Cesare Lampronti : “Gli antiquari possono essere ambasciatori di cultura. Ma devono cambiano le normative”!”

P d L

Abbiamo incontrato Cesare Lampronti a Modena in un momento di pausa della Fiera Modena Antiquaria giunta alla 33^ edizione. Profondo conoscitore e soprattutto grande estimatore dei dipinti di antichi Maestri del XVII e XVIII secolo, con particolare riguardo agli artisti caravaggeschi e ai più imortanti protagonisti del vedutismo romano e veneziano, Cesare Lampronti ha trasferito la sua attività a Londra da un paio d’anni, pur mantenendo un punto di riferimento a Roma nei pressi della prestigiosa galleria che ha condotto per decenni e che ha fatto la storia dell’antiquariato italiano e internazionale. L’occasione dell’incontro è stata la recente presentazione della esposizione di diversi dipinti provenienti dalla sua galleria londinese nella Reggia di Caserta, primo importante segnale di una inversione di tendenza nel difficle rapporto che intercorre tra il mondo dell’antiquariato e le istituzioni pubbliche; ma la conversazione si è svolta a 360° investendo questioni determinanti sulle quali il punto di vista di un addetto ai lavori di così grande esperienza e competenza merita la massima attenzione.

-Vorrei cominciare questa conversazione con una constatazione che riguarda gli ultimi esiti d’asta realizzati a livello internazionale, Londra e New York in particolare, e in quelle italiane; da un lato abbiamo realizzazioni di 11 milioni, 7 milioni, 6 milioni e mezzo di dollari o sterline per nomi tipo Frans Hals, Rembrandt, Cranach e così via, dall’altra 350 mila, 300 mila, 200 mila ecc, con nomi come Caroselli, Serodine, van Hontorst e così via; ecco allora ti chiedo: non è che il problema della flessione del mercato dell’antico in Italia dipenda proprio da una offerta non altrettanto adeguata quanto quella estera?

Angelo Caroselli, Cristo e l’Adulteria (courtesy Bertolami Fine Arts)

R: No, non credo sia così, credo invece che le difficoltà dell’antiquariato e del settore dei dipinti antichi risalgano a diversi anni addietro, posso dire dagli anni ottanta dello scorso secolo, quando in Italia le cose iniziano a cambiare e comincia una lettura tutta politica del nostro  mondo, che viene concepito come fosse composto esclusivamente da una sorta di spregiudicati affaristi, uniti insieme da cupidigia senza limiti e disposti a mettere a repentaglio il nostro patrimonio culturale per i propri esclusivi interessi mercantili; ed è una cosa paradossale se si pensa al fatto che gli antiquari italiani hanno riportato nel nostro paese migliaia e migliaia di beni di prestigio, io personalmente posso annoverare oltre 15 mila dipinti di antichi maestri. Considera infatti che in Italia c’è sempre stata maggiore sensibilità per l’arte e per le cose d’arte rispetto ad altri paesi, e così nel dopoguerra, come per una sorta di domanda naturale ad opera del collezionismo in larga parte spontaneo i dipinti in entrata sono stati assai di più di quelli che sono usciti (credo di poter dire, un rapporto da uno a venti), e di questo si è certamente giovato il nostro patrimonio artistico che si è rimpinguato di opere che erano uscite nel periodo bellico ed anche prima della guerra. Per quello che riguarda noi antiquari, siamo stati capaci, questo si, di capire questa tendenza e quindi di muoverci di conseguenza, semplicemente rispettando la legge della domanda e dell’offerta.

-Ed allora cosa è successo per arrivare oggi alla distanza che segnalavo tra il nostro mercato dei dipinti antichi e quello internazionale?

