Un’architettura radicata nella natura; da Chicago le innovazioni di Frank Lloyd Wright

di Francesco MONTUORI

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M.Martini e F. Montuori

Il   Giovane    WRIGHT

 Le  Prairie  hauses

Quando cominciò a lavorare, Frank Lloyd Wright, nato nel Wisconsin nel 1869, si trovava a Chicago; allora poteva essere considerata, a ragione, la città d’avanguardia nel campo dell’innovazione architettonica.

fig.1 Burnam e Root, Monadnoch Building, Chicago 1889-92

Chicago conosce alla fine dell’Ottocento un massiccio fenomeno di inurbamento: costruisce il suo Centro direzionale, i grandi magazzini, l’Auditorium. Wright era allievo nello studio di due degli uomini più intraprendenti, Louis Sullivan e Dankmar Adler, in quel momento in forte ascesa professionale. Lavoravano all’Auditorium Building (fig.1). Si veniva formando una importante comunità di architetti che passerà alla storia come “la Scuola di Chicago”: Le Baron Jennej, Holabird e Roche, Burnam e Root, lavoravano ai primi grattacieli in struttura metallica, inizialmente, per non scandalizzare, rivestiti di laterizi. Ai margini del centro urbano della città, in rapida espansione, si verificano i classici fenomeni di emarginazione sociale delle popolazioni immigrate; si vanno formando nelle periferie aree residenziali provvisorie e degradate.

Gli anni dell’esordio

Wright non seguì direttamente le tendenze della Scuola di Chicago; era per formazione estraneo alla problematica dell’abitazione collettiva che tanto appassionò gli architetti europei del Movimento Moderno, in primis Le Corbusier, con cui non andò mai d’accordo; il suo interesse principale è la ricerca sulla casa unifamiliare; gli permetteva di collegarsi alla tradizione americana delle fattorie dei pionieri, dislocate nelle verdi praterie prossime alle città: “le praterie che si espandono lontano, sempre, coperte d’erbe e di grano” cantate da Walt Withmann.

Sono le residenze delle classi agiate con relazioni umane ben preordinate: il soggiorno per le visite importanti, per il gioco, per lo studio; i locali per i domestici; le camere per il riposo ben orientate ed areate al piano superiore. Il loro cuore è il grande camino, simbolico ed evocativo al tempo stesso, secondo la tradizione dei pionieri che tutti abbiamo potuto gustare nei film western. E’ questa dimensione dilatata della natura che Wright interpreta progettando un’architettura che lui stesso chiamerà più tardi “organica”, proprio perché vuole conciliare le aspirazioni umane con la natura incontaminata dei grandi spazi del territorio americano.

Quando nel 1887 il giovane Wright entra presso lo studio di Adler e Sullivan i due architetti si trovano impegnati nell’esaltante esperienza dell’Auditorium Building (fig.2). Volevano profondamente innovare l’architettura del loro paese.

fig.2 Adler e Sullivan, Auditorium Building, Chicago 1887

Alcuni anni più tardi, nel 1913, si terrà a Chicago l’Esposizione Mondiale; il pubblico e la maggior parte degli architetti statunitensi, grandi ammiratori della villette di campagna in stile palladiano di Thomas Jefferson, si entusiasmarono. Al contrario Sullivan, ormai trentunenne, impegnato nell’arduo processo di chiarificazione critica per uscire dalla formazione Beaux Art, dichiarò con amarezza che si trattò di una ignobile parata eclettica e classicista e Wright stesso la etichetterà come “una mascherata tragica, una straripante ondata di megalomania”. Più tardi, nel Testamento, scritto nel 1957, ricorderà come “ogni ambizioso imbecille che esercitasse la professione di architetto ne restò affascinato”.

L’architettura organica

Sarà il suo maestro Louis Sullivan a contrapporre a questa accademia la prospettiva dell’architettura organica. Come ricorda Sigfried Giedion in Spazio, Tempo, Architettura  “Organico significa vita, significa sviluppo”; per Sullivan e per il giovane Wright è “la ricerca della realtà, parola che io amo perché amo il senso della vita che essa rappresenta”. Organico significherà la protesta contro gli stili storici, la cultura dissociata, la tendenza in cui pensiero e sentimento convergono per coincidere. Quando altri costruivano grattacieli Wright pensava alle sue originarie idee sull’architettura organica che vedeva proiettata su dimensioni vaste, secondo un’accentuata tensione orizzontale.

