Un cinico compromesso: Marcello Piacentini e la Città Universitaria di Roma, una storia di adeguamenti ed esclusioni.

di Francesco MONTUORI

A partire da questo numero gli architetti Massimo Martini e Francesco Montuori -già più volte ospiti di About Art- inziano una rubrica, Migranti sull’About, con cui interverranno a cadenza fissa sulle questioni urbanistiche ed architettoniche contemporanee o che hanno fatto la storia dell’architettura italiana e non solo, tramite articoli e saggi che investono problematiche sempre attuali che riguardano  le loro discipline con l’intento però di guardare sempre in maniera attenta alle condizioni più favorevoli alla vita e alle attività delle comunità. Martini e Montuori, insieme ad Alessandro Anselmi, Gabriella Colucci, Anna Di Noto, Patrizia Nicolosi, Pierluigi Eroli, Giuseppe Milani, ed altri hanno fondato negli anni ’60 il Grau (Gruppo Romano Architetti Urbanisti) con cui hanno realizzato scritti, concorsi, progetti di grande rilievo ed importanza di cui è impossibile dar conto in questa sede.

Migranti sull’About

Di M. Martini e F. Montuori

LA CITTA’ UNIVERSITARIA DI ROMA

di Francesco MONTUORI

Nell’Aprile del 1932 Mussolini conferisce ufficialmente l’incarico della nuova Città Universitaria di Roma all’architetto Marcello Piacentini, Accademico d’Italia;

La Città Universitaria in una foto d’epoca

l’opera deve essere realizzata in tre anni nell’area limitrofa al preesistente Policlinico.

La Città Universitaria di Roma. Planimetria
“Esprimo V.E. mia riconoscenza alto incarico grandiosa opera con cui mi dedicherò per farla degna del Fascismo di Roma.”

Così recita il telegramma di accettazione (1). Nella lettera che ufficializza l’incarico vengono descritti gli indirizzi da seguire:

“di progettare il piano generale della Città Universitaria stabilendo l’ubicazione, la disposizione, le misure generali e il coordinamento fra i vari edifici e di fornire ai vari architetti i criteri generali da seguire nella progettazione delle singole facoltà.”
L’Istituto di Botanica e Chimica farmaceutica di Giuseppe Capponi

Piacentini sceglie per la progettazione Capponi, Foschini, Michelucci, Pagano, Ponti, Rapisardi e Vaccaro, tutti giovani architetti, tra i migliori in ogni regione d’Italia. Crea inoltre un Ufficio Tecnico per lo studio dei progetti esecutivi e la loro realizzazione; ne fanno parte Guidi, E. Montuori e Minnucci cui vengono assegnati rispettivamente i compiti per lo sviluppo artistico dei progetti e per approfondire le ricerche tecnologiche.

Fig. 3 Il progetto. Vista verso i Propilei di Arnaldo Foschini. Disegno di Eugenio Montuori

Saltano tuttavia agli occhi alcune assenze non motivate: quelle di Libera, presidente del Movimento Italiano Architetti Razionalisti, di Terragni, De Renzi e Ridolfi che  furono fra i principali animatori del razionalismo italiano. Piacentini, dopo che Mussolini aveva pubblicamente apprezzato la nuova chiesa di Cristo Re in Prati – “dalle fotografie ho rilevato che è una cosa bella” – capeggiava ormai ufficialmente il movimento razionalista e ne può dunque autorevolmente tagliare le ali più radicali.

Il progetto richiama esplicitamente la tradizione italiana.

Un ingresso monumentale, formato da alti e solenni Propilei permette l’accesso ad un largo viale alberato delimitata dagli edifici delle facoltà con sullo sfondo la massiccia mole del Rettorato, nella cui Aula Magna campeggerà il grande affresco di Sironi L’Italia fra le Arti e le Scienze. Il viale alberato confluisce in un ampio spazio trasversale, “una piazza dalle dimensioni di Piazza Navona”  chiuso all’estremità dagli Istituti di Matematica di Giò Ponti e dall’Istituto Di Mineralogia, Geologia e Paleontologia di Giovanni Michelucci.