R: E’ questo che non riesco ancora bene a capire; c’è stata qualche ragione che ancor oggi mi sfugge; posso pensare ad un malinteso senso di protagonismo da parte della politica, forse causato da un desiderio di protezione spinto all’eccesso e basato sull’idea di difendere il patrimonio artistico contro l’invadenza del mercato; fatto sta che è diventato antieconomico far entrare opere antiche in Italia e quindi –sempre sulla base della legge della domanda e dell’offerta che stavolta ha funzionato al contrario- il collezionismo si è venuto assottigliando e inoltre anche gli antiquari italiani hanno verificato la marcata differenza di valori esistente tra l’Italia e l’estero.

-In sostanza è per questo motivo che a voi conviene che le opere più significative vengano esitate all’estero?

R: Ma funziona così da sempre, nel senso che nell’economia di un’azienda compito di un buon gestore è quello di valorizzare al meglio il suo patrimonio e penso peraltro che questo debba anche essere lo scopo di chi gestisce il patrimonio artistico del nostro paese, che è unico al mondo. Ed invece qui è successo e succede esattamente il contrario, in seguito alle sempre più crescenti difficoltà che s’incontrano nelle esportazioni, con tutte quelle norme, quei controlli, ecc che non esistono negli altri paesi. Per questo ad un certo punto l’antiquario italiano ha realizzato che non era più conveniente acquistare un dipinto o un qualche oggetto antico all’estero e riportarlo nel  nostro paese perché finiva completamente ridimensionato nel suo valore. Alla fine insomma credo che la colpa sia della politica che oltre che stringerci tra lacci e lacciuoli ci ha praticamente considerati dei nemici.

-Tuttavia occorre constatare che nel frattempo si sono avvicendati in Italia governi di destra, centro e sinistra e nessuno ha pensato mai di rimuovere almeno parte degli ostacoli che segnali.

R: Allora chiariamo questo aspetto; io credo che il titolare di un ministero, nella fattispecie quello dei Beni culturali, in realtà conti poco sotto questo punto di vista, rispetto all’apparato burocratico, consolidatosi peraltro nel corso degli anni, che domina le questioni amministrative; il Ministro secondo me può anche concepire qualche buona idea che però poi si scontra  con la resistenza di una burocrazia più che protettiva, perfino talebana in qualche circostanza, se posso dirlo, interessata a non perdere quote di potere. Ovviamente sono completamente d’accordo che le opere di grande rilievo storico artistico debbano essere preservate e mantenute in Italia, e certamente non mi sognerei mai di far uscire dal nostro paese un quadro di Raffaello o una scultura di Michelangelo è ovvio, ma qui si frappongono ostacoli inimmaginabili anche al commercio di opere che sono dei multipli o che giacciono nei depositi o in qualche scantinato di museo.

-Dunque alla fine si tratterebbe di rimuovere gli intralci burocratici ad una più libera circolazione delle merci; ma è solo di questo che soffre chi si occupa di antiquariato in Italia?

R: No certo; vediamo cosa accade negli altri paesi, ti faccio un esempio; in Francia hanno perfettamente capito il valore extra monetario di un oggetto d’arte e ci insegnano ad esempio che può essere un vero e proprio ambasciatore di cultura; non è certo un caso che se entri in un hotel di New York oppure in un altro importante posto  puoi trovare un vaso francese, un dipinto della loro area, e così via. Che significa? Che hanno capito ed applicato il concetto che un’opera d’arte è come un ambasciatore di cultura, al punto che esportare anche un oggetto di non rilevantissima importanza può contribuire a generare attenzione a quel tipo di produzione, al paese donde proviene, alla cultura che l’ha generato; è così che si crea un gusto, una tendenza che certamente agevola e favorisce nel complesso tutta la nazione.

-Viene da pensare che l’evento che andrà in scena alla Reggia di Caserta con l’esposizione di 85 dipinti provenienti dalla tua Galleria di Londra possa rientrare in qualche modo in questa logica. E’ così?