E’ proprio nell’affondare le proprie radici nella Natura, matrice di ogni esperienza, non astratta geometria ma immagine che contiene la storia tutta, Luogo Naturale, che trae alimento la riflessione e l’opera del giovane Wright.

Già nel 1889 aveva costruito la sua stessa prima residenza e studio ad Oak Park (fig.3), un villaggio ad otto miglia da Chicago.

fig.3 Frank Lloyd Wrigth. La sua prima casa, Oak Park, 1888-1892

Potette dunque applicarsi allo studio da lui stesso prescelto, quello della casa unifamiliare che gli permetteva, fra l’altro, di ricollegarsi ad un ramo importante della tradizione americana. Scriverà nel Testamento “sereni profili di volumi sviluppati sui livelli del terreno in conveniente proporzione umana”; materiali appropriati ed un progettazione “condotta sul principio della linearità e del piano”. La dimora era stata, per tradizione, un rifugio per l’individuo e la famiglia; Wright distrugge la scatola tradizionale e crea un nuovo tipo di interazione fra interno ed esterno. Il concetto di interno venne così trasformato in uno spazio da cui l’individuo può esperire un senso di libertà e partecipazione. Wright perviene a quell’organico continuum spaziale che è alla base della rivendicazione dell’unità delle azioni dell’uomo che nella casa si svolgono.

La strada maestra delle Praire Houses era chiaramente segnata.

Punti essenziali

Nel 1930 in una Conferenza tenuta all’università di Princeton riportata nel 1945 in Architettura e Democrazia, Wright ricapitolerà i punti essenziali sulla casa unifamiliare:

ridurre al minimo indispensabile le pareti divisorie, creando un ambiente circoscritto, distribuito in modo che aria, luce e visuale permeassero l’insieme di un senso di unità;
armonizzare l’edificio con l’ambiente esterno, estendendo ed accentuando i piani paralleli al suolo ma lasciando libera la parte migliore del luogo per usarla in  collegamento con la vita della casa;
eliminare la concezione delle stanze e della casa come scatole e trattare invece i muri come pareti di chiusura….in modo che formassero un unico recinto di spazio, conservando solo le suddivisioni minori….lunghe linee diritte e senza interruzioni  erano molto opportune;
–  portare il malsano basamento incassato interamente sopra il livello del terreno, come un basso piedistallo per la parte viva della casa, in modo che le fondamenta  apparissero come una bassa piattaforma in muratura sulla quale si ergeva l’edificio;
dare a tutte le aperture esterne ed interne proporzioni logiche ed umane e farle ricorrerle naturalmente, isolate o in serie nello schema di tutto l’edificio. La stanza divenuta essenziale espressione architettonica non ammetteva buchi tagliati nelle pareti. Tagliare dei  buchi è  violento, ammoniva Wright.
–  eliminare combinazioni di materiali diversi usando, per quanto possibile, un unico materiale; non applicare ornamenti che non nascessero dalla natura stessa dei materiali e contribuissero a rendere l’edificio più chiaramente espressivo;
Incorporare gli impianti di riscaldamento, di illuminazione e tubature facendone parte integrante dell’edificio. Questi elementi di servizio diventano architettonici, inquadrandosi nell’ideale di un’architettura organica;
incorporare, per quanto possibile, il mobilio come architettura organica, facendone parte dell’edificio. Di nuovo linee rette e forme rettilinee;
  eliminare il decoratore, tutto curve ed efflorescenze.

