“Un Ecce Homo che ci fa sognare ma c’è qualche ombra”. Il parere di chi ha restaurato due dipinti di Caravaggio.

Carla MARIANI

Il nome di Caravaggio suscita sempre un enorme intresse ed attrazione, anche perche’ sappiamo che esiste qualche seppur remota possibilita’, di trovare qualche sua opera inedita. Questa che ci viene proposta, proveniente da una sconosciuta fonte spagnola, è estremamenta suggestiva.

Chi scrive è una conservatrice che ha avuto la fortuna di restaurare due dipinti del maestro e conosce la materia e la sua tecnica compositiva ed esecutiva. Bisogna premettere che i suoi dipinti a dispetto di quelle che potrebbero sembrare scorrettezze disegnative o esecuzioni sommarie, hanno una armonia, una perfezione e una monumentalita’ indefettibili.

Ad una prima osservazione, questa opera sembra parlarci con un linguaggio noto, familiare, molto vicino a quello del grande maestro, in genere la composizione del Merisi nasce da un punto di fuga centrale, che qui potrebbe essere il gomito del manigoldo che ci guarda; si apre in un ventaglio di diagonali che ordinano le figure nello spazio.

In questo dipinto troviamo questa caratteristica che lo distingue come notiamo una linea curva ideale che racchiude le tre teste della composizione, come nella “La cena in Emmaus”, la “Cattura di Cristo” o il “Cristo alla colonna”. Anche la porzione di muro illuminata, separata con una linea netta dall’ombra ci potrebbe confortare.

Il cromatismo e la materia pittorica rispondono alla tavolozza del Merisi, che è composta di pochissimi colori sempre gli stessi, bianco, terre, ocre, neri e rosso cinabro.

Lo stato di conservazione del dipinto, anche se non sembra soffrire di lacune o svelature, è comunque alterato da vernici ossidate e polvere che creano un velo bruno grigiastro che scurisce il toni chiari e schiarisce quelli scuri, facendoci perdere la capacita’ di valutare le profondita’ e leggere al meglio il testo pittorico.

Tanto che non riusciamo a capire la materia del corpo nudo di Cristo, che sembra essere corposa, come sempre è quella di Caravaggio che dipinge a campiture piene soprattutto sugli incarnati, usando le velature raramente.

Ci concentriamo su questo punto perche’ il maestro qualche volta quando deve dare particolare accento ad una luce sull’incarnato, usa molta materia lasciando la traccia del pennello, mentre normalmente i suoi incarnati sono lisci anche se corposi.

In questo caso lo spessore e le tracce del pennello sembrano essere molto marcate ed evidenti, un po’ troppo trite per la sua conduzione pittorica.

Bello è il ritratto del giovane alle spalle di Cristo, con i suoi lineamenti leggermente camusi, la sua espressione è sospesa, quasi stupefatta di dover sostenere un ruolo così grave nel coprire con il panno rosso del dolore e del sacrificio il corpo del Messia.

Ma alcune caratteristiche, a parere di chi scrive, ci fanno dubitare.

La testa del Cristo è piccola, sensibilmente piu’ piccola di quella del giovane dietro a Lui, il difetto sembra essere dovuto ad un errore nel disegno dell’inclinazione della testa che è quasi in scorcio, e questo è molto insolito, l’espressione è mesta addolorata, ma manca la sofferenza acuta bruciante eppure contenuta degli altri soggetti analoghi del maestro.

Anche il corpo nudo, benche’ sia modellato correttamente, non emerge, non è protagonista, sembra essere compresso stretto tra le le figure che lo circondano. Come dovrebbe essere il mantello rosso simbolo della passione e del sangue, che ha un’aria esigua e troppo sacrificata.

Non è paragonabile alle figure di Cristo nei dipinti della sua passione, che sono dei giganti morali assoluti, emergenti, ed esposti al nostro sguardo nel monumento del loro dolore.

Caravaggio ci fa sempre vibrare, vorremmo vedere questo dipinto pulito e piu’ leggibile, sperando di vibrare ancora

Carla MARIANI   Roma 10 aprile 2021