R: Devo dire innanzitutto che l’occasione per l’esposizione che andrà in scena a Caserta  dal titolo Da Artemisia a Hackert. Storia di un antiquario collezionista alla Reggia, dal 13 settembre del 2019 e che durerà fino al gennaio del 2020, per me è stata una vera sorpresa; tutto è nato dal fatto che ho acquistato per la mia galleria londinese un dipinto di Jacob Philipp Hackert che raffigura il porto di Salerno e che è l’unico dei dipinti che il re Ferdinando IV ebbe a commissionare all’artista tedesco che manca alla Reggia casertana.

Jacob Philipp Hackert, Il porto di Salerno visto da Vietri. Sullo sfondo il Castello di Arechi e velieri nella baia.

Quando il direttore Felicori venne a Londra per  cercare di avviare una trattativa ne rimase impressionato e si felicitò molto con me tanto che mi propose l’idea di voler realizzare il ritratto di un antiquario attraverso le sue opere; mi sono dichiarato subito d’accordo, perché ho trovato la proposta gratificante oltre che per me per l’intera categoria dal momento che credo che sia la prima volta che un’istituzione pubblica faccia un così importante riconoscimento alla collezione di un antiquario, e dunque mi è parsa un’apertura importante. Le opere in mostra –peraltro non tutte di mia proprietà- meritano davvero una visita, ci sono lavori caravaggeschi, artisti barocchi, soprattutto molti paesaggi straordinari, Canaletto, Bellotto, Locatelli e molti altri.

-Ecco, dunque credi che sia una strada da poter percorre magari anche in realtà più grandi di Caserta, a Roma, a Napoli, a Milano, a Firenze …

R: Diciamo che me lo auguro, e certamente questo potrà dipendere anche dal successo che l’esposizione avrà nonché dal significato che potrà prendere; sicuramente l’idea è buona e magari potrebbe essere la stessa Reggia di Caserta a voler proseguire su questa strada esponendo altre collezioni; sarebbe un ulteriore riconoscimento per la nostra categoria e probabilmente potrebbe segnare l’inizio di una inversione di tendenza.

-Tuttavia certamente saprai che è stata molto criticata un  simile iniziativa del direttore di Brera James Bradburne di accogliere nelle sue sale, cioè in un luogo pubblico, sia pure con la motivazione che occorresse stabilire un confronto, un dipinto come la Giuditta che decapita Oloferne di un cittadino francese, un importante commerciante ma pur sempre un privato e per di più straniero.

R: Certo lo so, e credo che siano proprio polemiche come quelle sorte in questa circostanza che poi scoraggiano chi, tra gli antiquati italiani, potrebbe essere interessato ad iniziative di questo tipo. Come ho accennato prima, credo che nel nostro paese purtroppo si sia ormai ingenerata l’impressione che vede nell’antiquariato il simbolo stesso del capitalismo, che chissà cosa cela, anche se invece si rispettano le norme e si svolge seriamente il proprio lavoro; tutto ciò è molto avvilente e aldilà delle difficoltà che dal punto di vista economico possono esserci specialmente al giorno d’oggi, molti ormai si rendono conto che semplicemente voler fare questo mestiere è diventato molto complicato, anzi per alcuni troppo.

-E’ per questo forse che è saltata la nuova edizione della Biennale antiquaria di Roma che proprio tu hai curato per molti anni?

R: Innanzitutto la Biennale è saltata per gli intralci davvero inusitati frapposti l’ultima volta dalla Direzione di Palazzo Venezia, la tradizione location dell’evento; ma poi, dal momento che nessuno  mi ha mai ringraziato per aver curato la manifestazione ed anzi è perfino accaduto il contrario con screzi nati con alcuni colleghi romani, allora ho pensato che era arrivato il momento di soprassedere e di passare la mano; che ci pensino i più giovani ad organizzare!