Le prime Praire Hauses

Il periodo delle prime Praire houses va dal 1891 al 1909; dalla prima casa Charnley del 1891 (fig.4), progettata da Wright quando era ancora presso lo studio Adler e Sullivan, (ma fuori dall’orario di lavoro),

fig.4 Frank Lloyd Wrigth. Charnley house, Chicago, 1891

si vanno precisando via via le scelte architettoniche: rottura dell’unità volumetrica compatta; articolazione degli stessi in più elementi plastici tridimensionali; addensamento del costruito sulle assialità ortogonali; triplice ripartizione dell’edificio in basamento, ambienti, copertura a tetto. Una casa dalle linee aerodinamiche, costruita nel 1902 per Ward Willits dimostrò che ormai egli si era reso completamente autonomo (fig.5).

fig.5 Frank Lloyd Wrigth. Ward Winfield Willits house, Highland Park, 1902

Ricorda ancora Wright:

Quando nel 1891 cominciai a costruire case, gli edifici erano tutti alti e stretti. I camini erano ancora più alti e magri, fra i tetti crudelmente aguzzi spuntavano gli abbaini… ingegnosi espedienti perché la servitù potesse respirare. Il basamento si ergeva con le sue pareti di pietra grezza poco più di un piede dal livello del suolo.
Così la prima cosa da fare era di liberarsi dagli abbaini e abolire il malsano basamento nelle case che costruivo in prateria. Al posto dei magri camini ne bastava uno solo molto grande. Il camino era parte importante dell’architettura della casa; allargai  il più possibile i volumi verso la natura, riducendoli invece in larghezza. Le pareti della casa si alzavano ora dal terreno su una bassa piattaforma di pietra e finivano all’altezza delle finestre del secondo piano (fig.6);
fig.6 Frank Lloyd Wrigth. Winslow house, River Forest, Illinois 1883
le stanze superiori proseguivano in una serie continua di finestre, sotto i larghi spioventi del tetto a falde in leggera pendenza. Così i muri inferiori diventavano pareti di chiusura e i muri del secondo piano pannelli leggeri. Questo era veramente chiusura dello spazio interno.
Mi piaceva vedere la piattaforma sporgente poggiata sui muri di fondamento, come una solida base dell’edificio. Eliminando gli abbaini, potei fare tetti bassi. La casa cominciò ad avvicinarsi alla terra e a divenire parte naturale, organica, della prateria.(fig.7)
fig.7 Frank Lloyd Wrigth. Heurtley house, Oak Park, 1902

L’esterno della casa è diretta conseguenza di ciò che succedeva all’interno. Nelle abitazioni di allora gli “interni” erano un complicato sistema di scatole a fianco e dentro altre scatole, chiamate stanze. Tutte le funzioni domestiche si svolgevano da una scatola all’altra. Wright fece scomparire molte porte e pareti divisorie; abbassando ad altezza d’uomo le finestre anche i soffitti potevano piegarsi sulle pareti e creare larghe fasce orizzontali dello stesso colore dei soffitti (fig.8). Anche un piccolo ambiente appariva più spazioso.

fig.8 Frank Lloyd Wrigth. Coonley house, Riverside, 1908-12

Nel 1909 con la Robie house si chiude il primo ciclo delle Praire Hauses (fig.9).

fig.9 Frank Lloyd Wrigth. Robie house, Chicago 1909
fig.10 Frank Lloyd Wrigth. Robie house, Chicago 1909

Si arriva alla Robie house dalla stazione centrale di Chicago dopo un lungo viaggio in treno, attraversando squallidi quartieri di periferie malfamate; si giunge ad una cadente stazione e da qui si perviene a questa splendida luminosa residenza. Allora, quando la visitai era  utilizzata come biblioteca. Il corpo di fabbrica principale, rettangolare ed allungato, è uno spazio unico ed articolato organizzato da un camino centrale e da una scala che conduce alle camere di riposo; gli arredi fissi ed i mobili sono tutti progettate da Wright (fig.10). Il perimetro esterno è articolato dal nastro ritmato delle finestre; i volumi molto articolati, sono segnati da lunghe linee di cemento bianco Un ampio porticato definisce larghe zone di soggiorno all’aperto; il tetto è un piano leggermente inclinato e fortemente aggettante, i volumi come proiettati verso la natura circostante (fig.11).

fig.11 Frank Lloyd Wrigth. Robie house, Chicago 1909

Tutto è semplice ed organico. La casa è divenuta più libera ed abitabile.

Francesco MONTUORI   Roma 26 aprile 2020