sacri riti del bicorne Fauno”.

Con queste parole Ovidio nei Fasti (Libro II) introduce la festa dei Lupercali, che si celebrava a metà febbraio:

Febbraio, museo archeologico di Sousse

indubbiamente uno dei riti più particolari e misteriosi dell’antica Roma. Si trattava di un rituale di purificazione volto a eliminare le impurità accumulate nell’anno che finiva e a iniziare bene il nuovo. Lo stesso nome februarius era derivato dal verbo februare, che significava “purificare” o “espiare”. Momento culminante della festa era quello in cui i celebranti, chiamati luperci, sacrificavano un capro nella grotta del Lupercale, dove si diceva fossero stati allattati dalla lupa Romolo e Remo. Grotta che forse è stata individuata nel 2007 dall’archeologa Irene Iacopi, a 15 m di profondità sotto le rovine della Casa di Augusto, e fotografata attraverso un foro da una telecamera sonda, che ne ha messo in evidenza una decorazione tipica dei ninfei con conchiglie e mosaici e al centro della volta un’aquila bianca, elementi che fanno pensare a una sistemazione del luogo al tempo di Augusto.

Decorazione del Lupercale, immagine mediante LaserScanner da foro

Col sangue dell’animale ucciso i luperci toccavano la fronte di due fanciulli della nobiltà romana, che detergevano subito dopo con un panno di lana imbevuto di latte. Quindi tagliavano la pelle caprina in piccole strisce per farne delle fruste con le quali, correndo nudi  intorno al Palatino, colpivano le persone che si facevano trovare sul loro percorso e in particolare le donne, che vedevano in questi colpi una sorta di purificazione simbolica atta a garantire loro la fertilità.

Volta del Lupercale, immagine ottenuta con LaserScanner da foro

Un mosaico policromo con la raffigurazione dei Mesi, ritrovato a Sousse, in Tunisia, e conservato nel locale Museo archeologico, abbina al mese di Febbraio (nel mosaico si legge Febrarius) proprio la figura di un lupercus che, coadiuvato da due aiutanti che sollevano una donna, sta per sferzare la stessa nel corso della festa.

Ovidio riferisce una leggenda fantasiosa che dovrebbe spiegare l’origine dello strano rito.

Racconta che le donne Sabine, dopo essere state rapite dai Romani per farne le loro spose, fossero divenute per lo più sterili. Allora andarono con i mariti in un bosco (lucus) ai piedi dell’Esquilino consacrato a Giunone Lucina e la dea fece conoscere il suo volere, parlando attraverso le chiome frondose degli alberi:

Un caprone sacro penetri le madri italiche”.

Un indovino etrusco risolse lo sconcertante enigma: immolò un capro e con la sua pelle fece delle sferze; chiese quindi alle giovani spose di offrire il dorso ai loro colpi.

In realtà la festa aveva una connotazione così pastorale da far pensare che fosse addirittura anteriore alla fondazione di Roma, quando nel territorio vi erano solo pastori, perennemente in lotta tra loro per appropriarsi dei pascoli migliori, e predoni che attentavano al bestiame, per non parlare dei lupi, e in effetti luperco è colui che allontana il lupo dal gregge. La tradizione vuole che alla prima corsa avessero partecipato Romolo e Remo, allorché avvenne il primo scontro con le genti di Amulio.

Livio ne parla usando il termine ludicrum (spettacolo, gioco pubblico), ponendo quindi la festa sullo stesso piano di un gioco agonistico. Ovidio specifica che lo scopo della corsa (che sarebbe stata poi ricordata col nome di Lupercali) era il raggiungimento e la consumazione degli exta (viscere, pranzo sacrificale) da parte del vincitore. Era quindi una vera e propria gara con un premio finale e ne uscì vincitore Remo. Subito dopo si svilupparono quegli avvenimenti che portarono alla fondazione della città da parte di Romolo.

Ed allora, ci si potrebbe chiedere, come è possibile che il futuro fondatore arriviasse ultimo?