-Sempre ammesso che ci siano giovani disponibili a farlo; oggi e te lo dico per esperienza i giovani si interessano pressoché esclusivamente di arte contemporanea; ci sono state indagini a questo riguardo e risulta che l’antico e l’antiquariato sia seguito da persone della fascia d’età compresa fra i 60 e i 70 anni ed oltre, professionisti, dirigenti, solitamente ben istruiti, ma ben pochi sono i giovani o le persone sotto i 50. Tu pensi che si potrà invertire questa tendenza?

R: Credo che s’invertirà da sola, quasi naturalmente, se posso dire. Nel senso che ci si renderà conto prima o poi che –tanto per fare un esempio- si può compare un ottimo dipinto antico con qualche decina di migliaia di euro senza rischiare di aver buttato i propri soldi, mentre non si può dire lo stesso investendo la stessa cifra per un dipinto contemporaneo che chissà se resisterà nel tempo. Insomma credo che si arriverà alla fine a ripristinare una condizione di normalità: esiste infatti oggi un gap troppo forte tra il valore di un’opera buona antica e un’opera buona contemporanea, se penso che tra un Fontana, ad esempio, ed un Reni ci passa quasi un milione di euro credo che si tornerà ad una maggiore equità.

-Vorrei ora il parere tuo, visto che hai la galleria a Londra, su quanto peserà sulla tua attività la Brexit; quando ne parlammo, due anni fa, eri ancora dubbioso, ma oggi che siamo ormai quasi alla resa dei conti che idea ti sei fatta per quanto riguarda il settore di tua competenza?

R: Non voglio eludere la tua domanda ma sinceramente non saprei ancora cosa rispondere, non si conoscono ancora i termini della separazione (sempre ammesso che ci si arrivi perché esistono forti movimenti contrari nel Regno Unito) né si capisce se sarà consensuale o no; dunque non credo di poter azzardare delle previsioni.

-In effetti c’è chi crede che non ci saranno eccessive conseguenze essendo Londra una capitale internazionale leader nella finanza e capace di assorbire anche questo colpo, al contrario altri avanzano il timore che la separazione porterebbe provvedimenti di carattere burocratico e normativo che potrebbero ripercuotersi ad esempio nel transito delle merci con conseguenze mortali per il commercio e la libera circolazione.

Manifestazione anti Brexit a Londra

R: Certamente sarebbe un deterrente determinante se si dovessero ripristinare barriere doganali e impacci di questo tipo, tutto diverrebbe più lento e più costoso e quindi per niente economico; però, come dico, non abbiamo ancora la possibilità di fare previsioni credibili perché davvero ancora nessuno sa quello che potrà accadere e tuttavia devo riconoscere che non è un prospettiva incoraggiante quella che si potrebbe determinare: in Italia già scontiamo difficoltà e limiti al nostro lavoro, non vorrei che gli stessi limiti e difficoltà nascano anche in Inghilterra. Questo mestiere è affascinante ma sta diventando perfino antieconomico; molte gallerie antiquarie resistono nonostante tutto ma altre chiudono i battenti e non solo in Italia (penso a via Giulia, a via del Babuino …) ma anche all’estero, in Francia e nella stessa Londra.

-Ecco, sotto questo aspetto non pensi ad una strategia di mercato più incalzante, più competitiva? Che so? Con maggiore presenza nei social, investendo maggiormente nella pubblicità, insomma con un lavoro che porti ad un più marcato incremento d’immagine e quindi di affari per la galleria Lampronti?

R: Mi sembra che ci siano stati colleghi antiquari italiani che sono stati dei maestri di marketing ma non mi pare che abbiano ottenuto risultati determinanti; d’altra parte non sono così sicuro che attirare sopra di sé i riflettori sia una politica raccomandabile: questo è un mondo dove le amicizie vere non sono poi così numerose, al contrario, ci si potrebbe esporre ad invidie o altro, senza parlare di controlli, verifiche, e così via; anche chi, come il sottoscritto, opera da sempre nella massima trasparenza proprio in ragione del prestigio –posso dirlo- acquisito dalla nostra galleria non è poi felice di vedersi sottoposto a controlli che poi non sempre sono effettuati da chi realmente è in grado di capire come stanno le cose e questo diventa un po’ seccante.