Piacentini stesso, in un numero speciale di Architettura del 1935, descrive la soluzione adottata:

“Ho voluto sviluppare il tema antichissimo e tipicamente italiano di comporre con le varie costruzioni, una piazza definita architettonicamente e volumetricamente. Il tema della tradizione urbanistica greco-tomana prima e rinascimentale poi.. si traduce in questo organismo e perpetua in forme moderne lo spirito della civiltà antica.”
L’impianto basilicale in un’elaborazione di Franco Purini

Lo schema a pianta basilicale e transetto, ben descritto in un’elaborazione di Franco Purini (2), “trae tutta la sua grandiosità dall’ordine e dalla simmetria basamentale: i vari edifici però che vi prospettano, sono formati da masse che si bilanciano, ma non sono affatto uguali fra loro.”

Così conclude Piacentini stesso

“ L’architettura della Città Universitaria, nella sua assoluta semplicità, non rinuncia a nessun postulato di modernità, ma la sua concezione generale è sempre nata in un clima classico e mediterraneo.”

L’arte del compromesso fra tradizione e innovazione che caratterizzerà tutta l’opera di Piacentini, e che rimane alla base del suo successo, trova nella Città Universitaria di Roma una prima importante verifica. Si tratta di un compromesso politico prima che artistico: il punto di equilibrio sarà trovato a seconda degli orientamenti e delle necessità che il Regime richiedeva alla realizzazione di un’architettura moderna come stile di un’epoca fascista, arte di Stato.

Fig. 8 Il Rettorato di Marcello Piacentini

“Possiamo coraggiosamente affermare che un’architettura d’oggi, finalmente esiste?

Piacentini aveva risposto al quesito già nel 1930 quando pubblica, nella collana diretta da Margherita Sarfatti, Architettura d’oggi, la base teorica di quel compromesso fra tradizione e innovazione che rappresenterà il motivo ricorrente della sua fortunata professione. Le numerose immagini che accompagnano il breve testo sono sintomatiche di questo compromesso: tre immagini di opere secondarie di Gropius, Le Corbusier, di Mies si confondono in un ampia rassegna dove primeggia il novecentismo di Banatz, Hoger, Kreis, Fahrenkamp, Moser, e degli italiani A. Calza Bini, Fasolo, Foschini, Muzio, Morpurgo, mentre sono ignorati del tutto e non a caso il movimento del gruppo De Stjl, Loos, Ritveld .

Il suo scritto si conclude con un avvertimento:

“Io vedo la nostra architettura contemporanea inquadrata in una grande compostezza e in perfetta misura. Accetterà la proporzioni nuove consentite dai nuovi materiali, ma sempre subordinandole alla divina armonia che è l’ essenza di tutte le nostre arti e del nostro spirito … Gli sforzi delle varie regioni dovranno incanalarsi su di un’unica via, e gli architetti affiatarsi maggiormente per giungere alla creazione di un’arte moderna nazionale.” (3)

E’ una dichiarazione programmatica, un capolavoro di trasformismo che lascia aperta la porta ad ogni futura convenienza, moderna o antica. Piacentini privilegia una via di mezzo, quella di un classicismo senza decorazioni fatto di imponenti masse monumentali più o meno semplificate a seconda delle convenienze professionali. La rappresentazione contro l’astrazione, principale conquista dell’arte moderna.

Come sottolinea Italo Insolera nel suo Roma Moderna (4) il contributo di Giuseppe Pagano condizionò l’opera degli altri progettisti. Il momento politico e culturale era allora favorevole, dopo la difesa che Mussolini fece a favore della Stazione di Firenze e della nuova Sabaudia. Pagano godeva inoltre di autorevolezza in quanto direttore, dal 1931 con Edoardo Persico, della rivista Casabella-Costruzioni. Pagano accettò dunque di collaborare con Piacentini che lo incaricò di progettare e realizzare il nuovo Istituto di Fisica, lungo il viale di accesso, in posizione di snodo con la grande piazza del Rettorato.

