di Michele CUPPONE
Caravaggio, 1951. Tra immagini e documenti, la ricerca sulla mostra longhiana restituisce ancora novità
È il 21 aprile 1951 quando nelle sale di Palazzo Reale si inaugura a Milano la celebre Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi. Quasi settant’anni dopo, un volume di Patrizio Aiello edito da Officina Libraria, Caravaggio 1951, ne rispolvera le tante memorie, ne restituisce il contesto storico e culturale e sviluppa intorno a essa più ampie riflessioni – quest’ultime in particolare grazie agli autorevoli contributi di apertura e chiusura a firma di, rispettivamente, Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa.
Qualche commento sul prodotto editoriale in sé, intanto. Che si presenta con una bella e appropriata copertina dal sapore retrò. Altre soluzioni tecniche risultano meno apprezzabili. La rilegatura in brossura delle 224 pagine, ne rende per così dire ‘antipatica’ la consultazione: esse non scorrono facilmente e un amante (ammettiamo pure un po’ fanatico) del libro, inteso peraltro come articolo da custodire con cura, dovrà forzarne l’apertura, specie per i rimandi alle note che non sono a fondo pagina. Inoltre, in appendice, la scala di grigi adottata non sarà la migliore per distinguere i dati certi da quelli ipotizzati, identificati appunto con due gradazioni (poco) differenti di colore [fig. 2].
Passando piuttosto ai contenuti, sulla cui qualità e ricchezza non si discute, ciò che contraddistingue Caravaggio 1951 è anzitutto la ricostruzione per quel che possibile del percorso espositivo, grazie soprattutto ad alcuni scatti fotografici degli Archivi Alinari, vero punto di partenza della ricerca. La sezione iconografica consta in totale di 33 illustrazioni in bianco e nero, e non si può tacere che un formato maggiore avrebbe consentito di apprezzare meglio alcuni particolari (quadri visti di taglio, o più lontani dall’osservatore etc). L’autore si è comunque speso molto sugli ingrandimenti, fino a notare dettagli come i singoli libri in vendita nel bookshop di Palazzo Reale.
Quest’ultimo punto, indice di accuratezza, non sembri al contrario un ostinarsi fino ad aspetti più di contorno, rispetto a un evento che di fatto è entrato nella mitologia. È così ad esempio che per il numero di visitatori si fanno cifre discordanti (e tutte stimate, se per stessa ammissione del commissario tecnico fu assente un «servizio statistico»): si va dal comunque ragguardevole «circa 400.000» che il volume menziona, al forse un po’ troppo generoso «500.000» (da ultimo riportato tra i débats in “Studiolo” 8-2010). Certo è che fu una rassegna dalla portata straordinaria, mai vista prima e impensabile da potersi ripetere poi. Un “Miracolo a Milano”, verrebbe da dire evocando il film di Vittorio De Sica che uscì proprio in quel 1951. Aiello ne richiama i visitatori illustri, facendo menzione di Giorgio Morandi e di alcuni storici dell’arte e politici. Piace in questa sede ricordare anche il premio Nobel Dario Fo che, nello spettacolo del 2003 Caravaggio al tempo di Caravaggio, dichiarava di aver «partecipato addirittura all’allestimento»; forse un lapsus tuttavia se, nella trasposizione editoriale, scriverà più semplicemente di essere stato all’inaugurazione, invitato con tutti gli altri allievi dell’Accademia di Brera.
E dunque l’immagine come cuore dell’opera bibliografica. Per cui, citando David Hockney, si giunge (in postfazione) a parlare di critica della fotografia e ci si sofferma sul rapporto tra realtà e sua riproduzione. Non è qui il solo coinvolgimento personale a impormi di aggiungere per completezza, rispetto al «quanto di meglio offre la fotografia contemporanea in uno scatto da photoservice» sui laterali Contarelli, un rimando a quella che è a la più aggiornata (2018) campagna fotografica a San Luigi dei francesi, eseguita da Mauro Coen (e già pubblicata da Sara Magister in Caravaggio. Il vero Matteo). Peraltro, anche chi scrive ha avuto occasione di fare, a partire da un esempio caravaggesco, una breve «riflessione sull’utilizzo delle riproduzioni fotografiche» e sui diversi risultati cui possono condurre negli studi, e per questo si rimanda al numero 23-2017 di “ArtItalies”.