-Hai accennato prima alla differenza esistente oggi tra le opere di certi autori contemporanei e quelle di autori antichi. Considerando che molte gallerie d’arte antica hanno aperto le porte ad opere di artisti contemporanei, ti chiedo se anche tu hai pensato ad una eventualità del genere.

R: Onestamente no, in primo luogo perché non ho alcuna sensibilità verso l’arte contemporanea, in secondo luogo perchè non sono in grado di recepirne la qualità, e lo dico a mio demerito, non me ne faccio certo un vanto; sono del parere che in ogni cosa, come pure nella scelta dei generi della pittura, ci si debba muovere con competenza e professionalità e per quanto mi riguarda in questo settore non ho né passione né competenza.

-Te lo chiedo perché anche nelle manifestazioni più importanti a livello internazionale come Maastricht, ad esempio, nelle tradizionali gallerie antiquarie di prestigio ormai compaiono dipinti o sculture di autori contemporanei.

R: Che dire? Io troverei difficoltà a rapportarmi con un cliente al quale un giorno stai decantando, che so?, un Fontana o un Morandi, e poi il giorno dopo devi invece illustrare un’opera del Cinquecento o del Seicento; c’è chi lo sa fare? Buon per lui!

-Come galleria come state facendo fronte al ridimensionamento che sta attraversando da qualche tempo il mercato delle opere antiche dove le quotazioni a quel che risulta subiscono non da ieri clamorosi ribassi dei prezzi?

R: Ma non è poi così vero che ci sia questo abbassamento, almeno per quello che concerne le opere di qualità alta o molto alta; vero è però che se si scende di tono qualitativo allora certo un livellamento verso il basso si registra da tempo; invece per le opere di alta qualità e di grandi autori compaiono incrementi di valori sempre più elevati; quello che è raro e di prestigio e che abbia valore storico e filologico ha sempre un mercato molto ampio ed attento.

-Le case d’asta che ruolo giocano in questo senso? A voi galleristi fanno concorrenza?

R: Per noi questa con le case d’asta si sta traducendo in un sorta di battaglia persa; specie con alcune case italiane che fanno una politica basata su stime eccessivamente basse e che a mio parere hanno una responsabilità non da poco nelle difficoltà che molti di noi attraversano; a questo si aggiunge il fatto che le case d’asta più grandi, come Sotheby’s e Christie’s oggi non operano solamente in asta, ma vendono anche a trattativa privata, una pratica nei confronti della quale ci sarebbe da discutere perché opera un turbamento nell’andamento tradizionale del mercato al punto che la maggior parte del loro fatturato non proviene dagli esiti d’asta ma dalle trattative private; ecco se metti insieme tutti questi inconvenienti, chiamiamoli così, capisci che operare in questo campo rispettando le leggi e onorando il proprio lavoro diventa quasi un’impresa eroica.

-Ed infatti molti stanno rivolgendosi al mercato orientale, a quel che sembra. E’ una boutade o c’è qualcosa di concreto, secondo la tua esperienza?

R: Rispetto a qualche anno fa, almeno adesso il cliente orientale inizia a chiedere, ed è già qualcosa. Ma le esperienze con clientela orientale sono così sporadiche che non hanno ancora rilievi significativi; per quanto mi riguarda, stando tradizionalmente sul vedutismo posso immaginare che un eventuale cliente asiatico sia maggiormente attratto o comunque possa assimilare prima una veduta che non una pittura religiosa; tuttavia una parte ancorchè minimale del nostro lavoro, stimabile al 5 / 10%  è rivolta certamente anche verso quella parte del mondo, mentre invece per quanto riguarda l’Europa e gli Stati Uniti non solo noi, ma anche la gran parte delle aziende italiane arriva a fatturare anche il 50%.

-Se posso fare una costatazione, vedo che mancano completamente nel tuo stand i mobili antichi; come mai?