Questa apparente incoerenza del mito può avere una sua spiegazione nel fatto che la vittoria di Remo è inserita nel complesso delle feste di febbraio (all’epoca l’ultimo mese dell’anno), che prevedevano un rituale capovolgimento dell’ordine, che si è poi trasmesso al nostro Carnevale. Poteva verificarsi allora, come in questo caso, la vittoria di chi in realtà era destinato a perdere. È proprio con questa prima corsa che i due gemelli entrano per la prima volta in competizione. E il rito assume per i due giovani il significato di entrata nel mondo degli adulti, una vera iniziazione prima di diventare adatti a fondare una città. Essi sono due iniziandi ciascuno con un proprio gruppo di seguaci: i Fabii (seguaci di Remo) e i Quintilii (seguaci di Romolo), che nel rito saranno poi i luperci, il “gregge umano”, pure diviso in due gruppi.

Ara Pacis, Scena del Lupercale in una ricostruzione a colori

Il particolare dei due giovani che vengono toccati sulla fronte con un coltello e poi detersi dalle macchie di sangue, sembra riassumere il rito iniziatico di morte e rinascita, ma è allo stesso tempo una rievocazione dell’avvenimento mitico del pericolo di morte corso dai due gemelli, salvati poi dalla lupa. A Roma si usava l’espressione “fratelli luperci” per indicare quegli individui legati da un vincolo di fraternità derivante da una comune iniziazione, proprio perché nel mito i primi a gareggiare erano stati due fratelli.

La festa era probabilmente in relazione con il dio dei boschi Fauno, che favorisce la fecondità del gregge e lo protegge dai lupi, simboleggiato dal capro (hircus). In un secondo tempo al capro venne aggiunto il lupo (hirpus), che simboleggiava Marte, padre di Romolo e Remo, e anche il sabino Soranus (venerato sul monte Soratte), un dio infero purificatore e fecondatore, dando luogo a questa strana mescolanza di elementi simbolici.

Negli stessi giorni veniva ricordata Giunone Februata (purificata), patrona delle nascite, con una fiaccolata processionale, il cui ricordo è probabilmente alla base dell’attuale festa della Candelora. Per molti storici l’istituzione di questa ricorrenza cristiana, che la Chiesa orientale celebrava fin dal IV secolo, risalirebbe al papa Sergio I (687-701), ma secondo il Venerabile Beda sarebbe stata introdotta da Gelasio I (492-496) proprio per contrastare il rito dei Lupercali, e in quell’occasione sarebbe stata chiusa la grotta del Lupercale. Quando il papa intervenne, la festa era ancora così radicata che, piuttosto che sopprimerla, preferì cristianizzarla, mantenendo vivo il significato purificatorio, ma dedicandolo alla Purificazione di Maria dopo il parto. Il suo fondamento si trova nella narrazione evangelica di S. Luca, dove si legge che Maria Santissima portò Gesù 40 giorni dopo la sua nascita al Tempio di Gerusalemme, per riscattarlo secondo la prescrizione della Legge ebraica. In tale occasione incontrò il vecchio Simeone, che predisse la gloria del Figlio e il dolore della Madre.

Giotto, Presentazione di Gesù al Tempio

Fissata al 2 febbraio, la festa della Presentazione di Gesù al Tempio fu detta “delle candele”, e popolarmente Candelora, perché caratterizzata dalla benedizione dei ceri, che i fedeli portavano in processione come simbolo di purificazione. Nel calendario tradizionale la Candelora segnava la fine dell’anno vecchio. Era dunque un momento di passaggio adatto per trarre pronostici: da qui una serie di proverbi meteorologici che traggono spunto dal tempo che fa in tale giorno (es. “Per la Candelora, dall’inverno semo fora, ma se piove e tira vento, ne l’inverno semo dentro”). I ceri benedetti in occasione di questa festa, adornati spesso con fregi multicolori, venivano custoditi gelosamente in casa: ad essi si attribuivano particolari poteri contro le forze malefiche. Venivano accesi, invocando la protezione divina, in momenti difficili, in particolare al capezzale di un moribondo, per allontanare con la loro luce la tetra morte, o durante un temporale particolarmente disastroso, per placare la natura infuriata. Ma i ceri non erano apprezzati proprio da tutti. Un viaggiatore come Goethe, attratto più dall’arte che dal folklore, dopo aver assistito alla cerimonia della consacrazione delle candele nella Cappella Sistina, commentò così:

Poco dopo entrato ebbi come un’impressione spiacevole e pregai i miei amici di condurmi fuori. Perché io pensavo che sono appunto le candele che da 300 anni oscurano quelle superbe pitture ed è l’incenso che con santo disprezzo non soltanto annebbia questi soli dell’arte, ma finirà per cancellarli tutti”.