Tornando piuttosto alla mostra, è interessante seguirne la gestazione. Spuntano fuori difficoltà incontrate ma anche continue aggiunte di quadri in fase progettuale, grandi personalità che si sarebbero spese in suo favore o che viceversa non avrebbero favorito la concessione di taluni prestiti (fra queste, Giulio Andreotti e i non ancora saliti al soglio pontificio Giovanni XXIII e Paolo VI), dissapori tra membri della commissione per la scelta delle opere (su tutti, quelli tra il commissario tecnico Roberto Longhi e Lionello Venturi e, ancora, tra il primo e l’ICR, per non dire sia pure a livello più episodico tra il solito Longhi e Matteo Marangoni). Vien fuori persino che, come in reazione alla mancata concessione della Deposizione di Cristo, si pensò in un primo momento di esporre un suo supposto bozzetto, di cui oggi non si ha traccia. Qui l’autore, nel ricordare la vecchia ipotesi di Maurizio Calvesi di collegare al quadro vaticano lo «sbozzo» del dipinto pagato a Merisi da Fabio Nuti nel 1600, manca di precisare che lo stesso studioso romano, come in tanti d’altronde, è oramai giunto alla conclusione che quel bozzetto citato dal documento Nuti fosse pertinente non alla Deposizione, bensì alla Natività di Palermo (sull’intera questione, vedi uno specifico contributo su “Valori Tattili” 9-2017).
Fig. 3 – Natività a Palazzo Reale per la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (Bildarchiv Foto Marburg).
A ogni modo, almeno il quadro dell’oratorio di San Lorenzo andò in mostra, rimandando alla sua chiusura l’atteso restauro per cui prima non si era fatto in tempo. E lì, notizia questa inedita, sia pure solo per un particolare fu immortalato per la prima volta in una foto a colori: di fonte Conzett und Huber Verlag, essa è ora di proprietà del fornitissimo eppure poco frequentato Bildarchiv Foto Marburg [fig. 3]. Così ci viene descritta la tela in quell’occasione, da una voce non contemplata in bibliografia:
«Nella penombra dell’angolo della remota sala, ove la bella “Natività” venne collocata (al n. 44), il dipinto non fece sentire tanto la sua presenza, altre e più sfolgoranti opere del grande maestro lombardo ben ripulite ed in buono lume attirarono la commossa ammirazione dei visitatori. La Natività apparve come il “parente povero”, quasi obliato. Ciò non pertanto essa non mancò di appassionati ammiratori».
Pubblicate su “La Giara” 1-1952, esse sono le parole tutt’altro che imparziali di Filippo Meli, che della tela a Palermo fu geloso custode. Purtroppo, nemmeno uno scatto è pervenuto di tutto il nucleo di pale d’altare di provenienza siciliana, per come collocate all’interno del medesimo ambiente. Fatta eccezione per uno dell’Adorazione messinese, evidentemente non noto ad Aiello e che invero si estende poco al di là della cornice del quadro. Esso proviene dalla campagna che realizzò lo studio di Mario Perotti, alcuni scatti della quale (comunque in sostanza i soli dipinti) figurano in vendita su siti di e-commerce.
È questa del professionista meneghino una pista da me battuta in cerca di qualcosa di più interessante ma senza successo, come avvenuto per Paolo Monti sapendo che questi all’epoca fotografava, tra le altre cose, le mostre d’arte (e così pure l’agenzia Publifoto). Sono tuttavia gli Archivi Farabola da me consultati, quelli che offrono alcune decine di riprese delle sale di Palazzo Reale, per la maggior parte realizzate in fase di allestimento. Come nel particolare qui riportato, che vede gli operai al lavoro tra la copia fiorentina del Mondafrutto, la Flagellazione di Capodimonte e la Conversione di Saulo Cerasi [fig. 4]. Nel telero che segue, illeggibile per il forte riflesso, può riconoscersi il Seppellimento di santa Lucia grazie al confronto con altri scatti pertinenti alla medesima sessione. In uno di questi la pala siracusana è trascinata, senza le moderne accortezze e passando accanto alla Madonna dei pellegrini, da due «facchini» – proprio con tale termine il biografo Francesco Susinno descrisse i due becchini ai lati del quadro, che questi addetti sembrano inconsapevolmente emulare [fig. 1]. Un sussulto si ha poi alla visione dell’ancora integra pala di Sezze di Orazio Borgianni, brutalmente mutilata dopo il furto del 1976: nemmeno l’imbianchino alle prese con i lavori di allestimento, fermatosi per un attimo, resta indifferente alla sua bellezza [fig. 5].