R: E’ vero e ti rispondo che è una questione legata alle mode, secondo me. Una volta, anni fa, gli architetti – che non vorrei dire, ma forse erano anche più colti di quelli odierni- li disegnavano e spendevano più tempo a cercare soluzioni adeguate, a comporre ricette che potessero soddisfare esteticamente, tipo, che so?, per quel tipo di appartamento quella consolle antica, quel trumeau giusto e così via; oggi invece lavorano con un budget in cui la maggior parte è da impiegare per tappezzerie, marmi e così via, cioè per arredi e complementi d’arredo che possono trovare in cinque minuti, mentre per individuare un oggetto appropriato occorre del tempo e dello studio. Pensa al fatto che una volta, diversi anni fa, un trumeau veneziano ‘canal grande’ del ‘700 era molto raro tanto che veniva battuto a un milione degli attuali euro, oggi invece ne farebbe si e no 100 mila.

-Non sarà però anche che si sono spacciati per antichi mobili ‘antichizzati’ a bella posta e questo abbia determinato delusione ed allontanamento da questa merceologia?

R: Non credo che sia questa la causa dell’attuale disaffezione rispetto ai mobili antichi; certo, se poi invece di affidarsi ad un antiquario serio e conosciuto, si va per mercatini o da persone spregiudicate ed incompetenti, oppure se ci si veste da ricercatore e si va in giro a cercare l’affare allora le cose cambiano. Alla fine il discorso, che vale non solo per i mobili, è questo: chi è che compra l’arte? Risposta: il collezionista, l’amante del bello, l’appassionato di quel certo autore o genere o merce; certamente è anche possibile –ed è accaduto- che il prodotto comprato per una soddisfazione estetica unisca in sé anche una soddisfazione di tipo economico, ma non è la regola e se qualcuno crede che lo sia sbaglia di grosso.

-Ci avviciniamo alla fine della nostra conversazione e mi sembra opportuno chiedere a te che sei un decano del mondo antiquariale e che hai una conoscenza internazionale delle realtà del mercato nel mondo, cosa proporresti ai nostri politici per migliorare strutturalmente la situazione degli antiquari del nostro paese.

R: Innanzitutto dovrebbero capire che il rispetto delle leggi in materia di tutela e salvaguardia del patrimonio culturale e artistico italiano è doveroso e sacrosanto; questo però non significa affatto che si debba mantenere questa sorta di proibizionismo normativo che non porta da nessuna parte e che anzi sfavorisce e danneggia chi lavora alla luce del sole. Insomma se come qualcuno dice l’arte è il nostro petrolio occorrerebbe prenderne coscienza a livello di leggi e regolamenti, mentre invece sembra che ci muoviamo nella direzione opposta e questo non fa altro che mortificare sempre più il nostro ruolo.

-Un’ultima domanda mi sento di fartela sulla situazione di Roma, perché tu sei un romano e certamente sei interessato alle sorti della città anche se hai trasferito la tua attività a Londra; una volta questa città dettava legge soprattutto nel mercato dell’antico; oggi al contrario chiudono le gallerie, anche quelle storiche, le maggiori case d’asta hanno abbandonato la capitale, non ci sono più fiere antiquariali di livello; cosa si può fare?

R: Non ho mai piacere ad affondare il coltello nelle piaghe; quindi che dico? Dico solo che ci vorrebbe coraggio, che occorre aiutare chi promuove iniziative collegate alla cultura come può essere una fiera dell’antiquariato e non mettergli i bastoni tra le ruote, che è fuori dalla realtà chi concepisce il mercato dell’arte come una sorta di buco nero che contiene ogni nequizia, perché al contrario produce lavoro, ricchezza, promozione culturale; lo dice la storia, il resto sono pregiudizi che vanno abbandonati perché non fanno altro che male all’arte e alle nostre migliori tradizioni.

P d L    Modena febbraio 2019