Oltre alla cristianizzazione della fiaccolata in onore di Giunone, anche il rito del Natale cristiano può essere messo in relazione con le antiche feste romane. Secondo l’archeologo Andrea Carandini, studioso delle origini di Roma, il primo Natale sarebbe stato celebrato nella chiesa di Sant’Anastasia, nei pressi del Lupercale, e quindi ci sarebbe stata una mutuazione tra il luogo dell’allattamento di Romolo e Remo e quello della nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, che avrebbe portato alla tradizione del presepe.

In campo artistico il mito delle origini è stato fortemente sentito in epoca augustea e poi riscoperto, dal Rinascimento in poi. Tra gli esempi di epoca romana ne voglio citare due su tutti: il rilievo con la scena detta del Lupercale in uno dei pannelli esterni dell’Ara Pacis Augustae e l’ara con scena quasi analoga conservata nel Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo.

Frammento di rilievo con Luperci, Museo Nazionale Romano

Il rilievo dell’Ara Pacis purtroppo è molto frammentario, ma la scena viene ricostruita a colori, in realtà virtuale e aumentata, nell’ambito della manifestazione L’Ara com’era. Vi si riconoscono il dio Marte e il pastore Faustolo, che assistono all’allattamento dei gemelli Romolo e Remo presso il ficus ruminalis, tra resti di piante lacustri. Molto ben conservata è invece l’ara di Palazzo Massimo (prima metà del II secolo d.C.), che è stata ritrovata a Ostia antica nel Sacello di Romolo e Remo: su uno dei lati è raffigurata la lupa con i gemelli, Marte con l’aquila imperiale, i pastori Faustolo e Faustino e il dio Tevere.

Sullo stesso tema a Roma possiamo ammirare anche un magnifico dipinto di Pietro Paolo Rubens, “Il ritrovamento di Romolo e Remo” (1612),

Rubens, Ritrovamento di Romolo e Remo, dai Musei Capitolini

conservato nei Musei Capitolini. Anche in questo caso si vedono i due gemelli allattati dalla lupa all’ombra del Ficus ruminalis, accanto al dio Tiberino, mentre stanno per essere trovati dal pastore Faustolo. Se da un lato Rubens segue alla lettera la tradizione antica, dall’altra aggiunge di suo un picchio che porta ai gemelli tre ciliegie, interpretate come simbolo della passione di Cristo e insieme della Trinità.

Quanto alla festa dei Lupercalia, si ricordano in particolare un dipinto a olio della prima metà del XVI secolo del manierista Domenico Beccafumi (Firenze, Inv. Casa Martelli, n.52),

D. Beccafumi, I lupercali
A. Camassei, Lupercales-Prado

dove insieme ai luperci è raffigurata anche la scultura della lupa che doveva essere collocata presso la grotta del Lupercale, e un altro dipinto di Andrea Camassei conservato a Madrid nel Museo del Prado (olio su tela, 1635), che mostra i giovani in corsa con le sferze levate per colpire le donne e sulla destra un simulacro di Fauno. Mentre anticamente i luperci erano raffigurati in

Annibale Carracci, studio per Lupercalia

nudità eroica (e in effetti correvano nudi in ricordo dei mitici eroi Romolo e Remo), come si vede per esempio in un frammento di rilievo conservato nel Museo Nazionale Romano, nei dipinti cinque-secenteschi la nudità totale scompare, mentre la ritroviamo in un disegno di Annibale Carracci (Studio per Lupercalia, British Museum, Londra), autore, con il fratello Agostino e col cugino Ludovico, del famoso Fregio con le Historie e fatti de primi Fondatori di Roma Romolo e Remo in Palazzo Magnani a Bologna.

Nica FIORI    Roma febbraio 2018

Bibliografia:

1) OVIDIO, I Fasti, con traduzione di Luca Canali, BUR Milano 1998
2) CATTABIANI, Simboli, miti e misteri di Roma, Newton Compton Roma 1990
3) FIORI, Roma arcana. I misteri della Roma più segreta, Ed. Mediterranee, Roma 2000