Fig. 4 – Mondafrutto, Flagellazione di Cristo, Conversione di Saulo e Seppellimento di santa Lucia a Palazzo Reale per la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (da https://milano.corriere.it).
Su una base limitata dunque, foto e testimonianze letterarie del tempo, si muove in Caravaggio 1951 il tentativo di ricostruire il percorso di visita, fino, dove consentito e facendo diverse supposizioni, alla disposizione delle singole pitture. Il lavoro fatto in tal senso è meritevole e almeno una di queste ipotesi può essere verificata: sempre un’immagine Farabola, mi consente di confermare che nella parete di fondo della sala con al centro la Madonna dei Palafrenieri, era stato collocato il telone delle Sette opere di misericordia [fig. 6]. L’apparato di tavole stimola il lettore a esercitare il proprio occhio. In una ad esempio si vede in forte scorcio una Sacra Famiglia con san Giovannino di anonimo copista, senza arrivare a identificare di quale esemplare si tratti: ne furono infatti esposti due, uno in prestito da Berlino e l’altro da collezione privata. Ma il confronto con la più sobria cornice del primo, che conosciamo attraverso un’immagine chiaramente scattata a Palazzo Reale (Bildarchiv Foto Marburg, 657.867, dove come per altre si notano la data di registrazione del 1951 e il cartellino della mostra), porta, per esclusione, ad associare al secondo la riproduzione oggi pubblicata.
Fig. 6 – Madonna dei Palafrenieri e Sette opere di misercordia a Palazzo Reale per la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (Archivi Farabola).
Insidiosa è stata infine la ricostruzione della sala III, perché questa subì un riallestimento. Essa è stata ripresa prima e dopo il nuovo assetto, e a quanto pubblicato nel volume si aggiunge qui una foto di accertata provenienza Associated Press (e dunque un’altra fonte ancora) [fig. 7]. Riconfigurazioni delle pareti avvennero anche altrove, per uscite anticipate di quadri o loro arrivi a mostra già avviata. Per questi ultimi, il caso più celebre è la Giuditta di collezione Vincenzo Coppi che, fresca di scoperta, giunse nel mese di luglio a pochi giorni dalla chiusura. E qui si innesta il discorso delle cronologie su cui vi furono «le dispute più accese»; né più né meno di quanto avviene ancora oggi, verrebbe da dire: il capolavoro acquisito poi da Palazzo Barberini, infatti, era stato prontamente introdotto negli studi da Longhi con datazione ante Contarelli, mentre ultimamente si discute se spostarlo un po’ oltre quello ‘spartiacque’, al 1602 circa (per il contributo al momento più completo e aggiornato sul tema, si rinvia agli atti delle giornate di studio Caravaggio e i suoi). All’epoca comunque era la scansione temporale dello stesso ciclo di San Luigi a costituire un fertile terreno di scontro – su tutti, nemmeno a dirlo, fra Longhi e Venturi.
Fig. 7 – San Francesco in estasi e San Giovanni Battista nel deserto a Palazzo Reale per la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (da https://milano.corriere.it).