L’Istituto di Fisica di Giuseppe Pagano
L’Istituto di Fisica di Giuseppe Pagano

Pagano progettò un edificio che nulla concedeva alla retorica eclettica e neoclassica: un edificio semplice i cui volumi architettonici, suddivisi secondo il metodo funzionalista, si compenetrano con eleganza mantenendo la loro autonomia tridimensionale. Particolari raffinati come la zoccolatura in lastre di travertino quadrate, i ricorsi di muratura in conci di litoceramica giallo-arancio, le piattabande continue apparentemente indipendenti dalle sottostanti finestre, conferiscono vibrazioni cromatiche ai fronti dell’edificio.

Lo stesso Piacentini si adeguò all’esempio di Pagano; d’altronde aveva egli stesso raccomandato in una lettera agli architetti

“Modernità dunque ma serena e solida (….) con la rinuncia a spiccata personalità, a voluta originalità, alle correnti alla moda, costruiremo edifici nobilissimi che dovranno soddisfare l’oggi e il domani.”
Il progetto. Disegno del Rettorato nella primitiva soluzione di Marcello Piacentini.

Così la torre di dieci piani del Rettorato, che inizialmente sovrastava la grande piazza, fu riportata all’altezza degli edifici circostanti, adeguandosi in tal modo all’immagine di un assieme basato sull’unitarietà dei volumi architettonici. Verrà adottata quindi una comune quota di copertura lasciando  solo ai basamenti ed alle scalinate il compito di segnalare la pendenza del terreno.

Si realizzò dunque un compromesso stilistico fra le soluzioni razionaliste ed il monumentalismo accademico,

con l’eccezione dell’Istituto di Matematica di Giò Ponti che,  sul retro di un fronte che si rispecchia dal lato opposto con l’Istituto di Geologia di Michelucci, realizzerà l’edificio più dichiaratamente moderno di tutto il complesso.

Pagano è comunque soddisfatto; i progettisti hanno dimostrato di “possedere una disciplina tecnica, urbanistica ed artistica tale da imprimere in una realizzazione collettiva un carattere unitario corrispondente ai nostri tempi.”

Dalla Città Universitaria del 1935 alla Esposizione Universale Romana del 1942 il compromesso per la sua natura essenzialmente politica, scivolerà inevitabilmente nell’opportunismo. La guerra crea un clima culturale completamente mutato e con essa si trasforma il cinico comportamento di Piacentini. In una serie di tre articoli sul Giornale d’Italia a proposito dell’E42, dall’ inequivocabile titolo “Politica dell’Architettura.”  egli esorta ad “avere coraggio di compiere qualche abbandono e tendere ad una stabilizzazione di valori più nostri” . Così, quando si trattò di stendere il Piano per l’Esposizione Universale di Roma Pagano, incaricato insieme a Piccinato, Rossi e Vietti, ricorda che “parve ancora che lo stesso spirito vivo, giovane, generosamente pronto alle nuove esperienze e alle nuovissime prove aleggiasse sui colli delle Tre Fontane”…. Ad uno ad uno vedemmo precipitare nel fango della rettorica o nella scolastica banalità di un vago internazionalismo stilistico i nostri sogni troppo arditi e fiduciosi. (7)

Così vinse l’accademia, duttile lingua del potere.

Francesco MONTUORI    Roma febbraio 2019

Note

  1. In Giorgio Ciucci. Marcello Piacentini architetto 1881-1960 – In AA.VV. Marcello Piacentini e la Città Universitaria pag. 217
  2. Franco Purini. Geometrie della Sapienza in AA.VV. Marcello Piacentini   pag. 243
  3. Marcello Piacentini. Architetture d’oggi 1930 pag. 63
  4. Italo Insolera. Roma Moderna 1971. pagg. 169-172
  5. Giorgio Ciucci op.cit. pag. 234
  6. Gianfranco Caniggia. La Casa n. 6. pag. 295
  7. Giuseppe Pagano. Occasioni perdute in Casabella Costruzioni n. 158, 1941