Si è accennato alle testimonianze letterarie coeve e a tal proposito, per chi volesse integrare una bibliografia con testi di fatto sconosciuti agli studi nostrani, segnalo la recensione di José Milicua pubblicata su “Laye” 19-1952 (https://ddd.uab.cat/pub/laye/laye_a1952m5-6n19.pdf) e un articolo di Patricia García-Montón González, apparso su “Ars Longa” 25-2016 e che cita ulteriori fonti. Di più, in occasione di uno studio su tutt’altro argomento poi uscito sul fascicolo 9-2017 di “Valori Tattili” di cui sopra, avevo intrapreso presso la Fondazione Longhi una «collaterale ricerca iconografica […] tesa a reperire immagini della storica mostra del 1951 a Palazzo Reale per mera curiosità personale». Come accaduto ad Aiello, si sono subito fatti i conti con l’assenza di un qualche faldone dedicato ai lavori in corso d’opera, al di là dei ritagli di articoli di giornale con le cronache del tempo. Ma proprio la volontà di non rassegnarsi ha spinto a immaginare di poter trovare qualcosa in archivio, tra la corrispondenza ricevuta da Longhi. Non ho poi avuto modo di consultare tutte le cartelle relative a quanti coinvolti a vario titolo nell’evento, ma dal fascicolo Costantino Baroni è saltato fuori qualcosa di curioso, che varrà la pena condividere.
Siamo al 21 giugno 1950 quando quello che fu il segretario tecnico della rassegna dava il «benvenuta nella pattuglietta degli addetti alla segreteria la brava e segretissima Gregori, che si troverà come a casa propria». Il successivo 8 luglio, nel rassicurare «siamo in pieno fervore caravaggesco e stiamo svolgendo il lavoro impostato a Firenze con lei», Baroni prosegue: «Ci mancano però i seguenti dati […] Da Caravaggio – “Cattura di Cristo” (copia) Avv. Sonnino – è reperibile?». Il riferimento è naturalmente al dibattuto dipinto a quel tempo ancora nella collezione meglio nota come Ladis Sannini. All’altezza del 4 dicembre, ritrovo una supplica: «Preghi la brava De Gregori [sic] di aiutarmi di buona lena e, se può, svegli anche Bologna e Causa, i quali finora non si sono fatti vivi». Il riferimento è sempre alla mostra? Di fatto, al contrario dell’operosa Mina Gregori, Ferdinando Bologna e Raffaello Causa non concorreranno all’impresa, se i loro nomi non appaiono nel colophon del catalogo. A conclusione della retrospettiva, è il 29 luglio del 1951, si accenna al «testo della Sua [di Longhi] rassegna degli interventi giornalistici sulla Mostra, destinato al Terzo Programma della RAI», che Baroni desidererebbe leggere: «È una curiosità un po’ pettegola; ma non tutta ingiustificata». Ci si sente di condividere tutta la «curiosità» manifestata senza filtri: certamente, se reperibile, quel materiale avrebbe fornito informazioni di un certo interesse e si immagina utili per Caravaggio 1951.
Per concludere con un antefatto, il 7 febbraio del 1951 Baroni riportava la seguente segnalazione da parte di Alfonso Orombelli «per la Mostra Caravaggesca», oramai di prossima apertura: «A Milano presso il Conte Diego Melzi di Cusano – Via Monte Napoleone 18, un interessante Uomo o Bacco bevente, che proviene dalla Casa che i Melsi [sic] avevano a Caravaggio»; salvo poi, sottovoce, mettere le mani avanti: «(Può darsi che qui per entusiasmo prenda un granchio, ma vedere non nuoce mai)». Come per il supposto bozzetto della Deposizione, la proposta non ebbe fortuna e il pensiero corre ai tentativi che, fino a giorni più vicini a noi, certi privati interessati e audaci conoscitori fanno per accreditare questo o quel dipinto. Tramite pubblicazioni o, appunto, mostre.
Con le nuove fonti iconografiche, d’archivio e bibliografiche qui sottoposte, si è accolto volentieri l’appello di Aiello che con umiltà non comune «si rimette a quanti vorranno suggerire, integrare o emendare». Il quale certamente saprà farne buon uso per un atteso seguito della ricerca, se come si legge egli intende quanto meno approfondire l’impatto della mostra sugli studiosi, oltre che dalle recensioni, anche attraverso lo spoglio dei cataloghi fittamente postillati. Sarà affascinante, per un’altra volta ancora e sia pur virtualmente, tornare a visitare le sale di Palazzo Reale, lasciandosi coinvolgere da guide d’eccezione.
Michele CUPPONE, Roma settembre 2019
Si ringraziano per la disponibilità e per la collaborazione la Fondazione Longhi, Giulia Rota, Claudia Rozzoni (Archivi Farabola) e, per il sostegno, Pietro di Loreto